Latte e vino fan veleno: un mito

Latte e vino fan veleno diceva ogni tanto mia madre, nata all’inizio del secolo scorso, con una nonna di salda, antica cultura contadina. Un’affermazione che mi aveva particolarmente colpito, e preoccupato, non sapendo se i due liquidi fossero pericolosi se bevuti insieme, o nello stesso pasto. Una preoccupazione che mi è passata quando iniziai ad apprezzare, come fosse corroborante in caso di influenza, una tazza di latte corretta con cognac, che se vino non è, almeno gli assomiglia.

Latte e vino fan veleno è una delle tante massime che un tempo regolavano l’alimentazione. Non era importante che fossero vere, la verità alimentare non rientrava nell’orizzonte culturale di un tempo, ma era importante che vi fossero, e soprattutto rispettate. Avere delle regole da rispettare e anche da trasgredire era alla base di una sicurezza psicologica, che oggi ha lasciato il posto a dubbi, incertezze e paure.

Non cerchiamo quindi un’origine scientifica o razionale secondo i moderni concetti del precetto che separava il latte e il vino. Sarebbe inutile e soprattutto non lo spiegherebbe. Le regole, anche in alimentazione, erano valide di per sé e in quanto basate su un consenso popolare e tradizionale, che oggi non troviamo nella scienza che, per sua stessa natura, è probabilistica. Anche se migliaia o milioni di persone possono impunemente, e con soddisfazione, assumere nello stesso pasto latte e vino, non è detto che qualche volta – un caso su un milione o su un miliardo? – non possa dare qualche disturbo.

Se qualcuno comunque volesse avere una parvenza di giustificazione della disgiunzione tra il latte e il vino, dovrebbe rivolgersi ad un pensiero mitico e immaginifico.

Latte e vino erano visti come due opposti. Il primo bianco, dolce, per i bambini, giovani e donne. Il secondo un tempo quasi sempre nero, aspro, per adulti maschi, tanto che si diceva che il vino è il latte dei vecchi.

Il latte era il principale costituente del biancomangiare o mangiare in bianco, contrapposto al mangiare in rosso del vino e della carne. Accettata per questo era l’unione del vino con il brodo, il cosiddetto bevr in vin padano, soprattutto per gli uomini e come apertura di un abbondante e sostanzioso pasto. Non dimenticando che l’aggiunta di vino nel latte può farlo coagulare e gli fa perdere il suo candido e rassicurante aspetto. Senza contraddire l’antica regola, oggi il vino, anzi i vini, si associano ai formaggi, che, se non sono latte, da questo derivano. Un’associazione che con le sue infinite varianti trova molte giustificazioni, soprattutto sensoriali e gustative e con nuove regole. Tra i due – formaggio e vino – armonia o contrasto? Un mondo tutto da scoprire, anzi da creare e inventare!

Le associazioni tra i cibi e tra questi e le bevande pongono complessi e non ancora sufficientemente esaminati e studiati problemi nutrizionali. Nelle normali condizioni d’uso gli alimenti devono infatti essere considerati nelle loro associazioni. Tra le associazioni alimentari positive o favorevoli, indubbiamente vi sono quelle d’intersupplementazione. Questa avviene quando un cibo, ad esempio il pane, scarso di alcuni aminoacidi è associato al latte, che invece ne è ricco, per cui lo compensa. Lo stesso avviene quando i cereali sono associati alle leguminose, come in una minestra di fagioli con orzo, o pasta o pane. Un vantaggio nutrizionale del quale si erano certamente accorti i nostri antenati. Per questo, in ogni cultura agricola troviamo sempre associati cereali e legumi: ad esempio grano e fave o lenticchie, riso e soia, mais e fagioli. Non chiedete però come i nostri più lontani antenati agricoltori, ma anche le nostre bisnonne, avessero fatto queste scoperte, perché è ancora uno dei grandi misteri del nostro passato alimentare, e non solo, anche se si suppone che i nostri antenati agricoltori avessero osservato come le graminacee crescono più rigogliose nei campi nei quali erano prima state coltivate leguminose che, oggi sappiamo, arricchiscono il terreno di azoto.

Se alcune associazioni si sono dimostrare solo mitiche o fantasiose, molte altre, depositate nelle ricette tradizionali, si sono rivelate estremamente sagge e da non abbandonare. Quando si gusta una pasta e fagioli, o un piatto di Risi e Bisi (un cereale e una leguminosa) non dovremmo dimenticare che sono il frutto di una grande e antica saggezza che solo oggi iniziamo a scoprire!

Formaggio e vino: il primo cocktail

Il formaggio in cucina, in tutte le sue preparazioni, ad iniziare dagli aperitivi: non il formaggio o diversi formaggi offerti assieme ad un buon vino, ma come ingrediente di un aperitivo o, come si dice oggi, di un cocktail. I barman, che nella preparazione delle loro miscele hanno usato di tutto, sembrano aver dimenticato i formaggi, anche se il loro uso in bevande aperitive, o toniche e stimolanti, è antichissimo e tradizionale.

Agli inizi della nostra civiltà mediterranea, circa milleottocento anni fa, era ben noto il formaggio di capra o misto capra-pecora, da grattugia, ed il suo uso come ingrediente di bevande, antesignane quindi dei nostri cocktail. Vi sono, infatti, diverse testimonianze d’Omero e presenti nell’Iliade. Una testimonianza riguarda Macaone ferito alla spalla destra, al quale Nestore consiglia: “Siedi, bevi e gratta del formaggio di capra nel vino e mangia molta cipolla, perché ti stimoli a bere”. In altra parte è detto: “La bionda Ecamede versa a Nestore e a Macaone una bevanda ristoratrice fatta con farine, vino e formaggio”.

Gli Etruschi seguivano la stessa abitudine dei Greci ed avevano delle grattugie di bronzo, con le quali grattugiavano il formaggio ovicaprino nei crateri dove miscelavano acqua e vino.

Nella tradizione padana, giunta fin quasi a nostri giorni, ben radicata era l’abitudine di bere, come aperitivo, una miscela di brodo, vino e formaggio (a volte con qualche esemplare di pasta ripiena): una miscela che si collega alle abitudini omeriche ed etrusche.

Da qui, due proposte provocatorie di cocktail con presenza di formaggio.

Aperitivo liquido o cocktail omero

  • Vino rosso corposo
  • Formaggio pecorino stravecchio, finemente grattugiato, quanto basta.

Miscelare con dolcezza, senza sbattere. Da servire assieme a rotelle di cipolla, impastellate e fritte.

Aperitivo liquido o cocktail padano

  • Brodo di manzo sgrassato – cinque parti
  • Brodo di cappone – quattro parti
  • Vino rosso (Lambrusco) – una parte
  • Formaggio Parmigiano Reggiano finemente grattugiato, quanto basta

Miscelare con dolcezza, senza sbattere. Da servire con ciccioli secchi od altre sfiziosità salumiere.

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.