Il caglio è l’elemento fondante di tutti i formaggi, è quello che permette al latte di passare da una consistenza liquida ad una gelatinosa.

Proprio attraverso il fenomeno della cagliatura ha avuto origine il formaggio circa 6/7000 anni fa, portando alla scoperta che il latte, rappreso, poteva essere conservato più a lungo. Per dirla con Clifton Paul Fadiman, editore statunitense del ‘900: “Il formaggio è il latte che diventa immortale“. Se questo avviene, è per il potere o, secondo qualcuno, per ‘la magia’ del caglio.

La tradizione vuole che il primo formaggio sia nato quando un pastore, durante uno dei suoi spostamenti, mise del latte in uno stomaco di pecora (alcune fonti citano un otre fatto con lo stomaco di capra) e dopo poco si accorse che questo aveva cambiato forma. Non poteva sapere che ciò era accaduto grazie alla miscela di enzimi presenti nello stomaco dell’animale che aveva coagulato le proteine del latte.

Poiché le prime tracce dell’allevamento di pecore e capre sono state trovate in Asia all’incirca 7000 anni fa, si fa risalire convenzionalmente la nascita del formaggio a quell’epoca.

Oggi esiste ancora un formaggio prodotto dai pastori sardi dell’Ogliastra fatto solo con latte di capra e abomaso del capretto lattante chiamato Callu de Cabreddu. Questa produzione, realizzata per lo più per uso casalingo, si ottiene svuotando l’abomaso degli animali lattanti, che viene pulito e riempito nuovamente con il latte filtrato per farlo rapprendere e trasformarlo in pasta, grazie all’azione degli enzimi. Una volta legato alle estremità con uno spago, viene lasciato asciugare in un locale apposito per almeno 6 mesi. Si procede anche ad un passaggio di affumicatura.

La consistenza cambia a seconda della stagionatura e diventa via via sempre più compatta. All’interno, in una fase iniziale, si presenta come una pasta semi-solida, cremosa, bianca, acidula e molto piccante. La crosta esterna si presenta liscia, sottile, di colore giallo scuro. L’uso locale prevede che venga incisa la parete della sacca con un coltello e la crema spalmata sul pane, mentre la parte esterna la si può friggere in padella. Naturalmente si può usare anche come coagulante per altri prodotti tipici.

Sulla rivista Argomenti curata dalla Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva (SIMeVeP*) è stato di recente pubblicato un articolo sul caglio animale prodotto artigianalmente, a cura di Angelo Citro, Angela Montone, Stefano Citro, Marco Citro e Vincenzo Citro, che coniuga esperienze di medicina veterinaria, di biologia e di ingegneria chimica, oltre all’osservazione diretta dei casari.

Il caglio (o presame) è definito come “un complesso enzimatico eterogeneo, ottenuto dall’abomaso, anche detto quarto stomaco, di alcune specie di giovani ruminanti (bovini, ovini, caprini o bufalini). L’abomaso si presenta come una borsa allungata il cui contenuto viene definito gemma, mentre l’involucro che lo contiene prende il nome di pelletta. Gli enzimi di principale interesse caseario in esso contenuti sono gli enzimi proteolitici (chimosine e pepsine) e lipolitici (lipasi). Soltanto i primi sono responsabili dell’attività coagulante del caglio e sono coinvolti nell’idrolisi dei legami peptidici delle proteine, generando polipeptidi, dipeptidi, monopeptidi e amminoacidi”.

Ai fini della caseificazione, la chimosina ha un massimo di stabilità a pH 5,4 e la massima capacità coagulante a 40 °C, con un effetto proteolitico abbastanza limitato. Le pepsine hanno un massimo di stabilità a pH 5,6, con un’attività coagulante massima a pH 2,8 e intorno ai 40 °C, e con un’attività proteolitica nettamente più forte di quella della chimosina. La temperatura di denaturazione è simile a quella delle chimosine.

Le caratteristiche chimiche e microbiologiche del caglio variano in funzione dell’età dell’animale, del regime alimentare (solo latte o latte e alimenti solidi), del tempo trascorso tra l’ultima somministrazione di alimenti e la macellazione, e dei trattamenti subiti dai caglioli. In un giovane ruminante la chimosina è maggiormente presente rispetto alla pepsina. Con il passare del tempo la pepsina aumenta la propria presenza relativa e quando l’animale sarà completamente svezzato questa diventa predominante a scapito della chimosina.

Ogni tipo di produzione casearia richiede una formulazione di caglio specifica. Questo può essere in forma liquida, in pasta o in polvere.

Il caglio in polvere, più ricco di chimosina, viene utilizzato per formaggi da stagionare e quando l’aroma del latte deve rimanere preminente al termine della fermentazione.

Il caglio liquido, uno dei più utilizzati per fare il formaggio, è microbiologicamente molto stabile e ideale per la produzione di formaggi freschi e semi-cotti, a breve stagionatura.

Quello in pasta conferisce invece il tipico sapore pungente e intenso ai formaggi.

Come si producono i diversi tipi di caglio? Esamineremo in una seconda parte la produzione esclusivamente artigianale di caglio con casi specifici relativi a prodotti DOP e PAT del panorama caseario italiano.

*Associazione di specialisti che operano a diversi livelli e con competenze specifiche per incrementare il livello di salute del Paese perseguendo il modello One World – One Medicine – One Health relativo all’interazione uomo-animale-ambiente.