L’instabilità politica internazionale e la mai sopita voglia di guerra suggeriscono al buon senso collettivo che bisogna cercare di essere il più autosufficienti possibile nella produzione di alimenti per l’uomo e per gli animali. Non è una motivazione protezionistica o nazionalista a suggerire ciò, ma la consapevolezza che avere cibo sano e abbondante per tutti è un fattore di sicurezza forse superiore all’avere bombe e cannoni.

Chi ha “fatto il militare”, o lo è, sa bene quanto la logistica sia importante per un esercito. Nel report Feed Economy 2023 di Nomisma e Assalzoo viene riportato che il nostro Paese è autosufficiente per il 54% per il mais, per il 64% per l’orzo e di solo il 17% della soia e dei suoi sottoprodotti. E questi sono i principali concentrati utilizzati nell’alimentazione dei ruminanti.

La soia, oltre ad essere una commodity oggetto di grandi speculazioni finanziarie, è anche invisa dall’opinione pubblica in quanto ritenuta responsabile del disboscamento dell’Amazzonia e del largo impiego di agrofarmaci per la sua coltivazione. L’Italia dedica circa 340.000 ettari del proprio territorio alla coltivazione di questa leguminosa, ed è difficile immaginare una maggiore espansione territoriale di questa coltura. Pur tuttavia, la farina d’estrazione di soia è un sottoprodotto importante per l’alimentazione animale in quando apportatore di una quota considerevole di amminoacidi sia essenziali che non essenziali. Eliminarla completamente dalle diete dei ruminanti è tecnicamente molto difficile, soprattutto da quelle destinate a razze sia da latte che carne ad elevate performance, ma attraverso l’alimentazione di precisione, soprattutto se gestita con il CNCPS, se ne può ridurre l’impiego. Non è questa la sede per ricordare come gli amminoacidi e l’azoto non proteico siano importanti sia per la produttività che la salute e la fertilità di questi animali.

L’erba medica, sia essa insilata naturalmente o artificialmente essiccata, è una valida alternativa per la riduzione della soia nelle diete, avendo l’accortezza, soprattutto nelle razze da latte molto produttive, di fare eventualmente le dovute integrazioni di amminoacidi rumino-protetti carenti. In Italia, secondo quanto viene riportato da ISTAT, nel 2023 sono in coltura 676.916 ettari di erba medica, e ciò corrisponde al 5,28% della SAU. Questo dato può sembrare consistente ma, se lo si paragona con l’estensione di 3.593.687 ettari dei pascoli e i prati permanenti, non è così.

Dal 2006 al 2023, la superficie coltivata a erba medica si è ridotta di ben il 13% (ISTAT), e ciò non è imputabile solo alla riduzione del numero di allevamenti. Se prendiamo come esempio il comparto delle stalle di bovini da latte, secondo la BDN dal 30/6/2014 allo stesso giorno del 2023 il numero di aziende è diminuito del 24%, passando da 31.758 a 24.094 unità, mentre il numero totale dei capi si è ridotto solo del 2,6%.

I foraggi, a differenza dei concentrati, hanno una grande variabilità analitica e di digeribilità sulla quale si può lavorare. Nei foraggi di erba medica, a parità di tagli, ossia il 1°,2°, 3° e 3+, esiste un’ampia differenza qualitativa dovuta alla zona, al tipo di varietà, e alle tecniche di coltivazione e di conservazione. Utilizzando i dati dei risultati analitici del Laboratorio Analisi Zootecniche dei f.lli Mancinelli pubblicati nel Libro delle Analisi (release 2.2) si può facilmente notare questa variabilità su alcuni nutrienti importanti come la proteina, l’aNDFom e la digeribilità dell’NDF a 30 e 120 ore. Questi tenori sono in grado di condizionare molto sensibilmente la capacità del rumine di produrre microbiota e acidi grassi del latte.

Sappiamo bene che tenere in considerazione il bilanciamento amminoacidico della proteina microbica ruminale è l’ideale per la bovina da latte e per ogni ruminante, e che questa concorre per oltre il 50% alla proteina metabolizzabile.

A titolo d’esempio possiamo riportare i dati relativi al 2° taglio di medica. A fronte di una concentrazione media del 17,7% di proteina grezza (sulla sostanza secca) la deviazione standard è stata di +/- 2,3, con un’oscillazione che varia dal 15,4 al 19,9%. Sul fronte dell’aNFDom, il valore medio riscontrato è stato del 46,7%, con una deviazione standard di +/- 5.5 e quindi oscillante tra il 41,3 e il 52%. La digeribilità ruminale dell’NDF a 30 ore, espressa come %dell’NDF, è stata mediamente del 39,9%, con un’oscillazione tra il 34,5 e il 45,3%. La digeribilità dell’NDF a 120 ore è risultata essere mediamente del 45,7%, con una deviazione standard di +/- 5.6.

E’ bene anche sapere, o semplicemente ricordare, che una dieta composta da carboidrati strutturali di elevata digeribilità potrebbe, se c’è la disponibilità di tutti gli altri nutrienti, permettere la produzione di 0.5 grammi di microbioma ruminale per grammo di carboidrati ingeriti. L’erba medica ha un “profilo proteico” comunque interessante, fatto di una percentuale di proteina non degradabile nel rumine (RUP) del 36% (della PG) e digeribile (dRUP) per il 75%, e una concentrazione di proteina solubile del 37% (sempre espressa come percentuale della proteina grezza).

Fare considerazioni sul suo bilanciamento amminoacidico è un pò più complesso ma una percentuale del 4,40% di lisina e  dell’1,27% di metionina (% della PG) tranquillizza abbastanza.

Da queste informazioni risulta evidente che tra le mediche di 2° taglio inserite in una razione ci possono essere differenti performance che modelli come il CNCPS e i suoi software applicativi possono stimare se alimentati da analisi complete e ben eseguite.

Le conclusioni che si possono trarre è che la medica è un foraggio importante per le diete dei ruminanti, in particolare se da latte. Consente di apportare una proteina di buon valore biologico che se opportunamente valutata può permettere una riduzione dell’utilizzo della soia. Inoltre, coltivare la medica richiede una quantità di concimazione azotata di sintesi sicuramente inferiore ad ogni altra coltura. Pur tuttavia, esistono grandi differenze analitiche tra azienda e azienda, anche in areali omogenei per clima, tipo di terreno e disponibilità delle risorse idriche, e questo fa supporre che ci sia un ampio margine di miglioramento della qualità di questo importante alimento.

Per approfondire ulteriormente questo argomento prossimamente pubblicheremo una video-intervista tecnica sull’erba medica molto approfondita con Giorgio Borreani, professore ordinario in Agronomia e Coltivazioni Erbacee del DISAFA dell’Università di Torino e grande esperto di foraggere (clicca qui per guardare la videointervista con il prof. Borreani).