La mastite bovina è un’infiammazione della ghiandola mammaria principalmente causata da un’infezione da parte di microorganismi, per lo più batteri. Nonostante le diverse strategie messe in atto per prevenirla, la mastite, specialmente nella forma subclinica, continua a rappresentare un grave problema economico per il settore lattiero-caseario, oltre che per la salute degli animali.

Ad oggi la tecnica gold standard per l’identificazione di infezioni intramammarie (IMI) è l’esame microbiologico, che però risulta di difficile applicabilità su larga scala. Per questo motivo, da diversi anni la conta delle cellule somatiche del latte (SCC) rappresenta l’indicatore più utilizzato a livello aziendale per identificare animali potenzialmente affetti da mastite, senza però fornire informazioni sulla presenza o meno di microorganismi infettanti.

Diversi studi scientifici nel corso degli anni hanno osservato che l’aumento di SCC nel latte comporta effetti negativi sulla qualità e composizione del latte, inclusa la componente proteica. Le frazioni proteiche del latte bovino hanno un ruolo fondamentale, non soltanto dal punto di vista nutrizionale, ma anche tecnologico, in quanto influenzano in modo significativo la coagulazione e la resa casearia.

In questo contesto, un recente studio condotto dal Dipartimento DAFNAE e del laboratorio DairyOmics dell’Università degli Studi di Padova ha voluto investigare in modo approfondito, per la prima volta rispetto a quanto fatto in letteratura fino ad ora a livello di singolo quarto mammario, l’effetto combinato di IMI subclinica e dello stato infiammatorio della ghiandola mammaria sul profilo proteico dettagliato del latte.

Lo studio è stato condotto utilizzando tre diversi tempi sperimentali. Al tempo 0 (T0) è stato effettuato uno screening batteriologico su latte individuale (pool dei quattro quarti) di 450 bovine di razza Frisona allevate in tre diverse aziende della Pianura Padana, con lo scopo di identificare gli animali affetti da IMI subclinica. Sulla base di questo screening sono stati individuati 78 animali positivi all’esame microbiologico, che sono stati poi seguiti a livello di singolo quarto mammario, in due tempi successivi: al T1, due settimane dal T0, e al T2, sei settimane dal T0. In totale, al T1 e T2 sono stati raccolti 529 campioni di latte di singolo quarto per i quali è stata effettuata l’analisi del profilo proteico tramite una metodica validata di HPLC a fase inversa (RP-HPLC), con la quale sono state identificate 4 caseine (αS1-, αS2-, β- e к-CN) e 3 sieroproteine (β-lattoglobulina, α-lattoalbumina e lattoferrina) successivamente espresse in modo qualitativo come percentuale di azoto presente nel latte.

L’analisi per singolo quarto ha permesso di valutare in modo approfondito il ruolo dei diversi attori coinvolti nelle alterazioni del profilo proteico del latte. In primis, nei due tempi di campionamento IMI ed SCC hanno mostrato un effetto simile sulle frazioni proteiche. Nello specifico, la presenza di IMI ha comportato una significativa riduzione di β-CN, probabilmente in seguito all’azione proteolitica esercitata da alcune proteasi di origine microbica. L’aumento di SCC ha indotto una significativa riduzione delle due frazioni caseiniche più importanti (β-CN e αS1-CN), in questo caso attribuibile all’incremento dell’attività di proteasi endogene presenti nel latte. Per quanto riguarda le proteine del siero, l’alterazione più significativa ha riguardato la lattoferrina, una glicoproteina con attività antimicrobica, che è aumentata sia in presenza di IMI che con l’incremento di SCC. Questo fa quindi supporre un suo ruolo nella modulazione della risposta immunitaria sia innata che adattativa. In ultimo, andando a considerare l’effetto combinato di IMI ed SCC, nei campioni positivi e con elevate SCC abbiamo osservato una più marcata degradazione della caseina totale (T1), e dell’αS-CN (T2), rispetto ai campioni negativi. Questi risultati suggeriscono l’esistenza di una potenziale azione sinergica di IMI ed infiammazione, che sembra diventare più evidente con elevate SCC.

In conclusione, questo studio ha permesso di investigare in modo più approfondito il comportamento delle frazioni proteiche del latte in presenza di IMI subclinica. In particolare, da quanto è emerso, sembra che lo status infiammatorio legato all’aumento delle SCC sia il fattore maggiormente coinvolto nell’alterazione del profilo proteico, suggerendo pertanto che le proteasi endogene sembrerebbero essere le forze trainanti nella degradazione proteica del latte.

La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico recentemente accettato sul Journal of Dairy Science dove è riportata tutta la letteratura citata: “Effect of intramammary infection and inflammation on milk protein profile assessed at the quarter level in Holstein cows” di V. Bisutti, A. Vanzin, S. Pegolo, A. Toscano, M. Gianesella, E. Sturaro, S. Schiavon, L. Gallo, F. Tagliapietra, D. Giannuzzi, e A. Cecchinato.

Autrice: Vittoria Bisutti, sotto la supervisione del Gruppo Editoriale ASPA: Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Luca Cattaneo, Gabriele Rocchetti, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra