Introduzione
Produzione dei peptidi bioattivi
Proteine del latte: una fonte di peptidi bioattivi
Proprietà immunomodulatorie dei peptidi derivati dal latte
Caratteristiche strutturali e funzionalità dei petidi immunomodulatori
Conclusioni
Ringraziamenti
Bibliografia

ALINE REYES-DÍAZ, AARÓN F GONZÁLEZ-CÓRDOVA, ADRIÁN HERNÁNDEZ-MENDOZA, RICARDO REYES-DÍAZ e BELINDA VALLEJO-CORDOBA*
Laboratorio de Química y Biotecnología de Productos Lácteos., Centro de Investigación en Alimentación y Desarrollo, A.C. (CIAD), Carretera a La Victoria Km 0.6, Hermosillo, Sonora 83304, México
* Autore a cui inviare la corrispondenza.
E-mail: vallejo@ciad.mx

I peptidi derivati dalle proteine del latte hanno dimostrato di possedere proprietà immunomodulatorie sia singolarmente che all’interno di miscele. Tuttavia, le informazioni in nostro possesso sul comportamento di questi composti sono scarse e questo complica ulteriormente il loro studio. Questa review raccoglie le conoscenze attuali che abbiamo sui peptidi immunomodulatori derivati dalle proteine del latte, e comprende peptidi idrolizzati, peptidi frazionati e singole proteine. Le prove raccolte dimostrano che gli idrolizzati derivati sia dalla caseina che dalle proteine del siero di latte possiedono effetti immunomodulatori; va sottolineato che questa bioattività è attribuita principalmente ai peptidi derivati dalle caseine. È comunque necessaria l’identificazione dei peptidi presenti negli idrolizzati, nonché la loro caratterizzazione e la conoscenza dei meccanismi che sono alla base della loro bioattività, per poter sfruttare ulteriormente i loro potenziali benefici per la salute.

Parole chiave: Peptidi immunomodulatori, proteine del latte, idrolizzati, batteri lattici

Introduzione

Le proteine contenute negli alimenti sono una fonte di aminoacidi e sono i precursori dei peptidi biologicamente attivi. I peptidi bioattivi vengono definiti come frammenti ottenibili dalle proteine; questi interagiscono con specifici recettori, stimolando o inibendo il sistema immunitario e determinando, in linea di massima, un impatto positivo sulla salute umana (Muro Urista et al., 2011, Choi et al., 2012; De Gobba et al., 2014; O’Keeffe e FitzGerald 2015). Sebbene le proteine siano coinvolte in una vasta gamma di attività, nella maggior parte dei casi gli idrolizzati proteici o i singoli peptidi mostrano una bioattività più marcata rispetto alle loro proteine parentali (Lönnerdal 2003). Numerose review hanno descritto i diversi effetti biologici dei peptidi derivati dalle proteine contenute negli alimenti (Hartmann e Meisel 2007, Agyei e Danquah 2012, Udenigwe e Aluko 2012). In particolar modo, è stata dimostrata l’attività immunomodulatrice degli idrolizzati derivati dalle principali proteine del latte (Gill et al.2000, Brandelli et al., 2015 Hsieh et al., Nongonierma e FitzGerald 2015, Park e Nam 2015). Tuttavia, le prove di questa bioattività sono comunque limitate, poiché pochi studi hanno affrontato questo argomento. La ricerca si è concentrata su studi in vitro, nei quali si è osservato l’effetto degli idrolizzati sulle cellule del sistema immunitario, così come su studi in vivo, durante i quali sono stati monitorati i processi di degradazione enzimatica, di assorbimento e di trasporto dei peptidi verso specifici recettori. Tuttavia, i meccanismi molecolari mediante i quali i peptidi bioattivi esercitano il loro effetto immunomodulatore non sono stati ancora del tutto chiariti. Ognuno di questi peptidi ha una struttura unica che potrebbe influenzare in maniera differente la risposta immunitaria e le funzioni cellulari (Hernández- Ledesma et al., 2014). Pertanto, è necessario raccogliere tutte le informazioni esistenti ed identificare le specifiche sequenze che hanno dimostrato di avere effetti immunomodulatori. Poiché i peptidi immunomodulatori riportati in precedenza derivavano principalmente da proteine del latte, questa review include ed analizza le prove in nostro possesso sull’effetto immunomodulatore degli idrolizzati, delle frazioni peptidiche e dei singoli peptidi contenuti nel latte. 

Produzione dei peptidi bioattivi

I peptidi sono molecole inattive quando contenute all’interno della loro proteina nativa, ma possono venire rilasciati grazie all’intervento di specifici enzimi in grado di demolire i legami proteici durante un processo chiamato proteolisi (Li-Chan 2015). Quindi, l’idrolisi delle proteine è un processo importante per la liberazione di peptidi bioattivi efficaci (Nagpal et al., 2011). Per studiare questo processo, possono essere utilizzate diverse metodiche, ad esempio la simulazione dei processi digestivi gastrointestinali, la proteolisi mediante fermentazione microbica o altre tecniche in vitro che utilizzano specifiche proteasi (De Simone et al., 2009). Durante il processo digestivo gastrointestinale che si verifica dopo l’ingestione orale, le proteine vengono digerite dalla pepsina nello stomaco in ambiente acido. I prodotti della digestione vengono idrolizzati dagli enzimi pancreatici, come tripsina, chimotripsina e peptidasi, che derivano dalle cellule dell’orletto a spazzola dei villi intestinali, così come vengono scissi anche da altri enzimi presenti nel microbiota umano (Saavedra et al., 2013). Infine, per esercitare i loro effetti fisiologici in vivo, i peptidi bioattivi devono raggiungere i loro siti bersaglio sul lato luminale del tratto intestinale o su specifici organi periferici dopo loro assorbimento (Segura Campos et al., 2011 Wada e Lönnerdal 2014). A questo proposito sono stati simulati i processi enzimatici gastrointestinali, in maniera tale che somigliassero alla normale digestione umana delle proteine, per poter valutare la possibilità di rilascio di peptidi bioattivi dopo il normale consumo di proteine alimentari (Udenigwe e Aluko 2012). È stato anche visto che durante la fermentazione microbica, l’attività metabolica dei batteri lattici (LAB) potrebbe generare peptidi bioattivi ex novo dal latte, attraverso la degradazione enzimatica delle proteine parentali (Hayes et al., 2007). La produzione di peptidi bioattivi mediante processi di fermentazione/maturazione di substrati proteici o di precursori può essere effettuata utilizzando diversi microrganismi, principalmente batteri, come ad esempio Lactobacillus helveticus, Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus e L. delbrueckii subsp. lactis. Questi microrganismi possiedono proteasi associate all’envelope responsabili della scissione delle proteine e, di conseguenza, del rilascio di peptidi (Hebert et al., 2008; Kamau et al., 2010; Espeche Turbay et al., 2012). Tuttavia, anche la presenza di altre biomolecole nei prodotti fermentati potrebbe esercitare effetti biologici. Queste biomolecole, come i peptidoglicani, l’acido lipoteicoico, il DNA e/o gli esopolisaccaridi (EPS) possono derivare da cellule batteriche o da processi di fermentazione batterica, come l’acido lattico, gli oligosaccaridi, l’acido gamma aminobutirrico, i fattori di crescita, gli ormoni e/o le batteriocine. Quindi, non è chiaro se le proprietà bioattive osservate siano dovute ai peptidi specificatamente rilasciati durante la fermentazione o se derivino dalle cellule batteriche stesse (Abdou et al., 2006, Granier et al., Agyei et al., 2016). La proteolisi effettuata in vitro comporta l’impiego di proteasi specifiche o meno in grado di idrolizzare le proteine e di rilasciare peptidi di maggior interesse. Questa tecnica produce idrolizzati con frazioni peptidiche prevedibili, vista la peculiarità di alcuni enzimi nel rompere dei legami della catena proteica (Kamau et al., 2010). Un processo post-idrolisi viene utilizzato per isolare i peptidi bioattivi da una miscela complessa di altre molecole inattive (Wang e Gonzalez de Mejia 2005; Aluko 2008). In aggiunta a ciò, i peptidi bioattivi possono essere purificati da idrolizzati proteici mediante diverse tecniche di separazione e quindi dosati per poter confermare la loro bioattività. Infine, i peptidi biologicamente attivi possono essere sintetizzati chimicamente per confermare le proprietà biologiche associate ad una sequenza specifica di amminoacidi (Clare e Swaisgood 2000). Inoltre, anche gli strumenti di calcolo possono risultare utili per ottimizzare la produzione di peptidi bioattivi e per condurre studi su di essi. Tali strumenti migliorano la comprensione dei diversi meccanismi di interazione tra recettori e peptidi bioattivi. In aggiunta, questi possono semplificare la produzione di peptidi e prevedere quali di essi verrebbero ottenuti partendo da proteine alimentari note, attraverso l’esecuzione di studi in silico prima ancora di una sintesi in laboratorio umido (Agyei e Danquah 2012). 

Proteine del latte: una fonte di peptidi bioattivi

Sebbene i peptidi potenzialmente bioattivi siano stati identificati all’interno di diverse proteine animali o vegetali presenti nella dieta umana, le proteine del latte vengono considerate una delle fonti principali di peptidi bioattivi (Hafeez et al., 2014). Infatti, in uno studio condotto da Dziuba et al. (2009) è stato valutato (mediante una simulazione di proteolisi assistita dal computer) il ruolo delle proteine del latte come precursori di peptidi bioattivi. L’incidenza delle sequenze con proprietà bioattive e i loro effetti associati sono elencati di seguito in ordine di frequenza (da maggiore a minore): antipertensivo, inibente la dipeptidil peptidasi IV, oppiaceo, antagonista degli oppioidi, antiossidante, antitrombotico, immunomodulatore, in grado di legare e trasportare metalli e ioni metallici, antibatterico, antivirale e regolatore della contrattilità dei muscoli lisci. Tuttavia, è noto come alcuni peptidi possiedano caratteristiche multifunzionali (Saavedra et al., 2013). 

Proprietà immunomodulatorie dei peptidi derivati dal latte

Un adeguato funzionamento del sistema immunitario è essenziale per mantenersi in salute. Tuttavia, le strategie per modulare efficacemente la risposta immunitaria non sono state ancora completamente esplorate. Sebbene esistano diversi farmaci in grado di rallentare la progressione di specifiche malattie negli esseri umani, i loro effetti collaterali a volte superano i loro benefici (Nongonierma e FitzGerald 2015). In questo contesto, è stato dimostrato come alcuni peptidi siano in grado di stimolare, o inibire, determinate funzioni del sistema immunitario, a seconda della dose somministrata, delle condizioni sperimentali e della loro attività sull’organismo. Nel complesso, tali attività possono essere etichettate come “immunomodulazione” (Werner et al., 1986). L’immunomodulazione è necessaria per gestire le conseguenze di un sistema immunitario deregolato, e i peptidi bioattivi rappresenterebbero una potenziale alternativa per la gestione della malattia, in quanto hanno bassa tossicità e tendono a non accumularsi nei tessuti corporei (Gokhale e Satyanarayanajois 2014; Agyei et al. 2016) . L’immunomodulazione tramite peptidi bioattivi si verifica quando questi composti si legano ad uno specifico recettore e, di conseguenza, vengono promosse le risposte immunitarie e le funzioni cellulari a valle di tale interazione, con conseguente soppressione o stimolazione di specifiche (attivazione e proliferazione dei linfociti, produzione di anticorpi ed espressione di citochine) e/o aspecifiche (funzionamento di macrofagi, granulociti e cellule natural killer) risposte immunitarie (Meisel 2004; Gauthier et al., 2006). In questa review vengono presi in considerazione gli studi condotti su idrolizzati contenenti peptidi immunomodulatori così come quelli fatti su singole sequenze di peptidi immunomodulatori. In primo luogo, sono stati descritti gli idrolizzati e le frazioni peptidiche e poi sono stati presentati i singoli peptidi (Tabelle 1 e 2).  

Tabella 1 Effetto immunomodulatore degli idrolizzati e delle frazioni peptidiche derivati dalle proteine del latte 

LAB, batteri lattici; GMP, glicomacropeptide; CN, caseina; LA, lattoalbumina; LF, lattoferrina; LG, lattoglobulina; NR, non riportato; aEnzimi derivati da batteri lattici; ↑ = aumento; ↓ = diminuzione

Tabella 2 Effetto immunomodulatore di specifiche sequenze dei peptidi derivati dalle proteine del latte 

LPS, lipopolisaccaride; MMP-9, metalloproteasi di matrice 9; PHA, fitoemoagglutinina; CN, caseina; LF, lattoferrina; LA, lattoalbumina; NR, non riportato. aEnzimi derivati da batteri lattici; ↑ = aumento; ↓ = diminuzione 

È stata valutata l’azione immunomodulante degli idrolizzati della caseina proveniente da latte bovino e i loro effetti sulla proliferazione dei linfociti splenici e sulle cellule delle placche del Peyer di topo e di coniglio. Gli idrolizzati (prodotti grazie agli enzimi pancreatina e tripsina) di αs1-caseina e β-caseina hanno inibito in maniera significativa la proliferazione di tali cellule; anche gli idrolizzati della κ-caseina hanno mostrato avere un effetto inibitorio (Otani e Hata 1995). Nel frattempo, Sutas et al. (1996) hanno scoperto che i peptidi derivati dall’idrolisi mediante pepsina/tripsina della κ-caseina hanno significativamente stimolato la proliferazione indotta da mitogeni dei linfociti umani. Tuttavia in questo stesso studio, gli idrolizzati della κ-caseina, prodotti da enzimi derivati dal ceppo Lactobacillus casei GG, hanno manifestato un consistente effetto soppressivo sulla proliferazione dei linfociti. Inoltre, è stato valutato l’effetto del glicomacropeptide (GMP), un frammento di 64 amminoacidi derivato dalla caseina, sui monociti del sangue periferico umano. L’idrolisi del GMP da parte della pepsina ha comportato un aumento dell’attività proliferativa e della fagocitosi. Ciò indica che i frammenti di GMP prodotti dall’idrolisi mediante pepsina hanno una potenziale capacità immunostimolante (Li e Mine 2004). Per quanto riguarda le proteine presenti nel siero di latte, è stato dimostrato come l’idrolizzato della α-La fosse in grado di potenziare la risposta immunitaria umorale nei topi. Questo effetto prevede una modulazione dell’attività sia dei linfociti B che delle cellule T helper (Bounous et al., 1981; Bounous e Kongshavn 1985). Miyauchi et al. (1997) hanno valutato un idrolizzato della lattoferrina bovina. I risultati hanno mostrato un effetto stimolante sulle cellule B e sulle immunoglobuline, nonché un aumento della produzione di cellule delle placche del Peyer, suggerendo che l’utilizzo di questo idrolizzato risulterebbe benefico per un miglioramento dell’immunità mucosale. Inoltre le proprietà immunomodulatorie degli idrolizzati enzimatici (tripsina/chimotripsina), a partire da proteine del siero in commercio, hanno fatto aumentare significativamente la proliferazione dei linfociti (Mercier et al., 2004). Le proteine del siero di latte sono state valutate come complesso e anche come frazioni ottenute dopo la loro idrolisi. Ad esempio, un altro report ha mostrato come sia la proteina del siero di latte che le sue frazioni peptidiche (ottenute con tripsina/chimotripsina) fossero in grado di modulare, dopo somministrazione, il sistema immunitario dei topi (Saint-Sauveur et al., 2009). È noto che la β-lattoglobulina è la proteina più abbondante nel siero di latte ed è un vettore di piccole molecole idrofobe, tra cui l’acido retinoico, considerato un potenziale modulatore delle risposte linfocitarie (Guimont et al., 1997). Ad esempio, Elitsur et al. (1997) hanno scoperto che l’acido transretinoico è potenzialmente in grado di stimolare la proliferazione indotta da mitogeni di linfociti (LPL) derivati dalla lamina propria del colon umano. Questo effetto non è stato osservato quando i preparati linfocitari presentavano una deplezione di macrofagi, suggerendoci che l’acido trans retinoico potrebbe influenzare le cellule accessorie durante la proliferazione dei linfociti. Oltre a quelli derivati dall’impiego di enzimi specifici o aspecifici, continuano ad accumularsi prove sull’attività dei peptidi derivati dal latte fermentato dai LAB. Ad esempio, Lactobacillus paracasei NCC2461 può aiutare a prevenire l’allergia al consumo di latte nei topi, inducendo tolleranza orale alla β-lattoglobulina. Analogamente, è stato dimostrato che l’aggiunta di L. paracasei porterebbe  alla formazione di peptidi idrolizzati e ad una tolleranza indotta alla β-lattoglobulina, sopprimendo la proliferazione dei linfociti, stimolando la produzione di interleuchina-10 (IL-10) e sottoregolando la secrezione di IFN-γ e di IL-4 ( Prioult et al., 2004). In un modello murino con malnutrizione proteico-energetica non grave, sono stati valutati gli effetti dell’impiego di un latte fermentato probiotico e di un siero di latte fermentato probiotico privo di batteri sulla ricostituzione della mucosa intestinale e sulla stimolazione dell’immunità locale e sistemica (Galdeano et al. 2007). L’impiego di questi trattamenti ha migliorato il microbiota intestinale e aumentato il numero di cellule IgA, macrofagi e cellule dendritiche. È aumentata anche la produzione da parte di queste cellule di differenti citochine (IFN-γ, TNF-α, IL-12) e, nel peritoneo e nella milza, l’attività dei fagociti (Galdeano et al., 2007). In maniera molto simile, l’effetto di frazioni non batteriche contenenti peptidi provenienti da latte fermentato ad opera di L. helveticus sulla crescita del sistema immunitario umorale è stato quello di un aumento significativo delle cellule produttrici di IgA intestinali nei topi (LeBlanc et al., 2002). Si è anche scoperto che queste frazioni modulavano l’immunità mucosale e provocavano un aumento del numero di cellule in grado di produrre IL-10, IL-2 e IL-6. In particolar modo, IL-6 è stata riscontrata nelle cellule epiteliali dell’intestino tenue (Vinderola et al., 2007). Mentre gli effetti immunomodulatori degli idrolizzati e delle frazioni peptidiche derivate dalle proteine del latte sono stati ben evidenziati, alcuni studi hanno evidenziato come anche le singole proteine siano in grado di esercitare un effetto benefico sul sistema immunitario. La caseina, per esempio, è stata esaminata per la sua capacità di rilasciare peptidi immunomodulatori. Questi risultati hanno rivelato come la αS1-caseina, in seguito all’idrolisi operata dalla chimosina, rilasci il segmento N-terminale (1-23), che è in grado di proteggere i topi dalla Candida albicans stimolando sia la fagocitosi che la risposta immunitaria (Lahov e Regelson 1996). Inoltre, i peptidi derivati dalla caseina inibiscono gli enzimi coinvolti nel processo infiammatorio: ad esempio il peptide derivato dalla αs1-caseina NENLLRFFVAPFPEVFG (17-33) inibisce l’attività della metalloproteinasi di matrice 9 (MMP-9) nelle cellule HT-29 e SW480 (Juillerat-Jeanneret et al., 2011; Chatterton et al., 2013). È stato dimostrato come un altro peptide derivato dalla αs1-caseina, corrispondente alla sequenza 142- 149 (LAYFYPEL), sia un efficace induttore delle cellule T CD8(+). Varianti di questo peptide hanno indotto un aumento della secrezione di IFN-γ da specifiche cellule T CD8(+) rispetto alla sequenza 142-149 (Totsuka et al., 1998). Tra i peptidi biologicamente attivi derivati dalle proteine del latte, alcuni dei più studiati sono i fosfopeptidi della caseina (CPP). Questi fosfopeptidi possono formare complessi con calcio o altri minerali e possiedono differenti ed interessanti impieghi (Otani et al., 2000). La sequenza 59-79 della αs1caseina (un peptide isolato dalla regione ricca di fosfoserina) ha manifestato un’attività stimolante l’immunità umorale in colture cellulari, in grado di migliorare significativamente la produzione di immunoglobuline (IgG, IgM e IgA). Inoltre, questa sequenza inibiva la proliferazione indotta da concanavalina A degli splenociti di topo e delle cellule delle placche del Peyer di coniglio, aumentando al contempo, la proliferazione di entrambe queste due tipologie di cellule indotta da lipopolisaccaride (LPS) e da fitoemoagglutinina (PHA) (Hata et al., 1998). D’altra parte, Kitamura e Otani (2002) hanno dimostrato che l’ingestione di tavolette arricchite con CPP, contenenti il frammento 1-32 della αs1caseina e il frammento 1-28 della β-caseina, induceva un aumento del contenuto di IgA nelle feci, suggerendo un effetto positivo sull’immunità mucosale in esseri umani sani. La β-caseina bovina (1-28) purificata da un preparato commerciale di CPP, ha migliorato anche l’attività delle immunoglobuline e la produzione di citochine in linee cellulari T, B e nei monociti dell’uomo (Kawahara e Otani 2004). Inoltre, i residui 1-25 dalla regione ricca di fosfoserina della β-caseina bovina hanno avuto un effetto simile sulla proliferazione degli splenociti e delle cellule delle placche del Peyer di topo e di coniglio, indipendentemente dal fatto che venissero stimolate con il mitogeno commerciale (Hata et al. 1998). È stato anche dimostrato l’effetto immunomodulatore di altri peptidi derivati dalla β-caseina. Un esapeptide (54-59), derivato dalla β-caseina umana mediante idrolisi enzimatica con tripsina non pretrattata, si è dimostrato capace di stimolare la fagocitosi, da parte dei macrofagi peritoneali murini, di globuli rossi ovini opsonizzati. Questo esapeptide, somministrato in un modello murino, ha aumentato la resistenza alle infezioni da Klebsiella pneumoniae (Parker et al., 1984). La β-casomorfina-7, un altro peptide derivato dalla β-caseina, è stato esaminato visto il suo effetto sulla proliferazione dei linfociti umani; a basse concentrazioni il suo effetto è di tipo soppressivo ma, a concentrazioni maggiori, si è dimostrato in grado di favorire la proliferazione. Coste et al. (1992) osservarono che la sequenza C-terminale 192-209 della β-caseina bovina, isolata da un idrolizzato pepsina-chimosina, induceva (ad elevate concentrazioni) una significativa risposta proliferativa sulle cellule dei linfonodi attivati e su quelle inattivate della milza dei ratti Kayser e Meisel (1996) hanno scoperto che le sequenze Tyr-Gly (38-39) e Tyr Gly-Gly (18-20) presenti, rispettivamente, nella struttura primaria della κ-caseina bovina  e della α-lattoalbumina incrementavano significativamente la proliferazione dei linfociti nel sangue periferico. Al contrario la β-casomorfina-7 (residui 60-66) e la β-casomorfina-10 (residui 193-202), derivate dalla β-caseina bovina, a basse concentrazioni sopprimevano la proliferazione e ad alte la stimolavano. Il glicomacropeptide, come detto in precedenza, è probabilmente il peptide immunomodulatore più studiato. Ad esempio, Otani et al. (1995) hanno confermato che il GMP inibisce gli effetti del sistema immunitario nelle colture di splenociti di topi in presenza di SRBC ed hanno confermato che inibisce anche le risposte proliferative, indotte sia da LPS che da PHA, degli splenociti e delle placche del Peyer di coniglio. D’altro canto, il GMP migliora la proliferazione e l’attività fagocitaria delle cellule umane simili ai macrofagi (Li e Mine 2004). Requena et al. (2009) hanno dimostrato che il GMP favorisce l’espressione di TNF, IL-1β e IL-8 nei monociti, a seconda della sua concentrazione. Ci sono prove che alcuni peptidi derivati da proteine del siero di latte possiedano un effetto immunomodulatore. Uno di questi è la lattoferricina B, un peptide derivato dalla regione N-terminale della lattoferrina bovina, ottenuto per idrolisi mediante pepsina. È stato scoperto che questo peptide promuove l’attività fagocitaria dei neutrofili umani attraverso un doppio meccanismo che prevederebbe un legame diretto con l’attività dei neutrofili e un’attività simil opsonizzante (Miyauchi et al., 1997). Inoltre, il peptide sintetico Gly-Leu-Phe (corrispondente alla sequenza f51-53 proveniente dalla α-LA) ha aumentato significativamente la fagocitosi dei SRBC da parte dei macrofagi murini peritoneali ed ha protetto i topi da infezioni letali con Klebsiella pneumoniae (Berthou et al., 1987). Questo peptide stimolava, in maniera dose-dipendente, anche il legame tra i globuli rossi senescenti e le cellule monocito-macrofagiche umane, nonché la fagocitosi da parte di quest’ultime (Gattegno et al., 1988). Questa attività è correlata alla presenza di specifici siti di legame sulle cellule fagocitiche del sangue umano (Jaziri et al., 1992). I peptidi immunomodulatori analizzati in questa recensione derivano principalmente dalla caseina. Questo può essere dovuto all’elevato quantitativo  di caseina presente nel latte, rispetto a quello delle proteine contenute nel siero. Tuttavia, è stato evidenziato che alcune regioni della struttura primaria delle caseine contengono sequenze peptidiche sovrapposte, in grado di esercitare effetti biologici differenti. Queste regioni vengono indicate come “zone strategiche” e sono parzialmente protette dalla proteolisi (Meisel 2004). Questo comportamento è stato confermato da Juillerat- Jeanneret et al. (2011), i quali hanno riportato che gli idrolizzati delle proteine del latte (e in particolare la β caseina), ottenuti in seguito all’impiego di LAB, possiedono una resistenza agli enzimi proteolitici coinvolti in diverse malattie umane. Pertanto, l’elevato numero di peptidi immunomodulatori derivati dalla caseina e le loro attività potrebbero essere dovuti ad una loro resistenza alla proteolisi. 

Caratteristiche strutturali e funzionalità dei petidi immunomodulatori

I peptidi bioattivi derivati dalle proteine del latte differiscono per quanto concerne la sequenza aminoacidica e la lunghezza. Le caratteristiche strutturali delle proteine possono influenzare il livello di proteolisi e la tipologia di peptidi rilasciati, così come la loro localizzazione all’interno del corpo umano, che a sua volta dipende dal loro assorbimento e dalla biodisponibilità (Fiat e Jollès 1989). Ad esempio, sebbene molti peptidi derivati da αs1-, β- o κ-caseine siano stati riscontrati nello stomaco di adulti umani dopo l’ingestione di proteine del latte, nel duodeno sono stati evidenziati anche dei piccoli peptidi derivati da caseina e da lattoferrina. Oltretutto sono stati assorbiti e riscontrati nel plasma due peptidi lunghi, il κ-caseinoglicopeptide e il peptide N-terminale dell’ αS1-caseina (Chabance et al., 1998). Detto ciò, i peptidi con funzioni biologiche possiedono strutture specifiche, sebbene possano essere suscettibili all’azione delle proteasi. La biodisponibilità di frazioni peptidiche bioattive con differenti pesi molecolari è stata valutata in vitro in un modello di digestione gastrointestinale. La distribuzione in base al peso molecolare ha mostrato che i peptidi più grandi (> 3 kDa) erano più facilmente digeriti rispetto a quelli più piccoli (<3 kDa) (Chen e Li 2012). Pertanto, i risultati dei test in vitro dovrebbero essere convalidati da studi in vivo, poiché l’attività di questi peptidi dipende dal loro assorbimento e dalla loro biodisponibilità, che sono strettamente correlati alla loro struttura (Hern andez-Ledesma et al., 2014). Per approfondire l’importanza della struttura dei peptidi bioattivi ad attività immunomodulatoria, i peptidi da 2 a 64 amminoacidi sono riassunti nella Tabella 2. I pesi molecolari dei peptidi riportati sono intorno o al di sotto dei 3 kDa, fatta eccezione per il GMP. Inoltre, la variabilità della lunghezza e del peso molecolare di questi peptidi ci suggerisce che possono anche prendere vie di trasporto differenti a livello di epitelio intestinale. Questo potrebbe influenzare la loro biodisponibilità e la loro modalità di azione, oppure l’esercizio di una specifica attività biologica a livello di sistema immunitario. In alcuni studi condotti sui peptidi bioattivi è stato dimostrato come i dipeptidi e i tripeptidi venissero trasportati attivamente mediante un trasportatore specifico (PepT1), mentre gli oligopeptidi potevano essere trasportati passivamente per via paracellulare, oltrepassando il monostrato cellulare (Fei et al., 1994; Satake et al 2002). Inoltre, gli oligopeptidi possono essere veicolati per transcitosi (trasporto transcellulare mediato da vescicola, Shen et al., 1992). Anche la presenza di amminoacidi chiave conferisce funzionalità differenti e specifiche. Ad esempio, la presenza di arginina nella regione N- o C-terminale dei peptidi rappresenta un’importante componente strutturale, riconosciuta da specifici recettori legati alla membrana (Pagelow e Werner 1986). In alcuni dei peptidi considerati in questa review, l’arginina era posizionata sul terminale N o C. In linea generale, le caratteristiche strutturali, l’idrofobicità e la basicità, così come la sequenza e la composizione di amminoacidi, svolgono un ruolo cruciale nel determinare le attività biologiche innescate dai peptidi bioattivi (Hancock e Sahl 2006, Korhonen e Pihlanto 2006). Quindi, oltre all’identificazione dei peptidi immunomodulatori, un punto focale delle ricerche future dovrebbe essere anche la loro caratterizzazione, seguita dalla comprensione di come questi peptidi svolgano le loro funzioni biologiche. 

Conclusioni

L’attività immunomodulatoria è uno dei benefici mostrati dai peptidi derivati dalle proteine del latte. Finora, le prove raccolte indicano che gli idrolizzati e le frazioni peptidiche derivate sia dalla caseina che dal siero di latte hanno importanti effetti immunomodulatori. La caseina è la proteina più studiata per quanto concerne l’origine dei peptidi immunomodulatori, sebbene diversi report si siano concentrati anche sui peptidi derivati dalle proteine del siero. Tuttavia, quando si sono valutati i singoli peptidi specifici, i risultati hanno mostrato che la stragrande maggioranza dei peptidi immunomodulatori derivavano dalle caseine. Di conseguenza, la β-caseina è la fonte principale dei peptidi bioattivi identificati e riportati in letteratura. Diversi studi hanno messo in evidenza la capacità immunomodulatoria degli idrolizzati derivati dalle proteine del latte mediante l’azione di batteri, come i LAB, e i corrispondenti effetti sulla modulazione del sistema immunitario. Purtroppo, gli idrolizzati hanno mostrato questo effetto indipendentemente dalla presenza di batteri vivi. In questo caso, gli effetti risultanti potrebbero essere collegati a componenti delle cellule batteriche e non solo alla presenza di peptidi immunomodulatori. D’altra parte, poiché nell’intestino si verificano naturalmente processi fermentativi, i componenti bioattivi come i peptidi immunomodulatori potrebbero essere prodotti ex novo. In entrambi i casi è necessaria l’identificazione dei peptidi con attività immunomodulatoria. I meccanismi molecolari mediante i quali i peptidi derivati dalle proteine del latte esercitano i loro effetti immunomodulatori non sono ancora stati definiti. Questi peptidi hanno una lunghezza variabile che, in aggiunta ad altre caratteristiche strutturali, porterebbe ad una azione aspecifica sui loro bersagli. Pertanto l’identificazione di nuovi peptidi immunomodulatori e la loro successiva caratterizzazione sono necessarie per integrare le informazioni già esistenti, per scoprire i meccanismi alla base del loro funzionamento e infine per capire il loro potenziale effetto biologico. Inoltre, visto che gli studi analizzati in questa review riguardavano solamente le attività biologiche degli idrolizzati o dei peptidi presenti nel  latte, dovrebbero essere tenuti in considerazione anche altri aspetti importanti, come le loro proprietà sensoriali. Questo perché i peptidi bioattivi prodotti durante l’idrolisi delle proteine del latte possono avere un sapore amaro. Pertanto, prima che questi idrolizzati o peptidi possano essere impiegati come prodotti alimentari, dovrebbero essere sottoposti ad un’appropriata trasformazione in grado di ridurre il loro sapore amaro senza comprometterne però la bioattività. 

Ringraziamenti

Gli autori esprimono la loro gratitudine al National Council for Science and Technology (CONACyT) del Messico per la borsa di studio assegnata all’autore Aline Reyes-Díaz e per l’assegnazione della ricerca CB-2014-01 (230338). 

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International Journal of Dairy Technology, © 2017 Society of Dairy Technology,
DOI:10.1111/1471-0307.12421