Miti caseari indispensabili

Pochi alimenti, come il latte e i suoi derivati, e soprattutto il formaggio, nel passato hanno dato origine a racconti e idee più o meno fantastiche e a miti, necessari per dare spiegazioni e significati, quindi sicurezze, a processi altrimenti inspiegabili e quindi misteriosi. Di grande interesse per gli antropologi sono i miti alimentari, che rivelano aspetti nascosti e inconsci di quell’indispensabile attività che è l’alimentazione con tutto quel che vi è connesso, dalla produzione alla trasformazione, fino al consumo degli alimenti e soprattutto al loro valore non tanto nutrizionale, quanto culturale. Miti che, anche se diversi o differentemente presentati, sussistono ancora oggi e sono diffusi soprattutto dalla pubblicità commerciale, non dimenticando che Thomas Mann ha detto che “Il tipico è anche il mitico”. Una considerazione quest’ultima che non deve farci sorridere dei miti del passato che sono da considerare nel loro contesto culturale, come dobbiamo fare per i miti odierni.

Molti e diversificati sono i miti che i nostri antenati hanno costruito attorno ai formaggi, in particolare sul fenomeno della cagliatura e della loro conservazione.

Antichità casearia

Antichissimo è il formaggio, ed è indispensabile per la conservazione e il commercio del latte. Il formaggio più antico del mondo pare sia quello rinvenuto nel 2014 in una mummia risalente al 1615 a.C., ritrovata nella parte nordoccidentale della Cina nel deserto Taklamakan. Si tratta di una tipica offerta di cibo fatta ai defunti per il viaggio nell’aldilà e resti di formaggio sono stati trovati anche sui corpi di mummie dell’Età del bronzo. In questi casi le analisi rivelano che si tratta di un formaggio a coagulazione lattica, quindi senza l’uso di caglio, ottenuto dall’azione di lactobacilli e saccaromiceti, e quindi per molti versi affine al kefir derivato del latte che avrebbe origini caucasiche. Questi formaggi hanno un basso contenuto di sale e per questo potevano essere destinati ad un consumo locale. Di recente, anche in una tomba a sud del Cairo (Egitto) datata al 1.200 circa a. C. sono stati individuati residui di formaggio.

Da sempre si sa che con il riscaldamento il latte non coagula, ma in condizioni particolari questo avviene spontaneamente, soprattutto per contatto con vegetali o con lo stomaco di animali. Rilievi quasi certamente casuali, o derivati dall’osservazione che nello stomaco di animali lattanti il latte è rappreso, hanno dato origine a interpretazioni e miti diversi. Già nella mitologia dell’Antica Grecia l’invenzione e l’uso del formaggio risale ad Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, che avrebbe insegnato agli uomini l’arte casearia, oltre a quella della pastorizia e dell’apicultura. Sempre nella mitologia greca Amaltea, la nutrice di Giove, è proprietaria di una celebratissima capra cretese, mentre Aristotele descrive come ottenere formaggio coagulando il latte con il lattice di fico. Gli Etruschi conoscono i formaggi, per i quali costruiscono grattugie di bronzo, ottenuti con coagulanti vegetali, come il fiore di cardo e il latte di fico, pur preferendo il caglio ottenuto dallo stomaco dell’agnello o dal capretto. Nell’Antica Roma Marco Terenzio Varrone, che descrive i principali tipi di formaggi consumati nel II secolo a. C. (vaccini, caprini e ovini freschi e stagionati), nel De rustica riferisce come il gusto dell’epoca preferisse i formaggi ottenuti con il caglio di lepre o di capretto, anziché di agnello, anche se come coagulante si utilizza l’aceto. Sempre i Romani usano lo zafferano per colorare la pasta dei formaggi (forse la prima segnalazione di colorazione artificiale!) e li mettono sotto pressione con dei pesi forati (pressatura).

Persistenza dei miti caseari

I miti caseari sono antichissimi e persistenti. Li troviamo infatti ancora ben presenti in tempi relativamente recenti, come quelli che Vincenzo Tanara scrive nel libro “L’Economia del Cittadino In Villa” pubblicato nella metà del milleseicento, prima dell’avvento dell’era scientifica dell’arte casearia che si costruisce con l’Età dei Lumi.

Nella preparazione del formaggio, Tanara, dopo aver ricordato che il latte coagula nello stomaco dei capretti e di altri animali lattanti (tasso, lepre, cerbiatti), descrive la preparazione del caglio partendo dallo stomaco (ventricolo) del vitello, agnello o capretto minutamente pestato assieme a sale, cacio fermentato (guasto) e aceto. In mancanza di caglio, Tanara, sulla base di quanto dicono l’Imperatore Costantino e Pietro de’ Crescenzi, consiglia di cagliare il latte usando la “pellicina” che vi è all’interno dei ventrigli dei polli, i fiori del cardo selvatico, il lattice ottenuto da un rametto verde di fico oppure usando le interiora di un pesce, il luccio. Per preservare il formaggio dalla putrefazione, sempre Tanara propone di mescolare il caglio con il cervello di donnola, un consiglio che possiamo interpretare come dovuto alla tradizione che ritiene questo animale l’archetipo della levatrice e di una buona nascita che avrebbe la capacità di smascherare la falsità, quale potrebbe essere una putrefazione del formaggio.

Vincenzo Tanara si occupa anche della conservazione del formaggio che può essere asciugato al fumo, specialmente di legno aromatico come quello di mirto o alloro, all’aria (e non al fuoco), o tramite una moderata salatura usando sale ben asciutto o, secondo Varrone, il sale di miniera. L’autore ricorda anche come alcuni usino l’acqua salata, la salamoia, come è ancora oggi in uso per formaggi come i “grana” tra cui il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano e il Trentingrana. Secondo il Tanara bisogna distinguere i formaggi detti porosi, che si riconoscono dal loro galleggiare se posti nell’acqua in quanto leggeri, da quelli pesanti che vanno a fondo. Questa distinzione, sappiamo oggi, si fonda sulla presenza o meno di cavità gassose nella pasta del formaggio. I primi, secondo Tanara, sono da mangiare rapidamente, i secondi sono da asciugare al sole e da conservare in luogo areato, fresco e oscuro, riposti in cantina tra paglia, fieno o sabbia, ungendoli leggermente anche con olio o lavandoli con vino o aceto per renderli ancora più sani. Seguendo l’insegnamento dell’Imperatore Costantino, Tanara consiglia di conservare il cacio assieme ai legumi, specialmente alla cicerchia, anche se altri lo mantengono nell’acqua di mare. Quando si vuole serbare il formaggio evitando che diventi troppo duro bisogna invece mantenerlo in farina d’orzo. Per preservare il formaggio dall’essere mangiato dai topi bisogna ungerlo con grasso di gatto (!).

Odierni cagli e coagulanti del latte

Oggi sappiamo che il formaggio si ottiene per azione di un caglio d’origine animale o di coagulanti d’origine microbica o vegetale. Il caglio animale è estratto dallo stomaco (abomaso) di vitelli, ovicaprini lattanti o di maiale ed è oggi considerato uno dei migliori dal punto di vista qualitativo. Il caglio o coagulante microbico è estratto da una muffa (Mucor miehei) ed è economico e di qualità inferiore per un’attività proteolitica meno specifica. Il caglio microbico coagulante ricombinante è ottenuto da organismi geneticamente modificati (Aspergillus niger var. awamori, Kluyveromyces lactis o Escherichia coli) e la sua attività è dovuta alla chimosina, l’enzima più pregiato del caglio. Il caglio vegetale è un coagulante che si ottiene dai fiori del Cynara cardunculus (cardo selvatico), dai fiori di carciofo (Cynara scolymus L.), da foglie fresche giovani di Carlina acanthifolia All. subsp. acanthifolia, dal lattice fuoriuscente dai tagli delle parti verdi dell’albero del fico e da altri vegetali.

I coagulanti vegetali sono oggi oggetto di specifiche indagini scientifiche per diverse ragioni e tra queste la produzione di nuovi formaggi preparati senza l’uso di organi animali e quindi compatibili per le esigenze dei vegetariani e degli Ebrei che non possono mangiare, questi ultimi, latte e carne associati (Llorente B. E. et allii – Use of artichoke (Cynara scolymus) flower extract as a substitute for bovine rennet in the manufacture of Gouda-type cheese: characterization of aspartic proteases. Food Chem2014 Sep 15; 159:55-63).

Ricerche sono svolte anche per la valorizzazione di formaggi tipici tradizionalmente preparati con coagulanti vegetali, con risultati presenti nella bibliografia specializzata. Tra questi formaggi vi è il marchigiano Caciofiore della Sibilla, prodotto con latte di pecora Sopravissana in una zona pedemontana della regione Marche (Italia centrale), nel quale si usa un estratto grezzo di foglie fresche giovani di Carlina acanthifolia All. subsp. acanthifolia come agente coagulante (Cardinali F. et alli Yeast and mould dynamics in Caciofiore della Sibilla cheese coagulated with an aqueous extract of Carlina acanthifolia All. –Yeast, 7 2016 Aug;33(8):403-14, Cardinali F. et aliiImpact of thistle rennet from Carlina acanthifolia All. subsp. acanthifolia on bacterial diversity and dynamics of a specialty Italian raw ewes’ milk cheeseInt. J. Food 2017 Aug 16; 255:7-16). Altro formaggio in cui si utilizzano coagulanti vegetali è una Caciotta tradizionalmente prodotta nella zona del Montefeltro (Italia centrale) con latte crudo di vacca usando un estratto acquoso di fiori essiccati di Cynara cardunculus come coagulante (Aquilanti L. et aliiBacterial dynamics in a raw cow’s milk Caciotta cheese manufactured with aqueous extract of Cynara cardunculus dried flowers –Lett Appl Microbiol. 2011 Jun;52(6):651-9). L’uso di estratti acquosi grezzi di fiori di Cynara cardunculus come coagulanti nella produzione di formaggi ovini e caprini di alta qualità, come i casi di diverse varietà di formaggi portoghesi e spagnoli con lo status di Denominazione di Origine Protetta, si è mantenuto fin dall’antichità (Almeida C. M., Simões I. – Cardoon-based rennets for cheese production. Appl Microbiol Biotechnol. 2018 Jun;102(11):4675-4686).

 

Un altro formaggio in cui si utilizza caglio vegetale è il Caciofiore di Columella. Per saperne di più, clicca qui.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.