Nel mese di settembre è stato pubblicato sulla piattaforma MDPI il libro “Genetics of Animal Health and Disease in Livestock”, uno special issue che raccoglie una serie di lavori scientifici dedicati al benessere degli animali da reddito. Tra gli interessanti articoli che lo compongono, uno affronta gli aspetti genetici ed ambientali che legano l’ipercheratosi del capezzolo e le cellule somatiche nei bovini da latte.

L’ipercheratosi del capezzolo

Le infezioni mammarie nei bovini da latte sono ancora un grave problema che compromette la salute degli animali e mette a repentaglio gli sforzi degli allevatori per ottenere una produzione sostenibile. La prima protezione naturale contro l’accesso dei patogeni al tessuto mammario è il canale del capezzolo, la cui morfologia può essere influenzata da diversi fattori, sia ambientali che genetici. Tra le anomalie che possono riguardare i capezzoli, l’ipercheratosi, e quindi la formazione eccessiva di cheratina al loro apice, è un aspetto importante e spesso sottovalutato. L’iperchearatosi viene normalmente valutata utilizzando un punteggio che va da 1 a 4, dove 1 indica un capezzolo con punta liscia e piccola, 2 un capezzolo con lieve anello attorno all’orifizio con screpolature assenti, 3 un capezzolo con presenza di un anello con screpolature e parti di cheratina sulla punta, e 4 un capezzolo con abbondante cheratina, screpolato e con fessurazioni.

Tra le principali cause che provocano ipercheratosi c’è sicuramente il processo di mungitura che, se non eseguito nel modo corretto (e.g. sovramungitura), può determinare alterazioni importanti. A questo si aggiungono altri effetti ambientali legati all’igiene generale della sala di mungitura e della stalla, nonché alle condizioni climatiche. C’è comunque un’altra componente da non sottovalutare ed è quella genetica, intesa sia come predisposizione di un soggetto ad una particolare risposta, ma anche come legame con altri caratteri (e.g. correlazione genetica con la produzione di latte o con le cellule somatiche).

Tutti questi aspetti sono stati approfonditi da un team di ricercatori che ha coinvolto il Consiglio Nazionale delle Ricerche, la North Carolina State University, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lombardia Emilia Romagna e l’Università degli Studi di Torino. L’obiettivo principale è stato stimare, in bovine di razza Frisona Italiana, l’ereditabilità del carattere ipercheratosi e le sue correlazioni genetiche con produzione e cellule somatiche.

La raccolta dati

Lo studio è stato condotto su 10.776 dati di punteggio di ipercheratosi del capezzolo, registrati su 2.469 vacche di razza Frisona Italiana. Inoltre, sono stati inclusi 30.160 dati di produzione (quantità di latte e conta delle cellule somatiche per millilitro) delle stesse vacche.

Il modello statistico utilizzato ha permesso di separare la componente genetica da quelle ambientali, come l’ordine di parto, lo stadio di lattazione, l’azienda, la posizione del capezzolo e lo stato di igiene.

L’impiego di modelli multivariati ha inoltre permesso di stimare le correlazioni con i caratteri produttivi disponibili: quantità di latte prodotta giornalmente e conta delle cellule somatiche (trasformata in punteggio).

Lo stato della vacca

Sia l’ordine di parto che lo stadio di lattazione hanno mostrato un impatto sulla condizione del capezzolo. Benché le vacche avessero ricevuto un punteggio una sola volta durante la carriera, si è riusciti a confrontare i punteggi di diverse lattazioni e stadi. Col procedere della carriera della vacca si è visto un netto peggioramento della condizione del capezzolo. Mentre le primipare mostravano un’incidenza del 75% del punteggio 1, le pluripare scendevano al 50%. Il che significa che solo metà delle vacche a metà carriera mostreranno punteggi equivalenti a 1 (assenza di callosità), mentre il restante 50% mostrerà qualche forma di callosità. Tuttavia il peggioramento non sembrava andare oltre il punteggio 2 (presenza di lieve callosità), dal momento che l’incidenza dei punteggi aggregati 3 e 4 si aggirava sempre intorno al 10%, su tutte le lattazioni. Anche lo stadio di lattazione ha mostrato un impatto sulla condizione del capezzolo, con un progressivo peggioramento all’avanzare della lattazione. Più precisamente, sembra esserci un peggioramento progressivo sulle lattazioni ed i loro stadi: il peggioramento inizia al nono mese della prima lattazione, e a inizio seconda lattazione si nota la stessa incidenza di ipercheratosi che ti trovava a fine prima lattazione. Si potrebbe ipotizzare un effetto cumulativo della ‘mungitura’ che raramente viene risolto durante l’asciutta. Ancora una volta, il peggioramento sembra apparire come incidenza del punteggio 2 (presenza di lieve callosità) rispetto all’assenza di ipercheratosi (punteggio 1). Difficilmente si vede un sistematico peggioramento verso i punteggi 3 e 4.

La posizione del capezzolo è risultata influenzare la presenza di ipercheratosi, con i capezzoli anteriori che mostravano più alta incidenza delle classi 3 e 4 rispetto ai capezzoli posteriori, che mostravano più incidenza delle classi 1 e 2. Con una certa sorpresa lo stato di igiene non è risultato influenzare la condizione del capezzolo.

Le componenti genetica e aziendale

Il modello statistico impiegato considerava tutti i fattori finora descritti prima di estrarre le componenti genetica e aziendale del carattere. Tali componenti si misurano come “varianza spiegata” per definirne l’importanza. La componente aziendale ha mostrato un impatto ridotto, assorbendo circa il 20% della varianza. Questo sempre aggiustando per il numero e stadio di lattazione, la posizione del capezzolo e l’igiene della mammella. Quindi, le pratiche gestionali dell’azienda hanno un impatto, ma non sembra essere il preponderante.

La componente genetica additiva (e quindi ereditabile) ha mostrato lo stesso impatto di circa il 20%. Il che significa che il miglioramento ottenibile per selezione o per miglioramento della gestione aziendale è all’incirca lo stesso. Bisogna però evidenziare come la gestione aziendale atta a aumentare la produzione di latte possa avere un impatto negativo sullo stato del capezzolo (come suggerito dai modelli multivariati).

La variabilità tra le vacche

Il modello ha anche permesso di separare la varianza tra le vacche in due componenti: una componente ereditabile ed una non ereditabile. Nella seconda rientrano tutte le componenti genetiche non-additive (come il vigore ibrido), ma anche fattori specifici della vacca che hanno un impatto sull’intera carriera. Sorprendentemente, tale componente specifica della vacca (a prescindere dalla componente ereditabile) ha mostrato un forte impatto, di circa il 30%. Sembra, quindi, che la condizione del capezzolo possa dipendere da fattori peculiari della vacca, al di là della gestione aziendale (che interessa tutte le vacche) e della predisposizione genetica della vacca stessa.

Ciò potrebbe dipendere da un’interazione tra la vacca e la gestione aziendale, ovvero: non tutte le vacche vengono influenzate allo stesso modo dai diversi sistemi di mungitura. Potrebbe essere in relazione anche a caratteri morfologici della vacca non del tutto ereditabili, come ad esempio la forma del capezzolo.

Come si può agire sulla selezione

A livello genetico, sia la produzione di latte che la conta delle cellule somatiche sono risultate essere associate ad un peggioramento delle condizioni del capezzolo. In particolare, la selezione per la quantità di latte prodotta potrebbe portare a vacche con maggiore predisposizione a mostrare anche una minima forma di callosità sul capezzolo. Indici di selezione che pongono più del 15% di enfasi sulla quantità di latte possono portare a un incremento di tale predisposizione all’ipercheratosi. Al contrario, indici che pongono il 70-80% dell’enfasi verso la diminuzione della conta delle cellule somatiche possono portare tale predisposizione a diminuire.

Conclusioni

In generale, la presenza di ipercheratosi del capezzolo sembra essere una condizione specifica della vacca e, in gran parte, del capezzolo. L’ordine e lo stadio di lattazione sembrano avere un forte impatto, ma le diverse vacche sembrano presentare diverse condizioni a prescindere dalla gestione aziendale e dalla loro predisposizione genetica.

Le pratiche aziendali atte ad incrementare la produzione (di latte) potrebbero portare a un peggioramento, così come la selezione orientata in gran parte all’aumento della produzione. Pratiche aziendali e indici di selezione orientati a ridurre la conta delle cellule somatiche possono invece diminuire l’incidenza dell’ipercheratosi.

Autori

Francesco Tiezzi e Stefano Biffani

 

Sinossi tratta dall’articolo “Heritability of Teat Condition in Italian Holstein Friesian and Its Relationship with Milk Production and Somatic Cell Score“, di Francesco Tiezzi 1, Antonio Marco Maisano 2, Stefania Chessa 3, Mario Luini 2,4 e Stefano Biffani 4, incluso nel libro “Genetics of Animal Health and Disease in Livestock” pubblicato su MDPI.

1 Department of Animal Science, North Carolina State University, Raleigh, NC 27695, USA;

2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lombardia Emilia Romagna “Bruno Ubertini”—I.Z.S.L.E.R. Territorial Section of Lodi and Brescia Sector Diagnostic, Animal Health and Welfare, 26900 Lodi, Italy;

3 Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università degli Studi di Torino, 10095 Grugliasco, Italy;

4 Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Istituto di biologia e biotecnologia agraria (IBBA), Via Edoardo Bassini, 20133 Milano, Italy.