La lungimiranza di un imprenditore sta nel cogliere i segnali di cambiamento che giungono dal mercato e, soprattutto, nel riuscire a rispondere celermente alla domanda emergente comprendendo quali possano essere le vere leve per il cambiamento. Il progetto PESOS del Caseificio Sociale di Manciano evidenzia proprio questa caratteristica del capofila, ovvero la caparbietà nell’intraprendere una strada che, all’inizio dell’attività, era ancora davvero poco battuta. L’idea di certificare il proprio prodotto per i parametri di benessere animale e sostenibilità, è nata, infatti, quando le check list del sistema Classyfarm erano ancora in versione embrionale per il comparto ovicaprino, e alcuni clienti esteri della GDO si mostravano interessati ad eventuali marchi legati a queste tematiche. Essendo da sempre temi molto sentiti dall’azienda, e sui quali si erano già avviati progetti precedenti, la dirigenza ha pensato di rivolgersi ad appositi enti che potessero supportare lo sviluppo di un disciplinare volontario fondato su basi scientifiche misurabili. Sono stati pertanto coinvolti il Centro di Ricerche Agro-ambientaliEnrico Avanzi” dell’Università degli Studi di Pisa e l’Organismo di Certificazione DQA (Dipartimento Qualità Agroalimentare), al fine di raccogliere le evidenze necessarie a stabilire i requisiti da certificare.

Per sapere qualcosa in più sullo svolgimento ed i risultati ottenuti, abbiamo intervistato il dr. Stefano Rosini, Responsabile Tecnico del DQA, che ci ha fornito tutti i dettagli sulla messa a punto del disciplinare.

«Il lavoro – spiega Rosini – è stato svolto su un campione di circa 100 aziende ovine suddivise per classi di ampiezza, in modo tale che fosse il più rappresentativo possibile delle varie realtà presenti sul territorio. Il gruppo operativo, costituito da tecnici e ricercatori del Caseificio, dell’Università di Pisa e del DQA, ha messo a punto, in via preliminare, una check list che racchiudesse sia gli aspetti cogenti, già presenti nelle bozze dei documenti della piattaforma Classyfarm, che quelli volontari, provenienti dalle richieste del mercato. La redazione della documentazione da utilizzare per le rilevazioni in campo ha, quindi, richiesto un discreto impegno iniziale, ma si è rivelata fondamentale per la successiva raccolta dati».

Dunque, una volta stilata la lista per il controllo, quali sono stati i passi successivi?

«I passi successivi hanno previsto le visite presso gli allevamenti soci individuati, che sono stati circa un centinaio. I dati rilevati hanno riguardato la formazione del personale operante, il controllo degli animali, la tenuta dei registri, il trattamento degli animali malati, le condizioni di stabulazione in termini di luce, spazi, temperatura e areazione, i protocolli sanitari applicati (es. cura degli unghioni), l’igiene delle attrezzature, la gestione dell’alimentazione e i livelli di biosicurezza. Sono stati stabiliti come livelli minimi per accedere alla certificazione, il raggiungimento di un punteggio pari a 60% per il benessere e 50% per la biosicurezza».

Una volta raccolti, come sono stati utilizzati i dati?

«Tutte le informazioni registrate in campo attraverso i tecnici, sono state inserite in un database ed elaborate per tarare il disciplinare in base agli obiettivi inizialmente prefissati dal Caseificio. A tal proposito – aggiunge il dr. Rosini – mi preme sottolineare come il capofila del progetto, abbia avuto la sensibilità di attivare questo sistema unicamente per perseguire il miglioramento della gestione degli allevamenti soci e fornire loro una formazione tecnica. All’interno del disciplinare è, infatti, stato previsto, come trattamento delle non conformità riscontrate, la partecipazione a corsi di formazione organizzati dal caseificio stesso. Per il momento la certificazione non è stata collegata ad un marchio sul benessere, appunto perché il principale motivo di intraprendere questa strada è stato quello di essere parte attiva del cambiamento culturale del management allevatoriale».   

Nel comunicato stampa di presentazione del progetto, divulgato dal Caseificio Sociale di Manciano, si parla anche di miglioramento del processo produttivo in termini di sostenibilità ambientale. Questa parte è stata seguita più da vicino dal Centro di Ricerche Agro-ambientali “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa, pertanto abbiamo chiesto al referente, prof. Marcello Mele, di fornirci qualche informazione al riguardo.

«L’Università di Pisa, effettivamente, si è trovata coinvolta in una doppia sperimentazione, da una parte quella sul benessere, illustrata sopra dal dr. Stefano Rosini, e dall’altra quella inerente alla stima dell’impatto ambientale di questi allevamenti ovini da latte. Anche per questo aspetto è stato necessario individuare un campione di aziende, ubicate nel territorio della provincia di Grosseto, che fosse rappresentativo in termini di localizzazione, dimensione e modalità di conduzione. Su questo gruppo è stata condotta una valutazione basata sulla metodica LCA (Life Cycle Assessment) al fine di stimare, al cancello, l’impronta di carbonio, l’impronta idrica e il consumo del suolo per kg di pecorino prodotto. Solamente misurando l’impatto di una produzione è possibile fissare obiettivi specifici di miglioramento di un processo, ad esempio implementando delle strategie di mitigazione legate alla scelta di fornitori, di alimenti e di energie utilizzate. Resta ancora da quantificare la parte fuori l’azienda, ovvero l’incidenza legata al trasporto del latte e della trasformazione, ma presto ci si arriverà nell’ottica di una certificazione di filiera, che coinvolga, appunto, tutti i partecipanti».