In un precedente articolo pubblicato sempre su Ruminantia nella rubrica di Adisseo “Più caseina e sostenibilità”, dal titolo “Perché in Italia conviene fare caseina anziché il latte”, abbiamo dimostrato quanto per un paese come il nostro, con una notevole tradizione lattiero-casearia, convenga “puntare” a produrre latte con la maggiore concentrazione caseinica possibile.

Ciò a conti fatti è la strada economicamente più vantaggiosa.

Da come scrisse il Prof. Andrea Summer dell’Università di Parma nel suo articolo “Come il mio latte determina la resa casearia”, per ogni grammo di caseina in più nel latte ci si aspettano, per formaggi a lunga stagionatura come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, 3 grammi in più di formaggio. Tradotto in termini pratici, questo significa che già un solo aumento dello 0.1% di caseina nel latte aumenta dello 0.3% la resa nelle forme stagionate.

Sappiamo che la concentrazione caseinica del latte è un carattere ad elevata ereditabilità ma che questa ha un’influenza che non va oltre il 35%; questo significa che l’alimentazione, l’ambiente, la gestione e la salute degli animali sono molto più influenti della genetica, e lo sono per un 65%.

In questo articolo soffermeremo l’attenzione sull’alimentazione, e quindi su come i nutrizionisti possono modificare le razioni e i mangimi in funzione di questo obiettivo.

Le caseine sono proteine, e quindi lunghe sequenze di amminoacidi. Il numero degli amminoacidi che compone le caseine varia a seconda che si tratti dell’α (199-207), della β (209) o della K – caseina (169). A limitare la sintesi della quantità di caseine che la genetica consentirebbe di fare sono proprio gli amminoacidi.

Una carenza, ad esempio, di quelli più limitanti, come la lisina e la metionina, può infatti determinare la produzione di un latte a bassa concentrazione proteica, e quindi caseinica.

Ma come può procedere in pratica il nutrizionista?

  • Il primo step è quello di calcolare esattamente, e a livello di razioni, la produzione di proteina metabolizzabile derivata sia dal microbiota ruminale che dalla quota che by-passa il rumine. Se l’allevamento ha una media di almeno 35 kg di latte, significa che nel gruppo delle bovine fresche e non ancora gravide la media produttiva sarà di circa 45 kg, per cui il primo obiettivo è quello di mettere in condizione gli animali di fare più latte possibile e con la più alta concentrazione di caseina.
  • Il secondo step è quello di massimizzare la produzione ruminale di proteina metabolizzabile, e quindi di origine microbica, che per definizione ha un bilanciamento amminoacidico simile a quello della caseina. E’ difficile, se non impossibile, per un nutrizionista modificare il bilanciamento amminoacidico del microbiota ruminale, mentre è possibile aumentare la quantità utilizzando come “simulatore” il CNCPS. Utilizzando le opportune fonti e quantità di carboidrati fermentescibili, una quota adeguata di proteina solubile e altri nutrienti, e cercando di massimizzare l’ingestione di sostanza secca, si può ipotizzare di far produrre al rumine anche 1800 grammi di proteina metabolizzabile di origine microbica, che ha appunto un bilanciamento amminoacidico perfetto ma che da sola non è sufficiente a supportare i fabbisogni delle bovine da latte fresche e non gravide.
  • Il terzo step è quello si fare con accuratezza il bilanciamento amminoacidico della restante parte di proteina metabolizzabile, ossia quella che deriva dalle frazioni proteiche che escono dal rumine indegradate. Questa parte ha spessissimo un bilanciamento amminoacidico imperfetto, e rappresenta quasi sempre il 50% circa del totale della proteina metabolizzabile.
    Il CNCPS è in grado di verificare quale, o quali, sono gli amminoacidi limitanti apportati dalla somma della proteina metabolizzabile sia di origine microbica che vegetale, e di simulare anche le quantità da apportarne. Un ormai datata tecnica empirica, da affiancare alle più sofisticate opportunità offerte dai modelli matematici come il CNCPS, è quella di adottare il metodo dose/risposta. Si somministra una quantità definita di un amminoacido ruminoprotetto, di cui è nota la biodisponibilità, come la metionina o la lisina, e si osserva se la stalla o il gruppo delle bovine fresche/non gravide aumenta la produzione di caseina sia come percentuale che come quantità.
  • Il quarto step è quello di estrapolare da queste razioni teoriche, ma tipiche per l’area che si sta studiando, i vincoli da inserire nei software di formulazione dei mangimi, inserendo anche le materie prime disponibili e ammesse dagli eventuali disciplinari di produzione, compresi gli additivi, e i relativi costi. L’ottimizzazione al least-cost sarà in grado di proporre al nutrizionista una serie di soluzioni.

Utilizzando il protocollo di lavoro suggerito crescono le probabilità di “mungere” buona parte del potenziale genetico delle bovine a produrre caseina senza procedere a tentativi.