In questo anno e mezzo di elevati prezzi delle materie prime e di basso valore del latte alla stalla per “amore o per forza” è consigliabile tenere sotto controllo tutti i costi e spendere solo per ciò che è veramente indispensabile.

Questa mentalità parsimoniosa, oltre ad aiutare l’economia dell’allevamento, aiuta l’ambiente, perché sprecare ha anche un impatto ambientale che non ci possiamo più permettere.

La nutrizione di precisione è la scienza che studia ciò, e questa disciplina è ormai praticata da molti nutrizionisti in tutto il mondo. Nutrizione di precisone significa mettere a disposizione degli animali tutti i nutrienti di cui hanno bisogno senza creare né eccessi né carenze, cosa che è facile a dirsi ma veramente difficile da realizzare.

Un esempio su tutti è quello delle vitamine, e in particolare di quelle liposolubili come la A, la D e la E. Ci focalizzeremo solo su queste in quanto il loro fabbisogno ha robuste evidenze scientifiche, lasciando poco spazio alle libere interpretazioni.

Nell’appena uscito compendio di nutrizione NASEM 2021 si consiglia di somministrare, al giorno, a bovine da latte di razza frisona adulte e in piena produzione, ossia a 100 giorni di lattazione e con una produzione di oltre 50 kg di latte, circa 100.000 Unità Internazionali (UI) di vitamina A, circa 28.000 UI di vitamina D e 550 UI di vitamina E. Da ciò deriva di conseguenza che le primipare, le bovine più avanti in lattazione e quelle di basso potenziale genetico hanno un fabbisogno di queste vitamine sensibilmente più basso.

Nei “sacri” testi dei fabbisogni della bovina da latte non ci sono specifiche sulle altre vitamine. 

I mangimi, compresi quelli che in gergo vengono chiamati gli integratori, apportano una quantità di vitamine solitamente molto più alta, anche il doppio o il triplo, rispetto ai fabbisogni ufficiali. Ma perché visto che ormai impera la logica della frugalità e della nutrizione di precisione? 

Le ragioni sono tante ma riassumibili sostanzialmente in due aspetti.

Il primo è molto antico e commerciale ed è dovuto al fatto che le vitamine A-D-E occupano le prime posizioni nel cartellino del mangime e venivano utilizzate per dimostrare al potenziale cliente che il prodotto proposto dalla ditta rappresentata era migliore del concorrente. Il secondo, sicuramente meno conosciuto ma molto importante, è che tutte le vitamine, ed in particolare alcune come quella A, se non provengono da un fonte “tecnologica” sono molto labili e subiscono influenze negative dalla durata del tempo di conservazione, dall’esposizione all’aria, alla luce, alla temperatura e all’umidità, e dalla convivenza con i supporti e gli altri minerali normalmente presenti nei mangimi complementari. Le aziende e i nutrizionisti sanno bene che queste condizioni possono ridurre anche della metà la presenza, e quindi la biodisponibilità, delle vitamine, e aumentare il rischio di carenze anche gravi negli animali.

La soluzione “prudenziale” potrebbe essere pertanto quella di raddoppiare gli apporti in modo da risolvere il rischio di degradazione delle vitamine nei mangimi ma solo quando è possibile accertarlo in maniera oggettiva e non solo a parole, scegliendo tra i  fornitori quelli che utilizzano fonti vitaminiche “protette”, che non è un sinonimo di ruminoprotette, in modo da utilizzarne solo la quantità che realmente serve agli animali.

Ovvio è che queste fonti costano di più, ma utilizzandone di meno i costi si equivalgono, e poi vale sempre il detto che mi insegnò tanti anni fa un allevatore lucano che mi disse: “Si ricordi dottore che risparmiare non significa sempre guadagnare”.