La Legge 17 maggio 2022 n. 61 valorizza e promuove anche i prodotti lattiero-caseari a chilometro zero e o di filiera corta.

Una legge per valorizzare e proteggere alimenti a chilometro zero e di filiera corta

Oggi in Italia il Kilometro Zero e la Filiera Corta sono regolati dalla legge 17 maggio 2022 n. 61 Norme per la valorizzazione e la promozione dei prodotti agricoli e alimentari a chilometro zero e di quelli provenienti da filiera corta, vigente al 26-6-2022. La legge interessa anche i prodotti lattiero-caseari, e precisa che sono considerati a Km Zero gli alimenti prodotti nel raggio massimo di settanta chilometri o provenienti dalla stessa provincia, mentre nella Filiera Corta gli alimenti devono arrivare al consumatore al massimo attraverso un solo intermediario. I prodotti così definiti potranno avere un logo e particolari spazi di vendita.

Scopo della legge è premiare le politiche trasparenti e sostenibili che intendono valorizzare e promuovere i nostri territori e i loro prodotti, salvaguardando il consumatore e il suo diritto a essere informato.

Molto si è parlato di alimenti a Kilometro Zero, Filiera Corta e di cibi locali, tanto che in America per chi mangia locale è stato coniato il termine di locavoro o localivoro; ma quale potrà essere la reale efficacia, e soprattutto la dimensione, del mercato oggetto della legge? Domanda non oziosa e che ha indotto Andrea Shea, una giornalista americana, a provare a vivere una settimana come localivora integrale con risultati pubblicati nel maggio 2022 (I tried to eat 100% local food for a week. Here’s what I learned) poi ripresi e diffusi dal MIT Daily del prestigioso Massachusetts Institute of Technology (29 giugno 2022).

Esperienze di localivorismo integrale

Andrea Shea nella sua ricerca ha a disposizione centoquindici Dollari US, circa la metà della spesa alimentare settimanale per una famiglia di due persone del Massachusetts, e considera locale il cibo prodotto in un’area decisamente maggiore di quella italiana (70 km), ovvero un diametro di 200 miglia (321 km), considerando che il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti definisce locale (??) quello che viaggia per meno di 400 miglia (643 km), mentre gli americani localivori hardcore considerano locale il cibo prodotto non più lontano di 100-150 miglia (170–241 km). Nella sua ricerca la giornalista è costretta a eliminare moltissimi alimenti, ad esempio caffè, avocado, salmone, limoni, noci, barrette proteiche, olio d’oliva e gran parte dei condimenti e prodotti della dispensa (sale, pepe, senape, pasta, riso, aceto), e tanti altri prodotti che anche in parte non sono locali e moltissimi preparati dalle industrie. Per questo la giornalista al quarto giorno si trova in una situazione critica ed è costretta a ricorrere all’”Eccezione Marco Polo” dei localovori, che si permettono di acquistare cibi quali il sale, il caffè, l’olio, l’aceto e le spezie che Marco Polo avrebbe potuto portare a casa dalla Cina su un’imbarcazione non refrigerata. La giornalista termina la sua esperienza concludendo che mangiare locale eco-consapevole è molto più difficile di quanto si possa pensare, a meno di non applicare l’Eccezione Marco Polo, e cioè inserire nella propria alimentazione solo alcuni alimenti locali tra cui quelli lattiero-caseari e i formaggi che hanno un posto particolare.

La legge italiana

Con la nuova legge, in Italia l’alimento locale e la filiera corta identificano una politica economica o commerciale che predilige l’alimento prodotto entro un territorio circoscritto e con una distribuzione diretta secondo un concetto “dal produttore al consumatore”, in contrapposizione all’alimento globale. Questa potrà avere un ruolo soprattutto per i piccoli produttori di latte crudo, ma soprattutto di formaggi tipici di nicchia, anche se i due concetti di chilometro zero e di filiera corta non fanno riferimento alla sicurezza e alla qualità dell’alimento che devono essere comunque assicurate. Infatti, i termini locale, localismo e quindi anche di localivoro totale o parziale, non devono essere fraintesi come sinonimo di qualità e hanno il solo significato di un cibo prodotto vicino alla nostra residenza, nei dintorni più o meno ampi della nostra città, grande o piccola che sia.

Localismo alimentare moderno

Fino a metà del secolo scorso, gran parte, se non la totalità, dell’alimentazione italiana era di tipo locale, quindi anche stagionale, quando imperversavano fame, denutrizione, malattie da carenze proteiche e vitaminiche in una popolazione di bassa statura e con corta vita media. Con l’arrivo delle ferrovie e di efficienti trasporti su strada, dell’industrializzazione e di una grande distribuzione, il mercato alimentare è cambiato, e adesso possiamo trovare sulla nostra tavola cibi che in tempi brevissimi arrivano da lontano, e anche esotici (come nel passato erano la melanzana, patata e pomodoro), prodotti extrastagionali, e soprattutto prodotti in ambienti pregiati anche se distanti di qualche centinaio di chilometri. Il superamento del localismo alimentare è avvenuto per molte ragioni, portando notevoli vantaggi ai consumatori e ai produttori, e il localismo moderno non è morto ma sta assumendo un nuovo ruolo.

Localismo e formaggi di qualità

Il localismo alimentare è ora divenuto un fenomeno di élite ma non bisogna cadere in una falsa percezione che fa ritenere migliore il cibo solo perché locale, o più nutriente e sano perché non proviene dall’industria conserviera o da altre regioni o paesi. Come fenomeno di élite il localismo alimentare, con un’ampia applicazione dell’Eccezione di Marco Polo, può essere utile ai piccoli produttori di formaggi di qualità che non hanno interesse a cedere i loro prodotti alla grande distribuzione o a negozi, ma che possono invece presentali al pubblico in spazi a loro riservati (articolo 4 della legge) e soprattutto potranno usufruire di un logo «chilometro zero» e o di «filiera corta» (Articolo 5 della Legge).

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastrononie.