Con l’annuncio esattamente 27 anni fa (5 luglio 1996) della nascita di Dolly, il primo mammifero al mondo prodotto mediante clonazione, è stato dimostrato per la prima volta che le cellule somatiche possono essere riprogrammate per produrre un individuo. Ciò ha rappresentato un notevole cambiamento di paradigma nel campo delle tecnologie embrionali sia nell’uomo che negli animali, e ha portato ad un’intensa attività di ricerca sul trasferimento nucleare, ma anche sulla definizione di pluripotenza e sull’editing diretto del genoma.

Le cellule pluripotenti indotte e gli strumenti di editing genomico, il più noto dei quali è CRISPR-Cas9, sono ora a disposizione della comunità scientifica. Tuttavia, la clonazione è stata associata a importanti anomalie dello sviluppo in una percentuale variabile di gravidanze, sollevando una certa preoccupazione sugli effetti a lungo termine delle tecnologie embrionali in un momento in cui era emerso il concetto di origini evolutive della salute e della malattia, unitamente a una migliore comprensione delle modificazioni epigenetiche sottostanti.

Una review pubblicata su Reproduction in Domestic Animals ha raccolto le attuali conoscenze sugli effetti a lungo termine delle tecniche di riproduzione artificiale nei mammiferi, che possano fornire informazioni rassicuranti a livello globale, sebbene esistano delle differenze e rimanga necessaria una certa prudenza tenendo conto dell’attuale numero crescente di embrioni di ruminanti ed equini prodotti in vitro e delle loro potenziali conseguenze intergenerazionali.

Di seguito, riportiamo la traduzione integrale del lavoro che può essere consultata nella sua interezza o scegliendo, attraverso l’indice qui sotto, i paragrafi di maggiore interesse (la bibliografia è disponibile nell’articolo originale).

INDICE

1. Introduzione

2. Le origini dello sviluppo della salute e della malattia e la produzione di embrioni

3. Produzione di embrioni dal bestiame

3.1 Bovini

3.1.1 Superovulazione

3.1.2. Produzione in vitro

3.2. Piccoli ruminanti

3.3 Cavalli

4. Altre manipolazioni dell’embrione

4.1 Biopsia dell’embrione

4.2 Crioconservazione dell’embrione

4.3 Clonazione

5. Conclusione

1. Introduzione

Con l’annuncio della nascita di Dolly, il primo mammifero al mondo prodotto mediante clonazione (Wilmut et al., 1997), è stato dimostrato per la prima volta che le cellule somatiche possono essere riprogrammate per generare un individuo completo. Ciò ha rappresentato un notevole cambiamento di paradigma nel campo delle tecnologie embrionali sia umane che animali (Alberio & Wolf, 2021; Sinclair, 2021). La tecnica di trasferimento nucleare di cellule somatiche (SCNT) ha avuto successo sia nei piccoli che nei grandi ruminanti, e oggi la progenie SCNT è stata prodotta in almeno 25 specie (List of Animals That Have Been Cloned, nd). È uno strumento utile per la selezione e la ricerca che si occupa di animali d’allevamento, per la produzione di animali transgenici per scopi biomedici e per la conservazione di specie in via di estinzione. Gli odierni bovini transgenici, nei quali alcune funzioni geniche vengono acquisite o soppresse, comprendono soggetti che producono preziose proteine farmacologiche nel loro latte; ad esempio, vacche che sovraesprimono caseina o bovini nei quali la proteina prionica non è espressa in modo tale che vengano considerati sicuri per il consumo umano. Le recenti tecnologie di modificazione del genoma, come le nucleasi a dita di zinco, le nucleasi effettrici simili ad attivatori di trascrizione e CRISPR-Cas9, sono state adattate con successo per l’applicazione nei bovini e nei piccoli ruminanti. Queste tecnologie possono essere utilizzate direttamente sul genoma dello zigote, aggirando così la necessità di ingegnerizzare geneticamente le cellule somatiche e quindi eseguire la SCNT. Tuttavia, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, nel periodo in cui è nata Dolly, l’elevato numero di aberrazioni dello sviluppo associate alla produzione in vitro di embrioni di ruminanti (large offspring syndrome o LOS) ha ostacolato il progresso dell’applicazione di tecniche di riproduzione animale (ART) alla produzione zootecnica (Sinclair et al., 2000). Queste anomalie erano particolarmente evidenti negli animali clonati (Chavatte-Palmer et al., 2002; Constant et al., 2006; Lee et al., 2004; Young et al., 1998), suggerendoci che potrebbero derivare da un effetto cumulativo di tecniche embrionali, come mostrato nei topi (de Waal et al., 2015). Al giorno d’oggi, le principali aberrazioni osservate nella progenie prodotta in vitro (IVP) sono state ampiamente ridotte tramite il perfezionamento della coltura dell’embrione (Galli et al., 2014) e la rimozione del siero e della co-coltura in condizioni di coltivazione dato che è stato dimostrato essere deleterio nei topi (Fernández-Gonzalez et al., 2004). La produzione mondiale di embrioni IVP, tuttavia, sta aumentando rapidamente, con oltre 1.1 milioni di embrioni bovini prodotti in vitro ogni anno (Viana, 2021). Recentemente, report non ufficiali sulla nascita di progenie bovina IVP con anomalie gestazionali, come progenie di dimensioni maggiori e placente grandi, sono diventati più comuni e ciò ha stimolato le recenti ricerche sulla diagnosi prenatale (Rivera et al., 2022) e sull’eziologia epigenetica (Rivera, 2020) della sindrome nel bovino. Pertanto, è opportuno considerare in che misura la sopravvivenza, la salute e il benessere pre- e post-natale vengano influenzati negli embrioni di specie zootecniche derivati da IVP.

2. Le origini dello sviluppo della salute e della malattia e la produzione di embrioni 

Le prime fasi dello sviluppo embrionale dei mammiferi sono particolarmente sensibili alle alterazioni del microambiente (Fleming et al., 2018). Un ambiente “periconcepimento” avverso in vivo (materno) o in vitro non influenzerà solamente lo sviluppo precoce dell’embrione, ma potrebbe anche avere effetti distinti a lungo termine, dando vita al concetto di “origini dello sviluppo della salute e della malattia” (DOHaD) (Duranthon & Chavatte-Palmer, 2018; Van Eetvelde et al., 2017). L’ipotesi DOHaD afferma che i cambiamenti adattativi, come la risposta a fattori di stress ambientali tra cui, ad esempio, la denutrizione materna, possono alterare la fisiologia e il metabolismo degli embrioni al fine di garantire che la crescita della progenie combaci con la disponibilità esistente di nutrienti (Barker et al., 2010). Queste misure adattative, tuttavia, possono indurre cambiamenti importanti nel fenotipo e possono influenzare la crescita postnatale, la salute a lungo termine, il metabolismo, la suscettibilità alle malattie (inclusi diabete, obesità e disfunzione cardiovascolare) e la produttività della prole (Gluckman et al., 2010). Gli embrioni prodotti in vitro si ritrovano a dover affrontano diversi potenziali fattori di stress ambientale come la composizione del terreno di coltura, il suo pH, l’olio di coltura, la tensione di ossigeno, le variazioni di temperatura durante la manipolazione, l’esposizione alla luce, lo stress da taglio tangenziale associato al ripetuto pipettaggio, la stimolazione ormonale non fisiologica e così via, tutti fattori che potrebbero influenzare singolarmente o in modo interattivo lo sviluppo embrionale e la salute, la crescita e lo sviluppo della prole concepita in vitro (Duranthon & Chavatte-Palmer, 2018; Fleming et al., 2018; Galli et al., 2014; Lazzari et al., 2020; Niederberger et al., 2018). I meccanismi molecolari alla base della memoria cellulare che influenzano l’espressione genica sono comunemente indicati come segni epigenetici (Jammes et al., 2011). Le modificazioni epigenetiche negli embrioni IVP rispetto ai controlli prodotti in vivo sono spesso considerate dei proxy per una programmazione anormale, sebbene lo sviluppo post-impianto e gli adattamenti placentari possano modulare i danni embrionali iniziali (Tarrade et al., 2015). Inoltre, nonostante il potenziale rilevamento di alterazioni epigenetiche, gli effetti avversi della programmazione dello sviluppo precoce potrebbero non essere rilevati fino all’età postnatale avanzata. Dovremmo osservare un chiaro fenotipo post-natale o transgenerazionale per confermare le preoccupazioni sollevate dalle modificazioni epigenetiche iniziali, che spesso manca negli studi condotti sia sul bestiame che sull’uomo, a causa di evidenti limitazioni pratiche ma anche etiche.

3.Produzione di embrioni dal bestiame

Nei bovini e negli equini, gli embrioni possono essere raccolti in vivo allo stadio di blastocisti effettuando un flushing dell’utero di un animale donatore dopo inseminazione artificiale (AI) o prodotti in vitro dopo ovum pick-up (OPU), maturazione in vitro (IVM) degli oociti, fecondazione e coltura degli embrioni fino allo stadio di blastocisti. Nonostante l’elevato numero di embrioni IVP bovini prodotti in tutto il mondo e nonostante il costante miglioramento delle procedure di IVM, della fecondazione e della coltura embrionale negli ultimi due decenni, la produzione in vitro di embrioni bovini rimane non ottimale rispetto alla produzione di embrioni in vivo (Ealy et al., 2019; Hansen, 2020). Infine, sebbene gli embrioni clonati vengano realizzati utilizzando oociti raccolti da ovaie recuperate dai mattatoi, sono necessarie la maturazione in vitro e le fasi successive. I paragrafi seguenti si concentrano sugli effetti epigenetici e fenotipici noti delle tecniche utilizzate nel campo delle tecnologie riproduttive dei grandi animali.

3.1 Bovini

3.1.1 Superovulazione

La crescita degli ovociti nei bovini e negli equini avviene nell’arco di diversi mesi, durante i quali l’ovocita subisce modifiche strutturali ed epigenetiche seriali necessarie per il normale sviluppo embrionale dopo la fecondazione. A causa della natura prolungata di questo processo, gli ovociti sono particolarmente sensibili alle problematiche ambientali, specialmente nella fase finale della crescita, quando i geni soggetti ad imprinting materno vengono metilati in modo specifico per dimensione (Anckaert & Fair, 2015a). In effetti, durante la fase di crescita degli ovociti bovini è stata osservata una crescente metilazione di un panel rappresentativo di cinque geni metilati materni (O’Doherty et al., 2012). Dall’inizio degli anni ’80, l’ovulazione multipla e il trasferimento di embrioni sono stati utilizzati negli animali da allevamento per aumentare la diffusione della genetica delle vacche e hanno riscosso un ampio successo (Viana, 2021). Tuttavia, nei bovini gli schemi di superovulazione potrebbero compromettere (o almeno interferire) con il livello di imprinting degli ovociti maturi (Chu et al., 2012; Fair, 2010), come dimostrato nei topi (Anckaert & Fair, 2015b; Sullivan-Pyke et al., 2020). Sia il numero che la qualità dello sviluppo degli embrioni prodotti dopo l’induzione dell’ovulazione possono venire influenzati (Gad et al., 2011; Hansen, 2020), o attraverso la raccolta di ovociti da follicoli con diversa qualità o a causa della diversa ricettività endometriale (Forde et al., 2012; Mansouri-Attia et al., 2009). Infatti, l‘attività cellulare e metabolica appare aumentata nelle blastocisti raccolte da manze sottoposte a superovulazione rispetto all’attività delle blastocisti sviluppatesi nell’ovidotto di animali non stimolati (Gad et al., 2011; Gad, Hoelker, et al., 2012). Inoltre, nei topi, è stato dimostrato che la sola superovulazione altera la crescita fetale e placentare e l’espressione genica placentare (Mainigi et al., 2014).

3.1.2 Produzione in vitro

Finora, i pochi dati disponibili sugli effetti della IVM sull’espressione genica mostrano una lieve metilazione aberrante nell’ovocita in metafase II (Anckaert & Fair, 2015b; Lu et al., 2018). Dopo la fecondazione, tuttavia, la coltura dell’embrione influisce sulla sua espressione genica. Il trascrittoma di blastocisti IVP prodotte da ovociti maturati in vitro provenienti da vacche macellate ha messo in evidenza diverse centinaia di geni espressi in modo differenziale rispetto al trascrittoma di blastocisti sviluppatesi in vivo da vacche superovulate e inseminate artificialmente (Gad, Schellander, et al., 2012; Heras et al., 2016). In particolare, è stata evidenziata una diversa espressione dei i geni coinvolti nel metabolismo lipidico, il che è in linea con l’accumulo di goccioline lipidiche negli embrioni IVP. Negli embrioni prodotti in vitro sono state osservate anche risposte legate al dimorfismo sessuale, che indicano come gli embrioni maschili e femminili rispondano in modo diverso al loro ambiente, come già mostrato in condizioni di coltura (Bermejo-Alvarez et al., 2010). Il periodo di attivazione del genoma embrionale (stadio di 8 cellule nel bovino) sembra il più sensibile ai cambiamenti ambientali (Gad, Hoelker, et al., 2012). Sono stati riportati gli effetti deleteri del tempo trascorso dall’embrione nel terreno di coltura per quanto riguarda l’espressione genica dell’embrione e il suo successivo sviluppo (Enright et al., 2000; Rizos et al., 2008). Successivamente, altri hanno analizzato la metilazione del DNA in embrioni prodotti da ovociti maturati in vitro, fecondati in vitro e in embrioni coltivati in vitro (dallo stadio di zigote, fino a 4-16 cellule) e successivamente fatti sviluppare in vivo (Salilew-Wondim et al., 2018). Più lungo era il periodo di coltura in vitro, maggiore era il numero di regioni del DNA metilate in modo differenziato rispetto agli embrioni sviluppati in vivo, con una distribuzione uniforme tra i cromosomi. I modelli di metilazione, tuttavia, non erano direttamente correlati alle differenze nell’espressione genica, probabilmente a causa della complessa relazione tra metilazione ed espressione genica, a seconda della regione genomica in cui si verifica la metilazione o del fatto che la metilazione del DNA è solo uno tra i numerosi segni epigenetici che influenzano l’espressione genica. In altre specie, è stato anche dimostrato che l‘IVP altera la metilazione dell’embrione e/o del feto placentare, come esaminato altrove (Anckaert & Fair, 2015b; Duranthon & Chavatte-Palmer, 2018; Heber & Ptak, 2021).

È difficile monitorare gli effetti a lungo termine sulla salute dei vitelli IVP vista l’organizzazione dell’allevamento bovina. Poiché gli animali vengono generalmente macellati a pochi anni di età, vengono riportati solamente gli effetti clinicamente visibili osservati negli animali giovani. Ad oggi, e dal momento che la rimozione del siero e della co-coltura durante la fase di coltura dell’embrione si sono dimostrate correlate al verificarsi di LOS, gli esiti avversi per la salute di animali neonati e adulti associati agli embrioni IVP non vengono spesso riportati dall’industria bovina, sebbene si possa ancora osservare un aumento del peso alla nascita (Hansen, 2020; Rivera et al., 2022), associato ad elevati livelli di morbilità e mortalità tra la progenie di ruminanti derivata da embrioni IVP (Bonilla et al., 2014; Rivera, 2020; Sinclair et al. ., 2000). I fenomeni comunemente osservati includono aumenti delle dimensioni della placenta, del corpo e degli organi, alterazioni del tasso di crescita, della funzione cardiovascolare e della regolazione dell’omeostasi del glucosio (Hansen & Siqueira, 2017). Gli aspetti associati alla produzione, il peso della carcassa e la fertilità non sembrerebbero essere influenzati dall’IVP, anche se è stato suggerito che la produzione di latte potrebbe essere inferiore nelle vacche nate dopo l’IVP utilizzando seme sessato X rispetto ai controlli IVP (Hansen & Siqueira, 2017). Non solo queste femmine producevano meno latte, ma anche il contenuto di grassi e proteine era diminuito (Bonilla et al., 2014; Hansen & Siqueira, 2017). Per quanto riguarda i maschi, in una situazione ottimamente gestita, non è stato osservato alcun effetto della IVP sulla produzione di seme di tori di 1 anno o sui risultati della produzione di embrioni nelle femmine di 1 anno (van Wagtendonk-de Leeuw, 2006), sebbene dati recenti dimostrino una up-regulation dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi e differenze nell’espressione dei geni coinvolti nella regolazione energetica tra vitelli maschi IVP e vitelli maschi di controllo (Rabaglino et al., 2021, 2022). Marcatori epigenetici e trascrittomici dell’IVP o originati in vivo sono stati identificati nei globuli bianchi dei vitelli (Rabaglino et al., 2021). In considerazione dei numerosi effetti sulla placenta (de Waal et al., 2015; Donjacour et al., 2014; Mann et al., 2004) e a lungo termine della produzione in vitro e della coltivazione embrionale riportati nelle specie modello (Donjacour et al., 2014; Fernández-Gonzalez et al., 2008; Feuer et al., 2014; Narapareddy et al., 2021; Rexhaj et al., 2013; Ventura-Juncá et al., 2015), devono essere sicuramente condotti ulteriori studi sulla progenie IVP adulta. Come nota positiva, in Spagna il gruppo di Pilar Coy ha recentemente riportato che l’aggiunta di fluidi riproduttivi raccolti dall’ovidotto e dall’utero ha ridotto le differenze fenotipiche tra la progenie derivata in vitro e quella in vivo nei bovini e nei suini (Lopes et al., 2022; París Oller et al., 2021, 2022), fornendo così nuovi percorsi che possono rivelarsi utili per ridurre gli effetti a lungo termine dell’ART negli animali domestici.

3.2 Piccoli ruminanti

Nelle pecore, è stato riportato che l‘IVP ritarda lo sviluppo durante l’inizio della gestazione: i conceptus delle pecore IVP erano più piccoli rispetto ai controlli tra il ventesimo e il ventottesimo giorno di sviluppo; cioè la fase in cui si verifica la crescita esponenziale negli embrioni di pecora (Ptak et al., 2013). In effetti, l’analisi proteomica degli embrioni IVP ovini mostra chiare differenze con gli embrioni in vivo (Passos et al., 2022). Al momento dell’impianto, negli embrioni IVP lo sviluppo cardiovascolare fetale precoce appare alterato, cosa che si manifesta con la presenza di emorragie pericardica e placentare che non si verificano invece nei concepiti naturalmente in vivo (Fidanza et al., 2014). Di conseguenza, la compromissione dello sviluppo placentare porta alla nascita di agnelli con ritardo della crescita (Fidanza et al., 2014). In questi embrioni IVP, sono state evidenziata anomalie nella metilazione globale del DNA placentare (Reynolds et al., 2013), che sono molto probabilmente correlate ad una ridotta espressione della DNA metiltransferasi 1 (DNMT1) e all’attività enzimatica osservata al momento dell’impianto (Ptak et al. al., 2013). In effetti, l’impianto potrebbe essere un importante ostacolo per lo sviluppo di embrioni IVP, come illustrato dal fatto che i concepimenti non sopravvissuti mostravano un’alterata espressione della DNMT1, mentre quelli che riuscivano a superate tale ostacolo mostravano un’espressione normale di DNMT1 (Ptak et al., 2013).

3.3 Cavalli

Nei cavalli, a differenza della maggior parte degli animali domestici ma analogamente agli esseri umani, la subfertilità della cavalla o dello stallone è l’indicatore principale per l’utilizzo dell’ART (Benammar et al., 2021; Hinrichs, 2018). Ad oggi, a causa della scarsa diffusione dell’utilizzo della fecondazione in vitro, l’iniezione intra-citoplasmatica di sperma (ICSI) è la principale tecnologia utilizzata, e non è stata associata a evidenti anomalie dello sviluppo negli equidi (Clérico et al., 2020; Heras et al., 2017; Hinrichs, 2018; Valenzuela et al., 2018). Tuttavia, vi è un consenso generale per quanto riguarda, in primo luogo, il legame tra la frammentazione del DNA dello spermatozoo e l’infertilità maschile, e in secondo luogo, la possibilità di microiniettare inavvertitamente uno spermatozoo con DNA danneggiato durante l’ICSI, con conseguente peggioramento della qualità dell’embrione, degli esiti della riproduzione, nonché della salute futura dell’animale (Fernández Gonzalez et al., 2008). Finora, i dati epidemiologici sull’uomo, che prendono in considerazione sia la fecondazione in vitro che l’ICSI, non dimostrano differenze dovute all’utilizzo di queste due tecniche sulla salute del bambino (Pontesilli et al., 2021).4Altre manipolazioni dell’embrione.

4. Altre manipolazioni dell’embrione

4.1 Biopsia dell’embrione

Con lo sviluppo e la semplificazione del sequenziamento dell’intero genoma, la biopsia embrionale è attualmente utilizzata per prevedere il valore genetico in fase embrionale, al fine di ottenere un rapido miglioramento genetico (Sirard, 2018). Nei ruminanti, durante un confronto generale dei tassi di gravidanza a 30 e 60 giorni dopo il trasferimento di embrioni prodotti in vivo sottoposti a biopsia rispetto ad embrioni non sottoposti a biopsia, è stato visto che gli embrioni sottoposti a biopsia allo stadio di morula (D7) hanno determinato tassi di gravidanza inferiori rispetto alle blastocisti non sottoposte a biopsia (de Sousa et al., 2017; Naitana et al., 1996). Non sono state osservate differenze significative tra gli embrioni IVP sottoposti a biopsia e quelli di controllo quando sono stati confrontati i tassi di gravidanza (de Sousa et al., 2017). Nei cavalli, per morule e blastocisti precoci, i tassi di gravidanza riportati erano simili tra embrioni sottoposti a biopsia ed embrioni non sottoposti a biopsia (Hinrichs & Choi, 2012; Riera et al., 2019; Seidel et al., 2010).

4.2 Crioconservazione dell’embrione

Nell’uomo, viste le segnalazioni dell’aumento del peso alla nascita dei bambini nati dopo IVP e crioconservazione degli embrioni (Anav et al., 2019; Raja et al., 2022; Shapiro et al., 2016), esiste particolare preoccupazione per gli effetti a lungo termine derivanti dalla crioconservazione. Nei bovini, quando vengono utilizzati embrioni di grado I, gli embrioni IVP congelati hanno tassi di gravidanza simili a quelli degli embrioni ET convenzionali (Ferré et al., 2020). Nei cavalli, la crioconservazione delle blastocisti prodotte in vivo richiede che il grande blastocele sia collassato prima della vitrificazione (Hinrichs, 2020; Wilsher et al., 2021). Al contrario, l’IVP e le morule tardive prodotte in vivo possono essere congelate con successo sia mediante congelamento lento che vitrificazione (Hinrichs, 2020). Per i piccoli ruminanti, è stato dimostrato che la crioconservazione degli embrioni prodotti in vivo influenza l’espressione genica della blastocisti, con un effetto più marcato in caso di vitrificazione rispetto al congelamento lento (Bair et al., 2020) e con conseguente tasso di parto simile in alcuni studi ma con un aumento del peso dell’agnello a 2 mesi di età nel gruppo sottoposto a vitrificazione (dos Santos -Neto et al., 2017; Figueira et al., 2019; Khunmanee et al., 2020). È stata osservata una ridotta criotolleranza dopo IVP negli ovini, con una riduzione del 10% dei tassi di parto dopo il trasferimento di embrioni congelati-scongelati prodotti in vivo rispetto ad una riduzione del 10%-20% per le blastocisti prodotte in vitro congelate-scongelate (Romão et al., 2015). Più di recente, i tassi di parto e il peso alla nascita riportati sono iniziati ad apparire simili tra IVP ed embrioni concepiti in vivo, sebbene il tasso di sopravvivenza dell’embrione variasse tra <10% e 37.7% dopo la crioconservazione, a seconda della metodologia utilizzata (dos Santos-Neto et al., 2017).

4.3 Clonazione

L‘efficienza della clonazione rimane bassa negli animali domestici con <10% di successo nell’ottenere una prole viva e sana dopo il trasferimento dell’embrione (Akagi et al., 2014; Heyman et al., 2002; Panarace et al., 2007) e con una variabilità molto ampia tra le linee cellulari. Tuttavia, gli iniziali dubbi sulla salute del clone adulto a causa dei telomeri corti e del potenziale invecchiamento precoce della pecora Dolly non sono stati confermati (Corr et al., 2017; Miyashita et al., 2011; Sinclair, 2021; Sinclair et al., 2016). Nei cavalli, è stato visto che l’utilizzo di cellule staminali mesenchimali come donatrici nucleari migliora la salute dei puledri alla nascita (Olivera et al., 2018). Inoltre, l’utilizzo di modificatori epigenetici (H3K9me3 demetilasi Kdm4d mRNA e il trattamento con l’inibitore dell’istone deacetilasi tricostatina A) dopo il trasferimento nucleare di fibroblasti ha consentito la nascita di macachi clonati, cosa che prima non era stata possibile (Liu et al., 2018). In ogni caso, una volta terminato il periodo neonatale, gli animali clonati che appaiono sani diventano indistinguibili dai controlli ottenuti con metodo convenzionale (Chavatte-Palmer et al., 2004, 2009; Miyashita et al., 2011; Panarace et al., 2007; Schauwer & Chavatte-Palmer, 2020) e negli Stati Uniti la loro commercializzazione per il consumo umano è stata autorizzata dalla FDA.

5. Conclusione

Questa review della letteratura mostra che da Dolly e dalla comparsa della LOS negli embrioni IVP di ruminanti, gli attuali dati in nostro possesso riguardanti gli animali domestici suggeriscono pochi effetti a lungo termine della IVP. Tuttavia, la maggior parte degli studi ci mostra che l’espressione genica dell’embrione è influenzata dalle tecnologie embrionali, anche se non vengono analizzate né le modificazioni epigenetiche né la salute della prole adulta, per non parlare delle conseguenze transgenerazionali o intergenerazionali. Poiché gli animali da produzione non invecchiano, gli effetti a lungo termine possono essere persi e le modificazioni epigenetiche possono andare ad influenzare le generazioni successive. Inoltre, in considerazione dell’evoluzione delle modalità di allevamento (a causa del riscaldamento globale) e della maggiore esposizione a sostanze inquinanti e ad interferenti endocrini, molteplici fattori possono causare effetti più marcati dopo IVP, cosa che richiede una maggiore attenzione e dei follow-up a lungo termine degli individui nati dopo IVP e della loro progenie.