Tra le nuove tecnologie disponibili per il management aziendale, i sistemi di mungitura automatici, indicati anche con l’acronimo AMS (Automatic Milking Systems), hanno registrato negli ultimi anni una massiccia crescita nel nostro Paese. Se da una parte i vantaggi ad essi correlati sono numerosi ed importanti, dall’altra l’investimento economico richiesto non è affatto marginale.

Come possiamo, quindi, fare una scelta ponderata sulla fattibilità di introdurre questi sistemi? Quali sono le discriminanti che ci possono aiutare a capire se convenga o meno intraprendere questa strada? Le variabili da considerare, ovviamente, sono moltissime, ancor di più, quando si tratta di una piccola azienda a conduzione familiare. Consapevoli che non ci sia una risposta universale che possa andare bene per tutti, riteniamo che dalle esperienze personali di ogni singola realtà si possano trarre degli spunti di riflessione utili a molti.

Per questo motivo, oggi vi portiamo a conoscere l’Azienda Cianflocca Vincenzo, un piccolo allevamento a conduzione familiare situato a Castel di Sangro, in provincia di L’Aquila, dove si allevano 60 capi bovini, di cui 35 circa in lattazione, e nel quale, cinque anni fa, si è deciso di installare il robot di mungitura. Abbiamo voluto approfondire il percorso intrapreso ed i risultati finora ottenuti insieme a Francesco Cianflocca, uno dei tre figli dei titolari. Francesco, 27 anni  e con una laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari conseguita presso l’Università di Padova, lavora ormai a tempo pieno in azienda insieme al papà Vincenzo, la mamma Stefania e una delle due sorelle, Alessia la più piccola, che nel frattempo studia Tecniche e Produzioni Animali presso l’Università di Napoli. C’è anche un’altra sorella, Paola, che dopo aver studiato agraria, ha deciso però di andare a lavorare in uno studio di commercialisti. Il robot di mungitura era un progetto messo in cantiere da tempo e, dopo un primo tentativo con il penultimo PSR andato male, Francesco ha seguito in prima persona la nuova presentazione della domanda e di tutta la documentazione prevista dal bando del PSR 2014-2020.

«Io e le mie sorelle siamo la quarta generazione che lavora in azienda. Ci troviamo ad 800 metri di altitudine, in una zona un tempo molto vocata per la zootecnia, che ad oggi conta solamente tre allevamenti in tutto il Comune e vive soprattutto grazie al settore turistico. Quando mio nonno, nel 1979, è subentrato al suocero nella gestione dell’azienda, si mungevano circa 10-15 vacche meticce. Lui proveniva da tutt’altro settore e con il suo modo di gestire oculato e metodico ha introdotto una serie di cambiamenti, tra cui la costruzione di un capannone nuovo, la vendita delle vacche meticce, e l’acquisto di due nuclei di bovine in selezione, uno di 15 Brune dalla Austria e uno di 15 Frisone dalla Svezia, per un totale di 30 capi in lattazione. In quel periodo iniziava anche a diffondersi la fecondazione artificiale, e siamo stati tra i primi ad introdurla come routine, ottenendo tante soddisfazioni nelle mostre zootecniche, grazie ai risultati selettivi raggiunti rapidamente adottando questa pratica. Nei primi anni ’80 ha iniziato a lavorare in azienda a pieno regime anche mio padre, ed insieme a mio nonno hanno introdotto importanti novità come la mungitura tramite lattodotto, che consentì di raggiungere un netto miglioramento della qualità del latte prodotto grazie alla presenza dei sensori meccanici che segnalavano la fine della mungitura per la singola vacca, a delle tubature che portavano il latte direttamente nel tank e al lavaggio automatico. Una decina di anni dopo circa, papà Vincenzo, ha realizzato insieme a mamma Stefania il caseificio aziendale, lasciando per diverso tempo la stalla come era, anche perché noi figli eravamo tutti impegnati nello studio».

Dunque è passato tempo, gli animali hanno continuato per tanti anni ad essere allevati alla posta e ad essere mandati al pascolo nei periodi caldi, poi, facendo diverse valutazioni legate alla siccità estiva tipica del posto, si è ritenuto più confortevole destinare alle vacche un paddock di circa due ettari di terreno, recintato e con zone ombreggiate, dove poter uscire in maniera autonoma tra le due mungiture. Nel frattempo è successo che a Cremona, durante la celeberrima fiera zootecnica autunnale, è stato presentato il primo robot di mungitura, e Vincenzo ha raccolto tutte le informazioni possibili sulla sua installazione; all’epoca, però, non era ancora attiva una rete di assistenza per il centro-sud e quindi non si riusciva a garantire l’intervento tecnico entro le 24 ore previste. Il sogno viene quindi provvisoriamente accantonato, e ritirato fuori, appunto, cinque anni fa, dopo circa dieci anni di attesa.

Francesco, quali sono stati i passi necessari per realizzarlo?

«Ho seguito personalmente il progetto ed i lavori strutturali mentre ancora ero all’università. Per fare ciò mi è stata estremamente utile la partecipazione ad un corso di 8 ore organizzato dalla Federazione Allevatori di Trento, dedicato alla ristrutturazione e ammodernamento delle stalle da latte. La nostra realtà si trova in una zona sottoposta a vincoli paesaggistici e sarebbe stato molto lungo e difficoltoso prevedere delle nuove costruzioni. Dunque, la parte più difficile è stata proprio quella di riadattare la struttura esistente per trovare una collocazione idonea al robot. Come a tanti accade, quando ci si trova costretti a trovare delle soluzioni è necessario ricorrere ad inventiva e senso pratico. Nel nostro caso ho mantenuto lo schema originario, lasciando la  mangiatoia centrale, ma restringendola al livello massimo possibile, ovvero ad una larghezza di 2.20 metri.

Questa misura è stata calcolata pensando all’inserimento anche del sistema automatico di distribuzione alimenti, che però, ad oggi, non abbiamo installato. In questo modo oltre le cuccette abbiamo uno spazio di circa 3,5 metri fino alla rastrelliera. Questo compromesso,  si è rivelato in realtà molto funzionale, perché essendo gli animali messi testa testa sulla corsia di alimentazione, si accostano da mangiare a vicenda, ed io ho ridotto drasticamente gli interventi di avvicinamento giornalieri. Riguardo la scelta del robot, abbiamo voluto installare un sistema “a traffico libero” in quanto l’investimento per i cancelli separatori sarebbe stato davvero ingente. La struttura ce lo permetteva in quanto la stalla presente due zone speculari identiche, ed i robot è stato possibile posizionarlo al centro senza che si manifestassero preferenze da parte degli animali. Unico cancello inserito è quello separatore che si trova all’uscita del robot e permette di isolare animali da controllare».

Dunque dal 2019 è operativa questa riorganizzazione, siete soddisfatti? Che risultati ha portato?

«Mah, ad essere sinceri i primi due anni il cambiamento più evidente è stato unicamente quello legato alla qualità del latte, mentre sulle produzioni siamo rimasti un po’ bassi e abbiamo iniziato anche ad avere grandi problemi di fertilità. Gli animali non rimanevano gravidi e i giorni di lattazione hanno cominciato ad aumentare in maniera esponenziale fino a superare la soglia dei 400. Ciò ci ha portato a fare una serie di riflessioni e di cambiamenti, in primis sull’alimentazione, ponendo maggiore attenzione sulla fase di steaming-up e riequilibrando la razione sotto vari punti di vista, poiché le vacche dopo il picco non riuscivano a mantenere la produzione. Altra questione era la rilevazione dei calori e la fecondazione, in quanto l’unico abilitato era mio padre, che, però, ogni giorno si trova a dover trascorre tutta la mattinata in caseificio. Da due anni a questa parte, grazie ad un forte aiuto da parte del tecnico alimentarista ed avendo conseguito, mia sorella ed io, il patentino da fecondatori laici, possiamo dire che le cose sono migliorate tantissimo».

Ti andrebbe di fornirci un po’ di dati per quantificare insieme il cambiamento ottenuto?

«La fertilità è nettamente migliorata e i giorni in mungitura, drasticamente abbassati, sono adesso attorno ai 160. L’età al primo parto è passata da 36 mesi a 23-24 mesi, e questo grazie ad un altro cambiamento introdotto, ovvero quello della gestione della vitellaia, dello svezzamento e del post-svezzamento. La longevità è notevolmente aumentata con conseguente riduzione della rimonta. La produzione è passata da 23 kg/capo/giorno a 37 kg/capo/giorno con una media di cellule somatiche a 220.000 csc/ml (che stiamo monitorando e gestendo per abbassare ancora di più), grasso al 3,8% e proteina al 3,5%. Le mungiture medie per capo sono circa 3,2 al giorno e il latte prodotto viene trasformato per il 60% nel caseificio aziendale e il resto venduto per la produzione di mozzarella in Campania».

Ripartiamo, dunque, dalla domanda inziale: a conti fatti, l’investimento, secondo te, si ripaga?

«Ad oggi possiamo dire che, nonostante il PSR, se le produzioni non fossero arrivate ad essere queste e non avessimo ottenuto i risultati sulla fertilità che abbiamo conseguito, l’investimento non si sarebbe ripagato. Le ore di inattività della macchina sono infatti 12,35, servirebbero minimo 50 animali in mungitura, ma nel nostro caso la presenza del caseificio aziendale ci ha permesso finora di avere un margine e di rimanere sulle 35 vacche in mungitura. E’ assolutamente necessario lavorare, però, in prevenzione, perché se gli animali stanno bene, restano gravidi facilmente e producono. A tal proposito abbiamo introdotto anche il pareggio funzionale di routine, proprio perché l’obiettivo principale è quello di avere animali sani».

Nel ringraziare te e la tua famiglia per averci raccontato la vostra esperienza in maniera così sincera e trasparente, ti chiediamo un’ultima riflessione su eventuali progetti futuri: c’è qualcosa in cantiere?

«Assolutamente si! A fronte delle riflessioni appena fatte, abbiamo deciso di arrivare ad avere 50 vacche in mungitura. Per fare questo abbiamo presentato un nuovo progetto per costruire un capannone. Come vi accennavo siamo in una zona “SIC” (ovvero un Sito di Interesse Comunitario) e quindi ci sono alcuni vincoli, ma si può fare. Ristruttureremo anche il caseificio per prendere il bollo CE e poter vendere anche fuori regione, da dove ci arrivano diverse richieste. Faremo un punto vendita adiacente, e l’attuale stalla delle vacche verrà destinata all’ingrasso dei vitelli, per chiudere completamente il ciclo e affiancare ai nostri formaggi anche la nostra carne. Il numero dei capi totali non aumenterà di molto perché per noi è fondamentale l’utilizzo dei foraggi aziendali, che scegliamo con estrema cura per dare aromi e colori caratteristici ai nostri prodotti. A tal proposito coltiviamo direttamente i 120 ettari che abbiamo a disposizione, di cui 40 seminativi ed i restanti a prato-pascolo, e tra gli ultimi acquisti fatti abbiamo preso una seminatrice per la semina su sodo, perché attuiamo e crediamo in un tipo di agricoltura conservativa».

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