Produrre formaggi a latte crudo consente di offrire sul mercato prodotti con valore aggiunto, ma richiede attenzioni particolari nella fase di allevamento e di caseificazione per evitare contaminazioni soprattutto microbiologiche della materia prima, la quale non verrà sottoposta a trattamenti termici per la sua bonifica. Chiaramente, l’igiene e la salute degli animali devono essere salvaguardate anche quando il latte è destinato alla trasformazione in presenza di trattamento termico. Dal punto di vista normativo, il latte (prodotto mediante secrezione della ghiandola mammaria di animali da allevamento) si definisce crudo quando “non è stato riscaldato a più di 40 °C e non è stato sottoposto ad alcun trattamento avente un effetto equivalente”. Il riferimento legislativo è il ben noto Reg. (CE) n. 853/2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale, che indica anche i criteri relativi al latte crudo (carica batterica e cellule somatiche).

Lavorare il latte crudo per produrre formaggi trova le sue radici in antiche usanze. In particolare, tradizionalmente buona parte dei formaggi da latte ovino è prodotta con latte crudo ancora oggi, soprattutto a livello artigianale e nei caseifici aziendali che, attingendo latte dalla propria azienda, possono avere un controllo diretto sulla qualità dello stesso. A livello industriale, dove la raccolta del latte avviene presso più produttori il trattamento termico del latte è in sostanza una scelta obbligata, proprio perché non vi è certezza di omogeneità nella gestione delle stalle conferenti. Il vantaggio di utilizzare il latte crudo, soprattutto nei casi in cui gli animali sono allevati al pascolo e con essenze vegetali tipiche dell’area di produzione, sta nella salvaguardia di parte delle componenti aromatiche e microbiologiche apportate dall’ambiente di produzione e dagli animali attraverso l’alimentazione. L’uso del caglio in pasta da capretto o agnello, soprattutto per i formaggi ovini DOP italiani, rafforza poi queste impronte sensoriali. Il trattamento termico dunque, se da un lato rappresenta il modo migliore per la bonifica sanitaria del latte crudo, dall’altra implica un impoverimento in flora autoctona del latte, che nei casi di produzioni tipiche, come i formaggi Pecorino del Monte Poro DOP e Pecorino di Farindola PAT, è fondamentale per avere fermentazioni condotte da specie microbiche autoctone i cui metaboliti caratterizzeranno in modo peculiare questi particolari formaggi.

Per la sua composizione caratteristica, il latte, a prescindere dalla specie di origine, costituisce un ottimo substrato di crescita per i microrganismi. È dunque fondamentale che siano adottate idonee modalità operative e di conservazione di questa materia prima. I patogeni potenzialmente contaminanti possono provenire direttamente dalle mammelle (si tratta di microrganismi endogeni come Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus) oppure possono essere di provenienza esogena, e in questo caso la contaminazione avviene in una fase successiva alla mungitura. L’origine di questi microrganismi esogeni può essere fecale oppure dovuta a vettori come l’uomo (ad esempio, un mungitore che non ha provveduto all’igiene delle mani prima della mungitura), insetti o animali infestanti, acqua, aria ed attrezzature non pulite. Come esempi, citiamo Salmonella, Listeria monocytogenes, Campylobacter, Escherichia coli O157:H7. Per evitare la contaminazione, si dovrà agire in via preventiva applicando tutto quell’insieme di buone prassi igieniche e di azioni che impediscano la formazione di condizioni favorevoli allo sviluppo microbico nella fase successiva alla mungitura, nonché le corrette misure di profilassi al fine di evitare l’ingresso di patogeni in stalla.

Un aspetto importante per la sicurezza microbiologica dei pecorini a latte crudo (ed in generale dei formaggi a latte crudo) è legata alla stagionatura. Vi è un limite di almeno 60 giorni di stagionatura riconosciuto come ideale per avere un abbattimento della carica microbica contaminante nei formaggi a latte crudo. Come rilevano Mucchetti e Neviani (2006) la garanzia di sicurezza alimentare si ha con stagionature di almeno 180 giorni, abbinate a precedenti tecniche in grado di provocare una drastica riduzione della popolazione microbica, come la cottura della cagliata e la filatura. Per un idoneo effetto di “bonifica”, saranno cruciali in fase di caseificazione una corretta acidificazione nelle prime 24 ore, una salatura ben eseguita, durata della stagionatura superiore ai 60 giorni ed un ridotto valore dell’attività dell’acqua, unitamente a ridotte concentrazioni di stafilococchi coagulasi positivi.

Uno studio (Centorotola et al., 2018) condotto sul Pecorino di Farindola PAT mette in luce come forme di questo prodotto deliberatamente contaminate da diversi patogeni non siano terreno favorevole per questi batteri dal 60° giorno in poi. Applicando uno studio di challenge test, è stata valutata la dinamica di comportamento di 4 microrganismi patogeni per l’uomo, tipici contaminanti nei formaggi: Escherichia coli O157, Listeria monocytogenes, Salmonella Typhimurium e Staphylococcus aureus. Il challenge test microbiologico è finalizzato per la valutazione del potenziale di crescita è uno studio di laboratorio che misura il comportamento di popolazioni di patogeni in alimenti deliberatamente contaminati e conservati in condizioni normali e di abuso termico, simulando quello che potrebbe accadere in caso di trasporto refrigerato in condizioni non controllate o in conservazione in più luoghi (dal punto vendita all’ambiente domestico). Le determinazioni analitiche sono state condotte in tempi diversi, al giorno zero (latte e cagliata) ed ai giorni 1, 7, 14, 21, 35, 49, 63, 77, 91, 121 e 150. Le concentrazioni delle specie batteriche della microflora autoctona hanno mostrato una riduzione con il progredire della stagionatura. Per quanto riguarda i patogeni presi in considerazione, i valori del potenziale di crescita sono risultati inferiori a 0,5 log10 UFC/g ai giorni 60, 120 e 150, evidenziando quanto affermato sul fatto che questo Pecorino non sia terreno favorevole alla crescita di questi patogeni dal 60° giorno di stagionatura in poi. Le concentrazioni di E. coli O157 e S. Typhimurium sono diminuite fino a un valore al di sotto del limite di rilevamento a T121 e quella di L. monocytogenes a T150. Più difficile invece Staphylococcus aureus che ha mostrato nel caso di un lotto una maggiore tolleranza all’ambiente salino e leggermente acido del Pecorino di Farindola permanendo fino a T150. Quello che suggeriscono gli autori a tal proposito è di cercare di limitare la presenza di Staphylococcus aureus nella materia prima utilizzata, considerando la sua capacità di sopravvivere a lungo nel formaggio e di produrre eventualmente tossine.

Nell’articolo “Il microbiota dei formaggi a latte crudo”, Giovanni Ballarini aveva messo in luce come sia particolarmente importante “la capacità dei formaggi tradizionali a latte crudo di combattere i microrganismi patogeni, una caratteristica dovuta ai ceppi microbici dotati di potere antimicrobico, alle associazioni microbiologiche costituenti il microbiota e ad inibitori naturali non microbici presenti nel latte”. Questi preziosi microrganismi bioprotettivi sono in grado di produrre (lattobacilli) una vasta gamma di molecole antimicrobiche (tra cui le batteriocine), esaurire gli zuccheri fermentabili ed abbassare il pH, inibendo in questo modo in vitro i più importanti microrganismi patogeni che possono essere presenti nel formaggio (tra questi vi sono alcuni dei batteri visti nel precedente studio). In un altro lavoro condotto sul Pecorino di Farindola, Tucci et al. (2018) hanno eseguito un challenge test di processo impiegando nel siero-innesto ceppi batterici derivati dalla microflora naturalmente presente nel Pecorino, che hanno dimostrato, in vitro, di possedere caratteristiche probiotiche. Anche in questo caso sono stati realizzati dei lotti contaminati artificialmente con E. coli O157 e con L. monocytogenes, con e senza l’aggiunta di due ceppi di Lactobacillus paracasei subsp. paracasei capaci di resistere a pH acidi e alla bile, capacità adesiva ai villi intestinali su cellule CaCo2 e in grado di produrre batteriocine. Le concentrazioni delle specie batteriche patogene hanno presentato una riduzione con il progredire della stagionatura, più accentuata nei lotti di pecorino prodotti con l’aggiunta dell’innesto, dimostrando che il Pecorino di Farindola “arricchito” con ceppi probiotici autoctoni ha possibilità di contrastare attivamente la proliferazione e sopravvivenza dei microrganismi patogeni presi in considerazione.

I pecorini a latte crudo sono prodotti interessanti sotto molti punti di vista. Come abbiamo visto, richiedono particolari attenzioni per quanto riguarda l’igiene non solo in stalla, ma chiaramente anche in caseificio e durante tutto quello che succede nel tragitto del latte da stalla a caseificio. Con questo articolo, si vuole stimolare la produzione di tutto ciò che è tipico e tradizionale nel rispetto delle buone pratiche di produzione e trasformazione e degli aspetti normativi che, razionalmente, il legislatore europeo e nazionale ha voluto dare, tenendo conto del criterio di flessibilità per tutti quei piccoli produttori che non possono essere sovraccaricati di oneri documentali oltre le proprie capacità.