L’andamento demografico negativo e il generale invecchiamento della popolazione italiana tra il 2013 e il 2022 hanno portato alla perdita di oltre due milioni di giovani con età tra 15 e 39 anni.

Nonostante questo, l’andamento del numero delle realtà agricole condotte da giovani appare relativamente migliore rispetto a quello degli altri comparti produttivi, pur in un generale quadro di difficoltà dell’imprenditoria giovanile in Italia.

Sono queste alcune delle informazioni contenute nell’edizione 2024 del rapporto “Giovani e Agricoltura” pubblicata in questi giorni da ISMEA. Questa edizione del documento, oltre a contenere l’aggiornamento dei principali dati sulla partecipazione giovanile al settore primario, propone una ricognizione delle misure a sostegno del ricambio generazionale previste dal Piano strategico dell’Italia relativo alla PAC 2023-27 e dalla politica nazionale.

Di seguito, ne riassumiamo i punti principali.

Un paese che invecchia

Il coinvolgimento dei giovani nell’agricoltura in Italia è chiaramente influenzato dal generale andamento demografico negativo e dall’invecchiamento della popolazione; due fenomeni che difficilmente potranno invertire i loro andamenti considerando i dati attualmente a disposizione.

Alla luce di questa dinamica, in Italia nel 2022 i giovani con età tra 15 e 39 anni erano 15,4 milioni, 2 milioni in meno rispetto al 2013 (-12%) e 4 milioni in meno rispetto a venti anni prima (-21%). L’incidenza di questa fascia di età sulla popolazione complessiva è diminuita complessivamente di otto punti percentuali rispetto al 2003.

Secondo quanto riportato da ISMEA, il nostro Paese risulta anche essere il più “vecchio” dell’UE: nel 2022 il rapporto tra giovanissimi (fino a 15 anni di età) e anziani, che rappresenta un importante indice del ricambio generazionale, è in Italia pari solo al 53%, contro una media comunitaria del 71%.

La situazione peggiora nelle aree rurali

La situazione è ancora più critica se si osserva l’andamento demografico per le aree rurali italiane che, anche a causa della terziarizzazione dell’economia, hanno subito un processo di progressivo spopolamento. Solo tra il 2018 e il 2022, la popolazione in tali territori si è ridotta del 3%, mentre è rimasta stabile nelle aree prevalentemente urbane. Ancora più preoccupante è il dato sullo spopolamento dei giovani (15-39 anni), che è pari al doppio, raggiungendo il 6%.

Si tratta di fenomeni preoccupanti non solo per le ripercussioni in termini economici, ma anche per gli aspetti ambientali, con molti terreni che rischiano di essere abbandonati o destinati ad usi non agricoli sostitutivi, con conseguente danno in termini di tutela del paesaggio rurale e della biodiversità.

Nel documento si sottolineano due fattori che accentuano particolarmente l’abbandono delle aree rurali da parte dei giovani:

  • Lo sviluppo ancora incompleto delle infrastrutture digitali.
  • La carenza di servizi per la prima infanzia.

Tra gli elementi di attrazione positivi delle aree rurali si sottolinea invece la presenza di un diffuso patrimonio di fattori culturali, artistici, ambientali, paesaggistici e – soprattutto – enogastronomici, che possono creare occupazione e attivare il coinvolgimento delle fasce più giovani della popolazione.

Il ruolo della formazione è fondamentale

L’istruzione e la formazione giocano (e giocheranno in futuro) un ruolo importante nel garantire la disponibilità delle figure professionali necessarie a far fronte alla radicale trasformazione che sta interessando il settore agricolo. In particolare, sta cambiando anche la figura dell’imprenditore agricolo: nuove competenze sono sempre più necessarie, per esempio, per sfruttare a pieno il potenziale offerto dell’innovazione tecnologica o per assecondare la vocazione multifunzionale che contraddistingue l’agricoltura italiana. Non a caso, qualifiche adeguate sono diventate obbligatorie per accedere ai finanziamenti pubblici per i giovani agricoltori che si insediano a capo di un’azienda.

In Italia operano 37 università a indirizzo agro-forestale e veterinario e 451 istituti agrari, divisi tra istituti tecnici (179) e professionali (272), di cui la metà si trova nel Mezzogiorno (51%). Nonostante la ricchezza dell’offerta formativa connessa al settore primario, preoccupano i dati relativi al suo scarso appeal: nell’ultimo quinquennio, a fronte di una sostanziale stabilità degli iscritti agli istituti tecnico professionali, si riduce il numero di quanti scelgono un indirizzo agrario; anche le immatricolazioni alle università con indirizzo agro-forestale e veterinario risultano in calo, mentre quelle complessive crescono. Questo andamento è in totale controtendenza rispetto alla crescente richiesta di competenze specialistiche in campo agricolo, e sottolinea la necessità di migliorare l’immagine dell’agricoltura come scelta di carriera e l’allineamento delle competenze alle esigenze del settore.

Le imprese agricole condotte da giovani calano in misura minore

Nel periodo 2018-23, le imprese agricole under 35 si sono ridotte molto meno, in termini relativi, rispetto alle pari età dell’industria alimentare, della ristorazione e dell’economia nel complesso, fenomeno che secondo gli autori del documento dimostra come la questione del ricambio imprenditoriale sia trasversale a tutti i macrosettori economici e come l’agricoltura, nonostante tutto, mantenga un buon potere di attrazione di giovani leve.

Alla fine del 2023 le imprese agricole giovanili presenti nel Registro delle imprese presso le Camere di Commercio erano 52.717, in calo dell’8,5% rispetto al 2018, ma soprattutto con una brusca riduzione (-4,8%) registrata nel corso dell’ultimo anno. Questa flessione, almeno in parte riconducibile alla ormai strutturale riduzione della consistenza demografica dei giovani in Italia, risulta comunque in linea con quella osservata per tutto il settore primario, con l’incidenza delle imprese agricole giovanili sul totale delle imprese agricole che nel quinquennio 2018-22 rimane stabile al 7,7%, per poi scendere al 7,5% solo nel corso del 2023.

La migliore tenuta delle imprese agricole giovanili secondo gli autori dell’analisi può essere attribuita anche al sostegno dato dalle politiche pubbliche, e in particolare dalla PAC (pagamenti diretti e sviluppo rurale). I dati infatti evidenziano un incremento maggiore del numero di iscrizioni di imprese agricole giovanili negli anni immediatamente successivi all’avvio della programmazione 2014-22, cioè a partire dalla fine del 2015, quando hanno avuto l’avvio la maggior parte delle misure a sostegno del ricambio generazionale.

Questi risultati sono ancora più significativi se si tiene presente che, secondo i dati del Censimento 2020, l’Italia è tra i paesi dell’UE dove la questione è più pressante, con la quota di giovani agricoltori sul totale delle imprese agricole pari al 9,3%, contro il 18,2% della Francia, il 14,9% della Germania e l’11,9% della media comunitaria.

Alle aziende giovanili si deve però la creazione del 15% del valore economico complessivo dall’agricoltura italiana (misurato nei dati censuari dal Prodotto Standard), mentre il 62% di tale valore è in mano agli agricoltori con età compresa tra 41 e 64 anni e il 23% agli over 65.

Sul fronte dell’occupazione agricola, in un contesto in cui la carenza di manodopera e di competenze è una delle maggiori preoccupazioni per l’agricoltura, dalla lettura dei dati del quinquennio 2018-22 emerge una discreta capacità di attrazione dei giovani da parte del settore primario in termini lavorativi: +2,8% gli under 35 e +1,8% gli under 40.

Il difficile accesso al credito e alla terra

Le politiche per il ricambio generazionale in agricoltura si concentrano sui fattori produttivi come il capitale e la terra, difficili da ottenere per i giovani. Nel 2023, la stretta finanziaria bancaria ha influenzato la domanda di credito agricolo, con tassi di interesse in aumento. Nonostante ciò, le imprese agricole mostrano resilienza. Tuttavia, i giovani imprenditori sono maggiormente penalizzati perchè, disponendo di minori risorse finanziarie proprie, dipendono maggiormente dal credito per gli investimenti a lungo termine.

ISMEA fornisce garanzie per facilitare l’accesso al credito, anche se i giovani affrontano tassi d’interesse più alti. Nonostante le sfide, c’è un aumento nell’interesse degli imprenditori agricoli, specialmente giovani, a investire, spinti dalle aspettative di riduzione dei tassi e dai finanziamenti della PAC.

Il costo elevato della terra in Italia, aggravato dall’inflazione, ostacola ulteriormente i giovani. Secondo i dati Eurostat l’Italia è tra i paesi dell’UE con il costo più alto; il prezzo medio per ettaro risulta infatti sei volte superiore a quello della Francia e tre volte più alto rispetto a quello della Spagna e alla media comunitaria.

Le politiche nazionali e comunitarie, tra cui iniziative come “Più Impresa” e “Generazione Terra”, mirano a facilitare l’accesso al credito e alla terra per i giovani agricoltori. La Legge n.36 del 2024 supporta ulteriormente l’imprenditoria giovanile nel settore agricolo, con un focus sugli investimenti e gli aspetti fiscali.

La PAC 2023-27

La conclusione del Rapporto lascia ampio spazio alla trattazione del tema del sostegno al ricambio generazionale nella PAC 2023-27, focalizzandosi, in particolare, sulle scelte operate nel Piano Strategico italiano (PSP) e approfondendo i due interventi chiave: il sostegno complementare al reddito per i giovani agricoltori, cui è destinato il 2% dei pagamenti diretti, pari a circa 352 milioni di euro per l’intero periodo, e l’intervento di sviluppo rurale per l’insediamento dei giovani nelle imprese agricole, per il quale la spesa pubblica programmata nel quinquennio ammonta a circa 680 milioni di euro.

Nel 2023, si registra un calo delle domande, attribuibile alla difficile congiuntura e agli aggiornamenti dei requisiti. Le nuove modalità di calcolo del premio potrebbero aver influito. Tuttavia, i bandi regionali potrebbero stimolare la crescita delle domande.

In conclusione, nella valutazione del ricambio generazionale in agricoltura, pur tenendo presente il contesto demografico generale assai critico, non si possono non riconoscere alcuni oggettivi ostacoli all’insediamento giovanile in aree che spesso sono carenti nelle infrastrutture e nei servizi di base. Appare auspicabile che le politiche comunitarie e nazionali, nel sostenere il processo di ringiovanimento dell’agricoltura italiana, agiscano tenendo presente lo scenario complessivo, associando al necessario sostegno economico, misure strutturali in grado di incidere concretamente sulla scelta di partecipare ai processi produttivi agricoli da parte dei giovani.