Definizione: La “resilienza” è la capacità di una materia vivente di autoripararsi dopo un danno. Nel caso degli eventi di malattia, il termine implica la capacità di un essere vivente di fronteggiare adeguatamente le cause di malattia e di impedire o contenere le conseguenze sul piano clinico.

Introduzione

Il controllo della sanità animale in presenza di una spinta notevole all’uso prudente e alla riduzione del fabbisogno di antibiotici in allevamento è diventato la cornice operativa anche per i veterinari operanti negli allevamenti di bovine da latte. Tale condizione determina la necessità di sviluppare interventi coordinati atti alla prevenzione degli eventi di malattia. Questi interventi possono includere aspetti diversi quali la selezione genetica, il controllo degli ambienti di allevamento, la dieta, lo stato metabolico e, ovviamente, la competenza immunitaria delle bovine da latte. La gran parte dei casi clinici nelle bovine da latte prende origine nel periodo di transizione attorno al parto, quando imponenti cambiamenti metabolici, endocrini ed immunologici rendono le bovine più sensibili agli eventi di malattia. In tale contesto, vi sono forti evidenze che la resistenza alle malattie è correlata alla funzionalità del sistema immunitario, all’efficienza del fegato e, in generale, alla capacità delle bovine di minimizzare il divario energetico tra assunzione di sostanza secca e produzione di latte [9].

Immunocompetenza delle bovine da latte e strategie di controllo delle malattie

Il sistema immunitario si è differenziato nel corso dell’evoluzione filogenetica quale sistema atto al controllo e alla neutralizzazione di tutte le possibili noxae (infettive e non-infettive), che possano turbare l’omeostasi dell’ospite. La sua componente più primitiva, il sistema immunitario innato, si basa sul riconoscimento di componenti microbiche comuni e di prodotti del danno tissutale, mentre il sistema immunitario adattativo (più recente) riconosce le fini specificità dei singoli agenti microbici; esso tende per lo più ad intervenire quando la componente innata non controlla una specifica minaccia all’omeostasi. I ruminanti non costituiscono un’eccezione a tale regola generale. Per quanto concerne tali animali, si può asserire che la domesticazione (risalente a circa 10.000 anni fa) ha comportato indubbi vantaggi in termini di accesso alle risorse alimentari e di protezione verso eventi climatici estremi. In tempi più recenti, l’intensificazione dei cicli produttivi e la selezione genetica per alte produzioni ha influito negativamente sui livelli di benessere animale, cosicché la relazione temporale fra benessere e domesticazione può essere rappresentata da una curva a campana [14]. In tale cornice concettuale, il futuro dell’allevamento bovino da latte in un quadro di consistente riduzione dell’uso degli antibiotici desta non poche preoccupazioni. In effetti, le bovine da latte ad alta produzione manifestano alta prevalenza di malattie e ridotta aspettativa di vita [15], nonché una ridotta tolleranza agli stressori ambientali, quali il caldo estivo [16]. E’ pertanto necessario riconsiderare l’immunocompetenza di tali animali quale fattore essenziale di efficace adattamento all’ambiente.

Il concetto di immunocompetenza

Immunocompetenza implica lo sviluppo di un’adeguata risposta immunitaria ad un antigene. Il segnale di “pericolo” veicolato dagli antigeni  è la condizione fondamentale per generare una risposta immunitaria [18]. Tale segnale si basa su componenti microbiche filogeneticamente invariate e/o su componenti varie di danno tissutale. Il sistema immunitario adattativo (antigene-specifico) viene usato  quando è necessario con “parsimonia”, poiché la risposta anticorpale secondaria e la memoria immunologica comportano un elevato costo energetico [19]. Prove consistenti di ridotta competenza immunitaria delle bovine da latte derivano da dati epidemiologici e studi sperimentali. A livello di popolazioni animali, la selezione genetica per elevate produzioni e l’incremento assai notevole delle produzioni di latte ha comportato un deciso incremento delle “malattie da produzione”, ridotta fertilità e ridotta aspettativa di vita [22]. Inoltre, alcuni studi sperimentali hanno evidenziato chiari segni di immunosoppressione, legati ai cambiamenti metabolici intorno al parto [23,24].

Stress metabolico e sistema immunitario innato

La selezione genetica per alte produzioni ha comportato la comparsa di alcune caratteristiche negative a carico del sistema immunitario innato. In particolare, si osservano nelle bovine Frisone ridotte concentrazioni di lisozima sierico [28]. La priorità metabolica per la sopravvivenza della progenie determina il mantenimento della produzione di latte a discapito di altre funzioni. Tali livelli di produzione sono notoriamente eccedenti le possibilità di assunzione di sostanza secca, il che determina un bilancio energetico negativo (BEN) associato a vero e proprio stress metabolico. Con tale termine s’intende uno squilibrio nell’omeostasi di un organismo vivente risultante da un anomalo utilizzo dei fattori nutritivi [31].  Pertanto, i profili insoddisfacenti di risposta immunitaria delle bovine da latte ad alta produzione sono sia primari (associati cioè alla selezione genetica), che secondari (associati allo stress metabolico). Vi sono specifiche vie di segnalazione che convogliano al sistema immunitario innato le informazioni relative allo stress metabolico, quali alterato stato energetico cellulare, carenze di aminoacidi, ridotta pressione parziale di ossigeno, accumulo di metaboliti reattivi dell’ossigeno. Inoltre, un legame diretto tra stress metabolico e sistema immunitario innato è fornito dagli acidi grassi non esterificati, che si legano direttamente al recettore Toll-like Receptor 4 (TLR4) [32]. Lo stress metabolico nel contesto del BEN va considerato quale elemento cruciale nella genesi delle tipiche malattie da produzione della bovina da latte. Ciò conferma il ruolo fondamentale del sistema immunitario innato nella risposta dell’ospite agli stressori ambientali. A tale proposito, viene addirittura preconizzato di sviluppare veri e propri vaccini per malattie metaboliche quali il diabete mellito di tipo 2 [34], che ricorda la condizione di resistenza all’insulina osservata anche nelle bovine da latte.

Influenza del microbiota sul sistema immunitario delle bovine da latte

E’ ormai noto che tutti i mammiferi ospitano un’ampia varietà di comunità microbiche, chiamate microbiota, che attraverso intricate interazioni mutualistiche si sono co-evolute insieme ai loro ospiti, svolgendo ruoli cruciali per la loro biologia e salute. Il microbiota contribuisce infatti all’architettura e alla funzione dei tessuti, influenza il metabolismo energetico dell’ospite e svolge un ruolo importante nell’equilibrio tra salute e malattia [35]. In condizioni ottimali, il microbiota comincia ad evolversi subito dopo la nascita in una comunità di microorganismi che contribuiscono ad assicurare la salute dell’ospite: la presenza di antibiotici, le infezioni o la cattiva alimentazione possono però causare alterazioni tali da modificare la composizione del microbiota rendendo l’ospite maggiormente suscettibile alle malattie [36].

Anche nei bovini la composizione del microbiota può influire sulla salute [48,50] e sulle prestazioni degli animali [51]. Nei bovini da latte, la comunità intestinale dei vitelli cambia rapidamente dopo la nascita e durante le prime 12 settimane di vita [52]. Dopo lo svezzamento, il microbiota deve compensare il cambiamento della dieta. Questo è un periodo critico in cui diversi eventi possono colpire il microbiota e, di conseguenza, la salute dell’animale. Durante lo svezzamento i Bacteroidetes diminuiscono, pur rimanendo il phyla dominante, mentre aumentano Proteobacteria e Firmicutes [38]. Questi cambiamenti, dovuti in parte a cambiamenti fisiologici, sono causati anche dalla transizione da una dieta lattea a quella solida, perché la dieta è un grande motore della composizione e della modulazione della comunità microbica [38]. L’età e il metodo di svezzamento influenzano pure lo sviluppo del microbioma, sia quello del tratto gastrointestinale sia quello ruminale [54].

Recenti studi hanno dimostrato l’influenza del microbioma nel modulare la risposta immunitaria dell’ospite [55], sia attraverso meccanismi diretti con la secrezione di peptidi antimicrobici, che indiretti, influenzando l’espressione dei geni che regolano la risposta immunitaria dell’ospite. Per promuovere il benessere dei primi anni di vita, anche nei bovini pre e probiotici sono utilizzati per contribuire a stabilire o a ripristinare un microbiota intestinale sano [59].

Immunocompetenza e mastite bovina

L’immunocompetenza nella ghiandola mammaria risulta dalla sommatoria di componenti anatomiche, umorali e cellulari. Essa varia nel corso della lattazione e presenta una depressione nel periodo del periparto, in relazione allo stress metabolico ed ormonale del parto e dell’avvio della produzione. Le componenti fondamentali sono:

  • La cheratina prodotta dall’epitelio del dotto del capezzolo, che blocca fisicamente i batteri e possiede attività batteriostatica.
  • L’espressione di recettori per componenti invariate dei batteri nell’epitelio del dotto. Tali recettori riconoscono i batteri e attivano i geni della risposta infiammatoria e la secrezione di citochine e di peptidi antibatterici.
  • Fattori umorali antibatterici quali lisozima, lattoferrina, transferrina, defensine, catelicidine e mieloperossidasi.
  • L’attività fagocitaria dei macrofagi (fisiologicamente presenti) e dei granulociti neutrofili (provenienti per lo più dal sangue in seguito a stimoli chemiotattici).

Sono pure presenti linfociti B, pochi linfociti T e anticorpi (IgG1, IgG2, IgA, IgM). Va sottolineato soprattutto il ruolo delle cellule epiteliali della ghiandola mammaria, perfettamente in grado di riconoscere i batteri infiltrati e di montare una risposta basata su mediatori flogistici e peptidi antimicrobici (defensine, catelicidine, calprotectina) [73]. Una diminuita immunocompetenza nel periodo del periparto predispone la bovina alla sviluppo di mastite. Ai fini della profilassi, è consigliabile l’integrazione della dieta con minerali e micronutrienti (SE, vit. E, vit. A, Zn, Cu), atti ad antagonizzare lo stress ossidativo. A livello pratico, la somministrazione di Granulocyte-Colony Stimulating Factor (G-CSF) è efficace nel reclutamento di granulociti neutrofili dal midollo osseo, nonché nella modulazione della loro attività [77]. I vaccini per la mastite hanno generato pareri contrastanti nella comunità scientifica. Essi devono comunque essere associati alle consuete misure d’igiene della mungitura.

Epigenetica della risposta immunitaria: implicazioni per il controllo della mastite

Prove sperimentali recenti hanno dimostrato che anche il sistema immunitario innato possiede una propria “memoria”, che può modificare il tipo di risposte dopo il primo incontro con uno stressore. Tale aspetto può fornire una spiegazione plausibile della protezione crociata verso agenti microbici non correlati [81]. Tale “memoria” si basa su riarrangiamenti epigenetici, ovvero su cambiamenti dell’assetto della cromatina nucleare, che alterano l’accessibilità di geni coinvolti nella risposta immunitaria innata. Si realizza così un profilo di espressione genica che altera la segnalazione e il metabolismo delle cellule coinvolte nella risposta immunitaria innata [80]. Tale fenomeno è stato verificato anche nelle bovine da latte. Ad esempio, cellule dell’epitelio mammario esposte a endotossina batterica (LPS) acquisiscono uno stato di tolleranza;  questa comporta aumento della produzione di beta-defensine e riduzione della risposta infiammatoria ad un’esposizione successiva a LPS [83]. Pertanto, la definizione dei cambiamenti epigenetici correlati a immunocompetenza potrebbe condurre ad una promettente strategia di profilassi della mastite.

Microbioma del latte e salute della ghiandola mammaria

Il latte contiene molecole bioattive che svolgono un ruolo fondamentale nella formazione del sistema immunitario dei vitelli subito dopo la nascita. L’ecosistema del latte infatti permette la crescita di una vasta gamma di microrganismi [41,86] che possono contribuire allo sviluppo del microbiota intestinale dei vitelli, interagire con il sistema immunitario, e regolare le risposte infiammatorie e la suscettibilità alle infezioni [87]. Il concetto di “sterilità” del latte va pertanto archiviato, in quanto fuorviante rispetto ad una corretta interpretazione degli esami microbiologici.

L’infiammazione della ghiandola mammaria, la mastite, può insorgere in seguito a infezioni intramammarie, disturbi metabolici o traumi. Le infezioni intramammarie sono spesso causate dalla presenza di batteri patogeni nel canale del capezzolo. Diversi fattori possono innescare la risposta della ghiandola mammaria a questi agenti patogeni [88]. I microorganismi commensali presenti nella mammella [41] possono modulare la suscettibilità alla mastite. Infatti alcuni ceppi di stafilococchi non-aureus (NAS) e di Corynebacterium sono in grado di produrre batteriocine che inibiscono la crescita della maggior parte dei patogeni mastitogeni [89]. Anche la diversità del microbiota del latte può aumentare la resilienza contro la colonizzazione da parte di specie “estranee” [90] e quindi, sebbene la modalità delle comunicazioni da microbo a microbo sia ancora per la maggior parte sconosciuta, è essenziale identificare quelle specie batteriche che contribuiscono al mantenimento dell’omeostasi mammaria e alla suscettibilità ai patogeni della mastite.

Gli studi sulla composizione del microbiota del latte in relazione alla salute della mammella hanno dimostrato una connessione tra la presenza nel latte di un microbiota “disbiotico” e l’incidenza della mastite [48,92,93,94]. Infatti, il microbiota dei campioni di latte mastitico presenta una ridotta ricchezza e uniformità in specie batteriche rispetto al microbiota del latte sano [48,93]. Nonostante queste osservazioni, tuttavia, c’è ancora molto da indagare riguardo alla capacità del microbiota commensale di mantenere l’equilibrio della ghiandola mammaria e modulare la suscettibilità alla mastite. Uno studio molto recente [91] ha mostrato l’esistenza di una possibile relazione tra taxa batterici e stato infiammatorio della mammella, identificando quei taxa associati allo stato infiammatorio della ghiandola mammaria e/o a futuri episodi di mastite clinica.

In conclusione, sono necessarie ancora ulteriori ricerche per comprendere le interazioni tra il mondo microbico e i suoi ospiti. La dissezione di queste relazioni può portare a nuovi modi per mantenere la salute della mammella e modulare la suscettibilità alla mastite.

Risposta metabolica delle bovine da latte: il periodo di transizione

Molte bovine da latte non sono in grado di rispondere adeguatamente alle sfide connesse alla gravidanza e all’esordio della lattazione, in una condizione in cui la priorità della spesa energetica è geneticamente diretta alla ghiandola mammaria [28]. I livelli produttivi di per sé non sono causa diretta di malattia. Anzi, si può dimostrare come le bovine più produttive siano caratterizzate da migliore funzione epatica e minore stato infiammatorio. In sostanza, la capacità di adattamento alle enormi sollecitazioni metaboliche e funzionali post parto dipende dalla “robustezza” dei meccanismi di regolazione metabolica e dalla corretta attivazione dei meccanismi immunitari. Va sottolineato come in fasi avanzate di lattazione stressori ambientali (calore, ricoveri inadeguati, sovraffolamento, ecc.) e immunometabolici (acidosi, mastite, ecc.) hanno effetti meno dannosi sulla sanità animale proprio per il bilancio energetico divenuto positivo.

Il periodo di transizione

Il sistema immunitario è direttamente coinvolto in una serie di funzioni metaboliche quali il mantenimento delle funzioni gastro-intestinali, la lipolisi e la conseguente funzione epatica, e la regolazione della sensibilità all’insulina [100,101,102,103]. Il BEN determina ridotta funzionalità del sistema immunitario, specie dei granulociti, in relazione ai livelli plasmatici di alcuni metaboliti conseguenti alla lipomobilizzazione [96,104]. Tale condizione ha stimolato studi specifici di immunomodulazione nel periodo di transizione. Oltre ai positivi effetti su conta e funzionalità granulocitaria, il trattamento con G-CSF potrebbe anche mantenere stabili i livelli delle principali citochine nel primo mese dopo il parto. Inoltre, tale azione non provoca un incremento dei livelli d’infiammazione sistemica, come dimostrato dalle concentrazioni di proteine della fase acuta come aptoglobina e ceruloplasmina [102].

Va tenuto presente che le citochine pro-infiammatorie sono in grado d’indurre resistenza all’insulina. In tale condizione, il glucosio è indirizzato preferenzialmente ai trasportatori non dipendenti da insulina, presenti su cellule immunitarie e ghiandola mammaria [115], con potenziale aggravamento del BEN. Inoltre, la lipomobilizzazione massiccia e il rilascio di grandi quote di acidi grassi liberi (AGL) può sovraccaricare il fegato e portare al rilascio di corpi chetonici, principalmente beta-idrossibutirrato (BHB). Tale condizione si accompagna a Risposta di Fase Acuta (RFA) del fegato e a stress ossidativo, ovvero squilibrio tra produzione di metaboliti reattivi dell’ossigeno e dell’azoto e fattori anti-ossidanti. In tale contesto, anche l’epitelio delle papille ruminali va incontro a profonde modifiche del proprio profilo di espressione genica, con interazioni peculiari tra geni della risposta immunitaria e geni coinvolti  nella preparazione alla lattazione [119,121,122]. La saliva svolge indubbiamente un ruolo importante di segnalazione ai prestomaci, forse anche nella riduzione di immunocomptezenza nel periodo di transizione.

La fase di asciutta riveste pure un ruolo cruciale. Il controllo sull’assunzione di energia in asciutta porta a risultati migliori di quelli osservati in bovine sottoposte ad alto regime calorico nello stesso periodo. Si hanno anche miglioramenti dei livelli di assunzione di sostanza secca nel periparto [128] e minori livelli di lipomobilizzazione e BHB [126].

Microbioma ruminale, produzioni e sanità animale

I prestomaci contengono trilioni di batteri, protozoi e Archea metanogenici quali componenti principali. In un’interazione simbionte tra ospite e batteri, questi ultimi rilasciano nutrienti per l’ospite, ma talora anche prodotti potenzialmente dannosi come le endotossine. Il complesso dei microrganismi ruminali (microbiota) è correlato all’efficienza di conversione della razione alimentare [130,131], alla produzione di metano [132], alla composizione del latte [133], all’acidosi ruminale [134]. La comune pratica di trasferimento dei contenuti ruminali dimostra il notevole influsso del microbioma ruminale sulla produzione del latte  [135]. Tuttavia, mentre i protozoi ciliati possono essere facilmente trasferiti, vi è invece maggiore resistenza al trasferimento della comunità batterica [136,137], a dimostrazione probabilmente di un influsso genetico dell’ospite sul microbiota ruminale.

Le razze bovine autoctone: un interessante modello di studio

Un modello interessante per lo studio della suscettibilità alle malattie nelle bovine da latte potrebbe essere rappresentato dalle razze autoctone. Queste razze hanno avuto un ruolo notevole nella storia della zootecnia fino al 20° secolo, quando furono progressivamente abbandonate a favore di razze cosmopolite più produttive (Frisona, Bruna e Jersey) [138,141]. Alcune razze autoctone sono però sopravvissute, grazie soprattutto agli sforzi di numerosi piccoli allevatori tradizionali residenti principalmente in aree rurali marginali, e non sono state sottoposte all’intensa selezione genetica ricevuta dalle razze cosmopolite per migliorare le caratteristiche produttive. Come sopra ricordato, tale selezione ha portato allo sviluppo di peculiari caratteristiche fisiologiche, che hanno probabilmente alterato alcuni meccanismi di difesa immunitaria; tale fenomeno è sicuramente correlato all’aumentata incidenza di malattie metaboliche e infettive, e al peggioramento di fertilità e longevità [76,142,143,144]. Tutte queste perturbazioni fisiologiche sembrano essere meno intense nelle razze autoctone “a bassa produttività”.

La comunità scientifica sta quindi confrontando razze con differenti pressioni selettive al fine di migliorare la comprensione dei meccanismi regolatori della loro fisiologia. La letteratura non è molto ampia e presenta alcune limitazioni (ad esempio, numero di animali, diversi ambienti, dieta e gestione), ma è possibile dedurre importanti informazioni fisiologiche. Mendoca et al. [145] ha confrontato nel periodo di transizione bovine di razza Frisona con vacche ottenute dall’incrocio tra vacche di razza Frisona e tori di razza Montbéliarde, senza trovare differenze in termini di risposte metaboliche e infiammatorie (concentrazione di aptoglobina), produzione di latte e incidenza delle tipiche malattie del periparto (membrane fetali trattenute, metrite ed endometrite subclinica). Tuttavia le vacche di razza Frisona mostravano più eventi di piressia nella prima lattazione (50,0 vs 31,4%) e una maggiore incidenza di perdite vaginali purulente (44,2 vs 26,5%) rispetto alle vacche frutto dell’incrocio.

Curone et al. [6] ha confrontato, sempre nel periodo di transizione, vacche di razza Frisona e Rendena, osservando che le Frisone nel postparto avevano una risposta infiammatoria sistemica più grave in termini di aptoglobina, proteine totali, globuline e bilirubina, e una mobilizzazione dei grassi più estesa, associata a minore mobilizzazione degli aminoacidi dal tessuto muscolare.

Sia in questo studio che in quello successivo di Cremonesi et al. [146], sono stati anche forniti approfondimenti dettagliati sulla popolazione che costituisce il microbiota del latte delle due razze. I risultati hanno evidenziato l’esistenza di differenze in termini di diversità microbica, sia per quanto riguarda la tassonomia che i profili funzionali batterici previsti. Tali differenze, che potrebbero avere un impatto sulla salute della ghiandola mammaria per quanto riguarda la resistenza alle malattie, sembrano legate ai cambiamenti infiammo-metabolici che si verificano intorno al parto e suggeriscono una possibile relazione tra queste risposte e i meccanismi di resistenza nella ghiandola mammaria.

Anche la razza locale Simmental confrontata con la razza Frisona durante il periodo di transizione ha mostrato un differente adattamento metabolico, in termini di risposte del pattern energetico, infiammatorio e ossidativo [101]. Le vacche Simmental sembrano più sensibili all’induzione del sistema immunitario dopo il parto, con una maggiore abbondanza dei trascritti dei geni codificanti per citochine pro-infiammatorie e per recettori cellulari e dei geni che regolano la migrazione cellulare e l’adesione [102,110].

Uno dei più grandi studi comparativi fra razze diverse [148] ha confrontato la produzione, la fertilità, la longevità e i tratti associati alla salute in razze bovine autoctone da latte in 4 diverse nazioni europee: Austria, Svizzera, Polonia e Svezia. Le rese medie di latte erano sostanzialmente inferiori per le razze locali rispetto a quelle commerciali in tutti i paesi. Le razze locali hanno però mostrato una vita produttiva più lunga e un intervallo interparto più breve ,con tassi  di successo di inseminazione maggiori rispetto alle razze commerciali.

Un altro approccio per rivalutare le razze autoctone è l’uso di incroci tra soggetti appartenenti a razze diverse. Diversi studi hanno mostrato come l’incrocio di vacche di pura razza Frisona con tori di razze autoctone possa migliorare la longevità, la robustezza e la fertilità della progenie e, di conseguenza, la redditività dell’allevamento [149,150,151]. Il livello di produzione inferiore delle razze locali può essere in parte compensato dai vantaggi in termini di fertilità, stato di salute e longevità. È importante ricordare che gli obiettivi di allevamento dovrebbero bilanciare la produttività con i tratti funzionali [152] e la scelta di razze da latte appropriate può essere considerata un fattore chiave per una gestione sanitaria di successo nell’allevamento da latte.

Conclusioni

Il sistema immunitario si è evoluto come un sistema di rilevamento e di risposta altamente raffinato pronto a reagire contro diversi fattori di stress, infettivi e non infettivi, ai fini di una migliore sopravvivenza e adattamento. Questo quadro operativo è messo a repentaglio quando i bovini da latte ad alto rendimento sono gestiti male. Si può sostenere che un elevato merito genetico per la produzione di latte è correlato a un controllo difettoso della risposta infiammatoria. Ciò è evidente nel modello “mastite” in cui le vacche da latte ad alto rendimento mostrano un’elevata prevalenza di malattie nel quadro di una ridotta efficacia della risposta immunitaria innata.

Strumenti di monitoraggio efficaci, immunomodulatori e nutraceutici dovrebbero essere combinati con una corretta gestione dell’azienda agricola e dei regimi di alimentazione. Protocolli di intervento specifici per i bovini da latte ad alto rendimento dovrebbero essere implementati nelle prime settimane dopo il parto e al momento dell’asciutta, poiché queste fasi costituiscono fattori di stress rilevanti, fondamentali per l’insorgenza della malattia e della conseguente rimozione precoce degli animali dalla mandria.

 

 

Tratto da “The Role of Innate Immune Response and Microbiome in Resilience of Dairy Cattle to Disease: The Mastitis Model“, Animals 2020, 10(8), 1397; doi.org/10.3390/ani10081397.

 

Autori: Valerio Bronzo1 & Vincenzo Lopreiato2 , Federica Riva1, Massimo Amadori *3, Giulio Curone 1, Maria Filippa Addis1, Paola Cremonesi 4, Paolo Moroni1,5, Erminio Trevisi2 e Bianca Castiglioni4

1 Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Medicina Veterinaria, Lodi, 26900, Italy; valerio.bronzo@unimi.it, federica.riva@unimi.it, giulio.curone@unimi.it, filippa.addis@unimi.it, paolo.moroni@unimi.it

2 Università Cattolica del Sacro Cuore, Dipartimento di Scienze animali, Alimentazione e Nutrizione, Facoltà di Agraria, Scienze Alimentari e Ambientali, Piacenza, 29122, Italy; vincenzo.lopreiato@unicatt.it, erminio.trevisi@unicatt.it

3 Rete Nazionale di Immunologia Veterinaria, Brescia, 25125, Italy; m_amadori@fastwebnet.it

4 Institute of Biology and Biotechnology in Agriculture, National Research Council (CNR), Lodi, 26900, Italy; paola.cremonesi@ibba.cnr.it, bianca.castiglioni@ibba.cnr,it

5 Quality Milk Production Services, Animal Health Diagnostic Center, Cornell University, 240 Farrier Road, Ithaca, NY 14850, USA; pm389@cornell.edu

Corrispondenza: m_amadori@fastwebnet.it; Tel.: +39-347-462-483