Lo studio del Dip. MAPS dell’Università di Padova evidenzia l’assenza di un linguaggio condiviso tra gli scienziati che si occupano di benessere degli animali d’allevamento riguardo la terminologia che codifica gli indicatori di benessere rilevati mediante misurazioni e osservazioni dirette degli animali, inseriti sotto il comune denominatore di Animal-Based Measures.

Nei suoi trent’anni di storia, l’approccio alla valutazione del benessere degli animali d’allevamento si è evoluto passando da protocolli basati essenzialmente su parametri indiretti che raccoglievano dati gestionali e aziendali per fare inferenze sull’impatto di tali risorse sulle condizioni degli animali, ad approcci integrati che affrontano il tema in maniera più olistica. In particolare, si è giunti a riconoscere come il benessere animale sia un concetto estremamente multifattoriale, che comprende tanto lo stato fisico dell’animale quanto quello mentale. La sola valutazione del rispetto delle famose Cinque Libertà (libertà da fame e sete, da un ambiente non confortevole, da dolore, traumi e malattie, da paura e stress e di esprimere il comportamento naturale), e dei rispettivi approvvigionamenti, è risultata quindi limitativa. Per questo, oggi, nei protocolli di valutazione del benessere animale si preferisce un approccio integrato tra valutazione delle risorse e, soprattutto, l’inclusione di indicatori noti come Animal-Based Measures (ABM, letteralmente “misurazioni basate sull’animale”). Questi parametri si sono rivelati uno strumento molto più affidabile in quanto permettono di valutare l’effettivo risultato dei fattori gestionali e aziendali sull’animale, un pò come chiedere all’animale come sta rispetto al misurare le dimensioni della sua cuccetta. La loro importanza ed efficacia si denota dal loro vasto utilizzo, sempre più diffuso, da parte di istituzioni pubbliche e governative e dalla loro inclusione all’interno di regolamenti europei. Uno dei traguardi più importanti del progetto europeo Welfare Quality (2009) è stato quello, non solo di sviluppare e validare molti di questi indicatori per applicazioni in allevamento e al macello per la valutazione del benessere delle più comuni categorie di animali allevati, ma anche di classificarli all’interno di una terminologia comune come ABM. La loro inclusione prevalente negli schemi di valutazione è obiettivo condiviso anche dall’European Food Safety Authority (EFSA), la quale definisce le ABM la risposta dell’animale o l’effetto di un determinato fattore sull’animale stesso, che possono essere valutati direttamente (zoppia, pulizia, ecc.) o indirettamente (basandosi ad esempio sui dati aziendali: mortalità, cellule somatiche, ecc.) e possono essere il risultato di un evento puntuale (es. incidente) o di condizioni che perdurano nel tempo di giorni, settimane o mesi (es. condizione corporea).[1].

In seno alla necessità condivisa internazionalmente di sviluppare sistemi di valutazione del benessere animale fondati su indicatori basati sull’osservazione diretta degli animali e validati, il team del Dipartimento MAPS dell’Università di Padova ha voluto analizzare quanto e in che modo la terminologia comune di ABM è stata utilizzata nella letteratura scientifica sul benessere degli animali d’allevamento a partire dalla sua prima concettualizzazione. Questo ha permesso di eseguire anche una mappatura di eventuali lacune nel suo utilizzo o nella relativa ricerca. L’obiettivo finale è stato quello di proporre l’uso di una terminologia standardizzata e condivisa allo scopo di migliorare e facilitare la comunicazione tra i vari portatori d’interesse nel settore. I risultati dello studio sono stati pubblicati a giugno 2021 sulla rivista Frontiers in Veterinary Science [2].

199 articoli scientifici esaminati

L’indagine si è svolta su un totale di 199 articoli scientifici selezionati utilizzando un protocollo di ricerca oggettivo e schematico sulla piattaforma Web of Science e sottoposti, successivamente, ad una selezione manuale con lo scopo di includere solo quelli elegibili secondo i seguenti criteri: scritti in lingua inglese, pubblicati tra il 1990 e il 2019, non duplicati e pertinenti al tema. La ricerca con le parole chiave Benessere Animale ha prodotto 13510 pubblicazioni mente l’inclusione della terminologia comune di ABM o vari sinonimi ha ridotto il numero a 224 (Figura 1).

Figura 1.

Lo scrutinio dettagliato dei 199 articoli ha permesso di estrarre i dati necessari per valutare quale è stato l’utilizzo della terminologia e le informazioni relative a specie e categoria animale, tipo di studio (ricerca, studio metodologico, protocollo di valutazione), di allevamento (convenzionale o biologico) e scenario (allevamento, macello, trasporto). Sono inoltre stati raccolti i dati relativi all’anno, alla rivista, all’area geografica e gli indici bibliometrici della pubblicazione.

I risultati

I risultati della ricerca confermano l’uso variegato e non condiviso della terminologia comune: infatti, rispetto a tutti gli articoli sul benessere degli animali d’allevamento, solamente l’1,5% utilizza il termine generico Animal-Based Measure o sinonimi. Tuttavia, questo dato non indica necessariamente anche uno scarso utilizzo degli specifici indicatori ma semplicemente sottolinea l’assenza di un linguaggio condiviso tra gli esperti del settore i quali, quindi, non classificano i singoli ABM come tali. Molti sono inoltre i sinonimi utilizzati, sia della radice Animal-Based (Welfare outcome, Outcome-based, Animal-related) che del sostantivo Measure (indicator, parameter, outcome), spesso in varie combinazioni e in gran parte influenzati dalle scelte terminologiche adottate in seno al progetto Welfare Quality. Nel 50% degli articoli i vari termini generici utilizzati per ABM non vengono definiti, e nel 54% si rimanda a definizioni fornite da una o più altre fonti. La fonte più citata è il documento del progetto Welfare Quality (2009). Il 33,3% degli articoli non riporta definizioni né cita altre fonti.

Dai risultati emerge come ci siano ampi margini di miglioramento, non solo in termini di specie e categoria animale indagate ma anche di area geografica, scenario e tipo di azienda. I bovini sono di gran lunga la specie in cui gli studi riportano di più la terminologia comune ABM, probabilmente per la maggior necessità di sviluppare indicatori specifici a causa dell’ampio range di contesti di allevamento, ove non è possibile standardizzare la checklist delle risorse perché si va dalle piccole stalle in ambiente montano agli enormi allevamenti intensivi. All’interno di questa specie, infatti, è proprio la vacca da latte a fare da protagonista (67%), seguita dal bovino da carne (11%) e dai vitelli di razze da latte (9%). La seconda specie più rappresentata è quella avicola, soprattutto i broiler (61%), seguiti dalle ovaiole (39%). Anatre, oche e tacchini risultano marginali (3%). Anche fra i suini si evidenziano disparità: la maggior parte degli articoli che menzionano le ABM o sinonimi si concentrano su ingrasso e lattonzoli (70%), trascurando scrofe e scrofette. Le ricerche su capre, pecore ed equini iniziano a comparire solo dopo l’avvio del progetto AWIN a loro dedicato. Fanalino di coda sono gli animali da pelliccia, i conigli e altre specie di nicchia, mentre gli articoli sui pesci sono quasi del tutto assenti. La stragrande maggioranza degli articoli è relativa ad allevamenti convenzionali e verte su applicazioni di ABM in allevamento. Solamente 11 studi affrontano il benessere animale in più di uno scenario e soltanto 2 trattano l’applicazione durante il trasporto. Interessante notare come molte delle specifiche ABM sviluppate per essere rilevate al macello servono per una valutazione retrospettiva delle fasi precedenti in allevamento e durante il trasporto. Per quanto riguarda la distribuzione geografica degli studi, l’Europa si colloca in testa (80%), seguita da America (14%), Oceania (4%) e Asia (2%). Questo sottolinea come la comunità scientifica europea sia maggiormente abituata a collaborare nella ricerca di fondi da dedicare a progetti relativi al tema e, quindi, a sviluppare una terminologia condivisa.

Infine, gli articoli esaminati erano stati pubblicati in 54 riviste differenti, molte delle quali non specializzate in benessere animale. Non emerge invece alcuna prevalenza netta di tipologia di studio che fa riferimento alle ABM, come era atteso prima dell’indagine. Questo sottolinea come, attualmente, gli articoli che citano la terminologia comune spazino ancora tra diversi punti di vista sia di sviluppo di specifici indicatori in ambito zootecnico, che di aspetti metodologici e di sviluppo e applicazione di protocolli di valutazione.

Quali prospettive future?

Dallo studio emerge che la comunità scientifica non codifica le ABM sotto una denominazione comune. Risulta pertanto difficile aspettarsi che gli altri portatori d’interesse nel settore parlino la stessa lingua. L’assenza di una terminologia condivisa rende difficile definire i singoli indicatori di benessere in modo univoco nonché validarli e stabilire per ciascuno un metodo di valutazione standardizzato. Per promuovere la condivisione di una stessa terminologia relativa agli indicatori basati sull’osservazione diretta degli animali, gli autori propongono come primo passo quello di inserire “ABM” tra le liste delle comuni abbreviazioni accettate dalle riviste scientifiche.

Il team di ricerca

Lo studio ha visto coinvolto il team del Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute (MAPS) dell’Università di Padova, sotto la supervisione dalle professoresse Marta Brscic e Flaviana Gottardo, entrambe esperte di benessere animale.

 

[1] EFSA Panel on Animal Health and Welfare. Statement on the use of animal-based measures to assess the welfare of animals. EFSA J. (2012) 10:2767. doi: 10.2903/j.efsa.2012.2767

[2] Brscic M, Contiero B, Magrin L, Riuzzi G and Gottardo F (2021) The Use of the General Animal-Based Measures Codified Terms in the Scientific Literature on Farm Animal Welfare. Front. Vet. Sci. 8:634498. doi: 10.3389/fvets.2021.634498