Giorgia e Diego sono due studenti universitari le cui storie si intrecciano durante le lezioni del primo anno di Medicina Veterinaria. La loro amicizia diventa solida grazie alla passione per gli animali e soprattutto con l’impegno comune nell’attivismo ambientalista. I mesi passano e si trovano ad affrontare discipline dure e complesse, altre più semplici, ma procedono e vanno avanti sostenendo e superando i vari esami. Ogni tanto si interrogano sulla necessità di dover studiare materie che non hanno nulla a che vedere con la loro visione dell’attività professionale come zootecnia, ispezione degli alimenti, ecc…

Non riescono proprio a concepire la necessità di allevare gli animali con il fine di produrre alimenti per gli esseri umani. La loro insofferenza raggiunge l’apice quando si materializza l’obbligo didattico di partecipare ai tirocini pratici che li porterà ad entrare fisicamente in un mattatoio o in un allevamento intensivo. Si sentono sostenuti dalla narrazione comune secondo la quale è profondamente ingiusto sfruttare gli animali per produrre alimenti fino a doverli uccidere.

Diego guarda in faccia Giorgia ed esclama: “Abbiamo il diritto di evitare questo, tutto il mondo oramai condanna l’allevamento degli animali come luogo di sfruttamento, morte e sofferenza. Non possono costringerci a farlo.” E invece possono. La didattica impone la necessità di partecipare ai tirocini pratici. Presi dallo sconforto chiedono formalmente al Consiglio di Facoltà di essere almeno esonerati dallo svolgere in prima persona le attività a loro avviso “cruente” come la castrazione dei suinetti o la fecondazione artificiale nella bovina. Con il trascorrere del tempo la loro istanza si perde nei meandri delle lungaggini burocratiche e la settimana di tirocinio inizia senza una risposta.

La storia si conclude con un sorriso che si allarga sulla faccia del loro tutor quando, un po’ imbarazzati e spaesati, chiedono di non voler effettuare in prima persona tali attività. Questo li guarda e li tranquillizza dicendo: “Qui nessuno vi obbligherà a fare qualcosa che vada contro la vostra volontà. Utilizzate questa settimana per chiedere e informarvi. Quando sarà finita avrete una visione sicuramente più aderente alla realtà e quel che è più importante, una visione tutta vostra nata da un’esperienza diretta”.

Il problema sollevato da Diego e Giorgia (i nomi sono di fantasia) è di grande rilevanza. È arrivato il momento di guardare in faccia una realtà a tratti scomoda: nell’insegnamento della Medicina Veterinaria ci sono due anime. Un’anima considera gli animali come esseri viventi la cui vita è sacra, paragonabile in tutto e per tutto a quella dell’essere umano. L’altra anima riconosce in alcuni animali il ruolo di fornitori di alimenti e per i quali la morte è un evento tollerato e inevitabile.

Trovare posizioni equilibrate è piuttosto difficile per cui è abbastanza comune che gli studenti (a volte anche i docenti) assumano un atteggiamento fortemente polarizzato verso una delle due visioni. Tale scontro ideologico mina fortemente la qualità della didattica poiché alimenta conflitti ed un contesto malsano e giudicante. Il professor Umberto Galimberti afferma che i valori sono dei “coefficienti sociali” il cui scopo è quello di favorire la coesione sociale e inibire la conflittualità. Ebbene, nelle aule delle facoltà di Medicina Veterinaria convivono studenti e professori con un’impalcatura valoriale che può essere molto differente.

L’effetto è facilmente intuibile: tutt’altro che coesione sociale e riduzione della conflittualità. Pensate a chi si trovasse in minoranza rispetto al pensiero dominante, quanto facilmente potrebbe essere esposto all’ostracismo da parte della maggioranza. Negli esseri umani il concetto di identità è fortemente influenzato dall’appartenenza ad un gruppo sociale e non è inusuale modificare i propri interessi e convinzioni (il proprio modo di essere) uniformandoli a ciò che il contesto richiede pur di essere “riconosciuti” e accettati. È molto triste osservare alcune situazioni nelle quali i valori in cui gli studenti credono fortemente debbano essere calpestati dalle “esigenze della didattica”, così come è ancora molto triste assistere al soffocamento di un interesse verso gli animali da reddito a causa di un contesto ostile, per la serie: “Non ti vergogni a voler lavorare nei luoghi di sfruttamento degli animali?” 

Probabilmente dovremmo ripartire da un valore trasversale che è il RISPETTO. Rispetto nei confronti degli animali (che è diverso dal concetto di benessere), rispetto verso la dignità delle persone, che si sublima nelle loro diversità, e rispetto verso l’ambiente che ci ospita tutti. Forse è giunto il tempo di ripensare anche l’insegnamento della Medicina Veterinaria tenendo in mente quello che è il suo fine ultimo: formare professionisti che portino valore alla comunità. Una comunità che non è formata solo da possessori di pet ma anche da consumatori e produttori di alimenti.

Tutti esigono rispetto. Gli allevamenti non sono illegali. I mattatoi non sono illegali. Gli studenti hanno il diritto di essere rispettati nelle loro scelte etiche ma nello stesso tempo devono rispettare le esigenze di chi la pensa diversamente. In altre parole è necessario garantire la migliore formazione possibile a chi voglia lavorare negli allevamenti così come a chi inorridisce al solo pensiero di metterci piede. Il compito delle istituzioni è quello di vigilare affinché entrambe le tipologie di studenti si sentano rispettate e protette. Abbiamo fatto passi da gigante nel riconoscere una pari dignità nelle differenze di credo religioso, colore della pelle, etnia o genere. Non possiamo rimanere indifferenti davanti alla mancanza di rispetto nei confronti delle diverse visioni e convinzioni di natura etica. 

Spero che questa lettera abbia mosso qualcosa nella mente dei lettori e che possa essere il punto d’inizio di una discussione seria e costruttiva su un argomento che fa fatica ad affiorare alla coscienza collettiva.

Concludo riportando una frase di Evelyn Beatrice Hall: “Non condivido la tua idea ma darei la vita perché tu la possa esprimere”, con l’augurio che possa essere di ispirazione e guidare le decisioni di ogni essere umano.