Cade “a fagiolo” scrivere questo articolo sul Pecorino di Picinisco DOP a pochi giorni dal 25 aprile dell’anno Covid.

Nasce in Val Comino, crocevia di regioni confinanti quali Lazio, Campania, Molise e Abruzzo, questo borgo della provincia di Frosinone da cui il formaggio prende il nome. Propaggine estrema del territorio dei Sanniti che dal 343 al 290 a.C. hanno “resistito” ed umiliato nell’orgoglio l’esercito Romano invasore, che ebbe il sopravvento dopo tre lunghe guerre.

Tito Livio ci ha fedelmente descritto quelle battaglie in lingua latina, oggetto di versioni di noi poveri studenti liceali capaci di tradurle spesso in insufficienze dal 4 in giù.

I Romani, a differenza di altro “cacium” proveniente dalle colonie dell’Impero, non lo hanno mai assaggiato: ultima e postuma beffa dopo il passaggio sotto le Forche Caudine Sannite. Infatti le prime testimonianze storiche di questo formaggio risalgono al 1600, mentre successivamente ricompare in molti documenti merceologici ed agrari del 1800.

Passando dalle Forche alle Forchette, il Pecorino di Picinisco rappresenta una DOP molto particolare ed interessante: è un misto di latte ovino-caprino, prodotto in un territorio dal suolo appenninico calcareo, non vengono aggiunti fermenti lattici durante la lavorazione ed è ammessa la scottatura delle forme in scotta bollente per un periodo compreso tra 2 e 5 minuti. La salatura viene ancora fatta manualmente e non vi è, inoltre, sentore olfattivo e gustativo di stalla o di animale e, nonostante abbia una stagionatura breve o media, ha un bel retrogusto piccante che lo differenzia.

Tipiche ed ammesse dal disciplinare sono le razze Ovine che forniscono il latte quali la Sopravissana, la Comisana, la Massese o incroci con almeno una di queste varietà, mentre quelle Caprine che conferiscono una percentuale massima del 25% di latte per questo formaggio, sono rappresentate dalla Grigia Ciociara, Bianca Monticellana, Capestrina o loro incroci.

Per la produzione è ammesso esclusivamente l’utilizzo di latte intero, proveniente da una o più mungiture, che viene lavorato “a crudo”, quindi a temperature non superiori ai 38 gradi, consentendo una minore denaturazione di Vitamine, conservazione di Proteine, non dispersione di Calcio e di molecole aromatiche.

L’assenza di aridità estiva, che conferma il carattere temperato ed umido del clima distinguendolo da quello mediterraneo, permette di utilizzare principalmente come fonte alimentare per gli ovicaprini erbe spontanee di quel territorio, che si rigenerano quotidianamente, ricche di essenze vegetali tipiche che aggiungono al formaggio quel fascino organolettico del micro-ambiente che varia in sentori da forma a forma.

Esistono due tipologie di questo eccelso Pecorino: la Scamosciata di 30-60 giorni e la Stagionata di oltre 90. La stagionatura viene effettuata su assi di faggio ed abete.

I comuni della DOP nella provincia di Frosinone sono: Acquafondata, Alvito, Atina, Belmonte Castello, Campoli Appennino, Casalattico, Casalvieri, Fontechiari, Gallinaro, Pescosolido, Picinisco, Posta Fibreno, San Biagio Saracinisco, San Donato Val di Comino, Settefrati, Terelle, Vallerotonda, Villa Latina, Vicalvi, Viticuso. Solo una piccola parte dell’areale di produzione appartiene alla fascia esterna del Parco Nazionale d’Abruzzo e alle zone di confine con il Molise.

Il caglio utilizzato è in pasta, di capretto o di agnello proveniente per almeno il 51% da animali lattanti allevati nella zona di produzione delimitata. Caratteristica di questi cagli è la presenza di enzimi lipolitici pregastrici, invece che pancreatici presenti in quelli in polvere di vitello: ciò comporta una conservazione di acidi grassi a catena corta che meglio conferiscono pastosità ed aromaticità a questa DOP.

In presenza di questa produzione a filiera corta e circolare è possibile anche conservare nel miglior modo possibile la flora batterica del latte di provenienza, in modo da ottenere naturali ed equilibrate fermentazioni durante il periodo di stagionatura dei formaggi.

La rottura del caglio è a forma di chicco di riso.

La forma cilindrica appartiene sia allo Scamosciato che allo Stagionato.

Il primo, di breve stagionatura e dal peso variabile trai 700gr ai 2,3 kg, viene prodotto in primavera e autunno, possiede una pasta morbida, elastica, umida, di colore che cangia dal bianco all’avorio virando verso un tenue giallo paglierino.

Nello stagionato, dal peso di 600 gr- 2 kg e prodotto in primavera ed estate, il colore varia dal giallo paglierino al dorato, troviamo una pasta più dura, compatta e leggermente untuosa.

Le occhiature sono scarse in ambedue le tipologie.

Al naso lo Scamosciato presenta maggiori note lattiche, dal sentore vero e proprio di latte a quello di panna, di burro e yogurt, associate ad aromaticità erbacee fresche, floreali e vegetali. Nello Stagionato, invece, si fanno largo sentori di burro fuso, latte cotto, note fruttate, maggiormente presenti quelle di frutta secca dalla nocciola alla noce, un leggero sottobosco nel sottocrosta e tostate nelle forme di maggiore età: non è presente al naso ed in bocca alcuna intensità di stalla o di animale.

I sapori rispecchiano un dolce e salato di media intensità, con una media bassa acidità nello Scamosciato mentre subentrano una maggiore salinità e dolcezza complessa, tipica lipidica, nello Stagionato.

Possiamo trovare note finali di amaro più o meno persistenti nel finale, ciò significa che la pecorella o soprattutto la capretta hanno brucato erbe amare o mangiato radici di genziana, di cui quei pascoli sono ricchi.

Gli aromi in bocca confermano quelli del naso, seppur più attenuati nelle stagionature brevi, ma più intensi nelle forme di oltre i 90 giorni.

Il retrogusto varia da una leggera/media piccantezza, sino ad una nota decisamente elevata dello stagionato.

A differenza delle autoctone ed antiche popolazioni Sannite locali non mi sento più di “resistere” al richiamo della delizia, e da vincitore Romano “de altri tempi e de noantri”, isso il vessillo dell’Aquila Imperiale, faccio passare in sequenza sotto il giogo della Forchetta Caudina, denudati di crosta, prima lo Scamosciato e poi la Stagionato, e nel segno di Apicio mi inchino su questi barbari ribelli di Picinisco per gustarmeli piano piano, lentamente: la vendetta non si consuma di certo in un Amen!