3000 a. C.- URUK città dei Sumeri nella bassa Mesopotamia

Fin dai tempi più lontani, pare undicimila e più anni fa, l’uomo addomestica pecore e capre, da cui ottiene lana, carne e un poco di latte che alcuni popoli, forse tartari, tibetani e persiani, conservano quando diviene acido o da liquido si trasforma in una massa molle. Un fenomeno, quest’ultimo, misterioso, magico, quasi divino e soprattutto segreto, tanto che nel popolo dei Sumeri che abita la fertile terra posta tra due grandi fiumi (Mesopotamia) ne sono depositari i sacerdoti di Lahar, il dio del bestiame. Enkidu, uno dei sacerdoti di questo dio, è noto per aver fatto costruire da alcuni abili artigiani un fregio sulla lavorazione del latte. Il fregio fa bella mostra di sé all’esterno del tempio del dio, e da ogni parte accorrono pastori per implorare la protezione dei loro animali e chiedere la grazia di abbondanti produzioni del prezioso latte. A Enkidu chiediamo un’intervista che ci è concessa in un giorno che secondo gli astri è ritenuto favorevole e dopo che abbiamo provveduto a portare una ricca offerta per un sacrificio al dio Lahar.

Fregio sumero della latteria (3.000 a. C.)

Esperto sacerdote, sono venuto da lontano e per la prima volta su un tempio vedo un fregio nel quale vi sono due animali che sono munti in presenza dei loro redi, mentre alcuni sacerdoti lavorano il latte da conservare in giare. Quale è la ragione di questo fregio?

Non ho motivo di nascondere che il fregio ha due principali finalità rivolte ai pastori che qui accorrono da ogni parte. La prima è che per ottenere il latte da un animale bisogna che questo rimanga a contatto con il proprio capretto, ma anche agnello o perfino vitello. Solo dopo una lunga abitudine si potrà mungere la madre anche quando il giovane sarà svezzato. Il secondo motivo è che il latte è un dono molto gradito alla dea Lahar, e una sua offerta darà salute agli animali che ne produrranno molto.

Nella parte del fregio, accanto a due sacerdoti che travasano il latte in un piccolo orcio, vi sono due grandi orci, uno dei quali con una forma appuntita, come quelli usati per la produzione della birra o del vino. È così o sbaglio?

Lei non sbaglia. L’orcio con la punta che serve per essere conficcata nella sabbia o terreno morbido, noi sacerdoti della dea Lahar abbiamo imparato a usarlo dai sacerdoti della dea del grano Ashnan e della dea dell’acqua vivificante Geshtinanna che preparano bevande inebrianti dal grano, orzo, datteri, uva e altri frutti. Noi dal latte, e avendo individuato e applicando precisi rituali che seguono l’andamento degli influssi della luna e dei venti, nei giorni propizi otteniamo una bevanda acida rinfrescante. In occasioni molto particolari prepariamo anche una bevanda inebriante, come quella che i pastori di lontane steppe settentrionali si dice producano dal latte delle loro giumente. (N. d. I. – Il sacerdote Enkidu fa qui riferimento allo yogurt e all’alcolico kumis con le loro varianti).

Nel fregio è anche rappresentata parte di un altro orcio rotondeggiante. Quale è la sua funzione?

Questo è un segreto dei sacerdoti di questo tempio. Serve per studiare le erbe o anche particolari organi di capretto e il prezioso sale ricavato dal mare con lo scopo di ottenere un latte solido. Come ognuno sa, gli animali partoriscono soprattutto nei mesi primaverili e quando vi è maggior quantità di pascolo. Il latte è un prodotto stagionale, e i latti acidi o inebrianti si mantengono per poco tempo e sono difficilmente trasportabili in otri di pelle o fragili e pesanti anfore di terra cotta, molte volte inadatte a contenere e mantenere liquidi, ma solo alimenti secchi o al più umidi. Il latte può essere convertito in una massa molle e noi stiamo trasformandolo in un solido, in modo simile a come i nostri costruttori di ziqqurat e torri templari fanno con l’argilla convertita in mattoni essiccati al sole. La massa molle di latte è molto diversa dall’argilla, ma noi siamo risusciti a ottenerne delle specie di mattoni di forma rotonda con una crosta dura, che si conservano a lungo e soprattutto con sapori squisiti. Per fare questo il latte migliore è quello di capra, e per questo stiamo studiando l’uso di organi di giovani capretti lattanti. Il procedimento è però difficile: non è ancora possibile tradurlo in regole e per questo non lo abbiamo ancora segnato come memoria in simboli incisi su tavolette di argilla.

Un nuovo cibo quindi, e quale il suo uso?

Queste forme di latte duro sono un cibo che riteniamo sacro e sono preziose offerte alla nostra dea Lahar, che tramite noi se ne ciba con grande piacere. Hanno inoltre un’altra funzione, quella di propiziare i sogni rivelatori attraverso i quali la dea Lahar comunica il futuro. Per questo le forme lungamente invecchiate sono cibo per coloro che la sera si coricano per dormire nel tempio e durante la notte hanno sogni rivelatori che noi sacerdoti interveniamo a interpretare. Di questo cibo sacro, disponibile tutto l’anno, ne abbiamo fatto omaggio al Re Gran Sacerdote di questa città che lo ha gradito moltissimo, gratificando il nostro tempio d’importanti privilegi.

Esperto sacerdote Enkidu, la ringrazio di questa intervista. Sono sicuro che le forme di latte duro, come lei dice, avranno un futuro, e che da cibo sacro e riservato a pochi diverrà un prezioso cibo di facile conservazione e conveniente commercio, se non per tutti almeno per molti.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastrononie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastrononie.