Mentre si parla del Piemonte gli occhi di qualunque buongustaio si fanno sognanti. Il pensiero vola subito sui grandi vini di questo territorio, sui frutti della terra, sulle preparazioni gastronomiche più opulente della corte sabauda e quelle più povere della tradizione contadina. Quando poi si parla di formaggi, questa terra è una delle più generose con 10 DOP e 58 PAT. Tra questi c’è il Montébore, un formaggio dalla forma particolarissima. Passato dalla gloria dei banchetti più ricchi all’oblio più completo, purtroppo se ne interruppe la produzione per circa 40 anni. Tuttavia la tradizione orale non lo aveva dimenticato e grazie alla ricerca e all’impegno dell’Istituto Caseario di Moretta e della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino è stato possibile ricostruirne il processo produttivo.

Il contesto storico

Ci troviamo a Montébore, frazione dell’attuale comune di Dernice, in provincia di Alessandria, nella Val Curone, un angolo del territorio tortonese lungo l’antica via del sale, tra le valli del torrente Grue e del Borbera. Il tipico panorama collinare, tra i 600 e gli 800 metri sul livello del mare, un territorio vocato per l’allevamento dove si sfruttavano i pascoli della “comunaglia”, una pratica frequente in molte zone del nostro paese, quella di usufruire dei prati e dei boschi di proprietà comune per il sostentamento delle famiglie rurali. Le vacche, storicamente, sono di razza Tortonese (Varzese, Ottonese, Montana, o Cabellotta a seconda delle zone dove questa viene allevata, oggi poche centinaia tra Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia-Romagna), animali a triplice attitudine: producono latte, vitelli e vengono usate per il lavoro dei campi. Ad esse si aggiungono pecore e capre, che traggono nutrimento da essenze non pascolate dalle vacche, per questo riescono facilmente a convivere negli stessi spazi. Siamo lontani da una zootecnia di tipo moderno ed il latte è poco, così miscelando il latte delle diverse specie si riesce ad ottenere una quantità più elevata di formaggio da destinare alla mensa. Proprio in questo contesto trova ragion d’essere questa produzione, ottenuta da latte misto, vaccino e ovino, talvolta anche caprino. Più forme delle “robioline” ottenute vengono disposte una sull’altra, in cerchi concentrici, di dimensione più piccola man mano che si sale fino ad ottenere la classica forma a “torta nunziale”. Si narra che, nel 1489, durante i festeggiamenti per il matrimonio di Isabella D’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, fosse l’unico formaggio presente nel menù.

Se nella prima metà del XX secolo se ne producevano circa 1200 chili all’anno, dopo la Seconda Guerra Mondiale, a causa dello spopolamento di queste zone dettate dalla tendenza a cercare lavori più remunerativi in pianura, si perdono le tracce di questo formaggio, e di fatto non se ne produce più. Grazie all’interesse nel nascente Progetto di Filiera Casearia della Comunità Montana Valli Curone Grue Ossona e Valli Borbera e Valle Spinti, nel 1997, si cerca di trovare informazioni utili al recupero della tecnologia casearia per tornare a produrre questo formaggio. La ricerca passa dal sapere di alcune anziane della frazione, tra loro Carolina Bracco, che ne costudivano segreti e dettami nel bagaglio dei loro ricordi e finalmente nel 2001 nasce il Consorzio di Tutela ed il disciplinare di produzione.

Descrizione

Si tratta di una pasta molle, cruda, presamica (caglio liquido di vitello), ottenuta con latte vaccino e ovino (circa 70-30 il rapporto). Ne ho assaggiati un paio per voi (sì, per voi, non perché sono goloso) e ve li racconto: superata la meraviglia per la forma a torta nunziale il formaggio si presenta con una leggera concavità sulla faccia superiore e lievemente convessi gli scalzi. Ha una sottile buccia rugosa, fiorita, asciutta ed elastica, di colore paglierino con muffe grigie e verdi. La pasta di color avorio, con occhiatura media, irregolare e non uniforme, di struttura lievemente elastica può presentare degli elementi di discontinuità tra uno strato e l’altro della torta. L’intensità dell’odore, medio elevato ci porta sul lattico con sentori di burro fresco, sul vegetale con erba fermentata e fieno, sull’animale con discreti sentori di pecora. L’aroma vira al burro fuso, al vegetale lesso, humus e frutta secca con sentori di castagna per una persistenza gustativa elevata.

Curiosità

In occasione dell’edizione di “Cheese” del 1999, la prima produzione di questo formaggio fece il suo debutto in società. Erano soltanto 5 forme, create direttamente dalle mani e dalla sapienza della Signora Bracco. A presentarle fu Roberto Grattone, titolare dell’azienda Vallenostra, ad oggi unico produttore riconosciuto dal Presidio Slow Food che ne tutela e promuove la tradizione. A quest’azienda siamo grati anche per la riscoperta di altri formaggi della zona, tra cui la Mongiardina, un’altra pasta molle davvero particolare, ma questa è un’altra storia.