I ruminanti allevati per produrre latte o carne, come i bovini, i bufali, gli ovini e i caprini, quando stanno male esibiscono un numero molto limitato di sintomi, anche perché il numero delle patologie che li possono colpire è relativamente esiguo in virtù anche della loro breve vita.

Possiamo avere zoppie, mastiti, febbre, patologie ovariche e uterine, diarree, tosse, scoli nasali e poco più.

Bisogna inoltre dire che tutte le malattie d’allevamento sono plurifattoriali, ovvero non hanno una sola causa ma molte concause, e tanti fattori di rischio.

Nella maggior parte degli allevamenti gli animali condividono, nel poco spazio che hanno a disposizione, l’area di riposo, la mangiatoia, l’acqua da bere e il clima (temperatura e umidità). Il personale che li accudisce tutti è il medesimo, e in genere ogni animale può dormire, mangiare e bere quando ne ha voglia e senza limitazioni. Gli allevatori che non assicurano questi “diritti” agli animali non hanno vita lunga perché la loro un’attività sarà poco remunerativa, oltre che eticamente esecrabile.

Chi opera con questi animali sa bene che le patologie d’allevamento hanno tipicamente un andamento stagionale. Il picco delle zoppie si ha in genere in autunno, la ridotta fertilità si manifesta in piena estate e le mastiti aumentano rispetto al solito quando il clima è caldo e umido.

E’ difficile avere un allevamento in cui nessuna bovina presenti i sintomi o le patologie prima descritti. Nell’osservarle alla mangiatoia, quando camminano per andare alla mungitura o durante le visite routinarie si noteranno alcuni animali con lo scolo nasale, con la tosse, alcuni con le feci molli, altri zoppi e qualcuno con la mastite. In alcuni di questi casi l’allevatore isolerà l’animale per farlo visitare e trattarlo.

Visto che negli allevamenti, come abbiamo detto, gli animali vivono sotto lo stesso tetto e mangiano la stessa razione, perché alcuni si ammalano e altri no? Quando ci si deve iniziare a preoccupare dell’esistenza di fattori causali o di rischio comuni, come una razione mal fatta, troppo caldo o un’infezione entrata in allevamento?

E’ importante chiarire questo punto perché in Italia si verifica spesso la negligenza di non soffermarsi a capire se il problema che si sta osservando riguardi il singolo soggetto o l’intero allevamento. Non avere questa attenzione può comportare inutili rinunce e spese.

Entrando ancora di più nella concretezza, facciamo l’esempio di un allevamento di 100 bovine in lattazione dove dalla sala di mungitura vengono segnalate alcune mastiti oppure si notano dei flemmoni su alcune bovine. Come ci si deve comportare? In genere in Italia davanti a questi casi, e a prescindere dal numero degli animali colpiti, si coinvolge l’alimentarista, perché è consuetudine nel nostro paese attribuire all’alimentazione la responsabilità di causare praticamente tutte le patologie d’allevamento, e anche quella di risolverle.

Per utilizzare un approccio più razionale è però necessario fare dapprima un’analisi delle informazioni.

Se ad essere colpito dal sintomo o dalla patologia considerata è meno del 10% degli animali presenti nel medesimo gruppo, bisogna ricercare negli stessi la causa dei problemi rilevati.

Se invece la percentuale di soggetti ad esempio zoppi o con la mastite è maggiore del 10% degli animali del gruppo in cui vivono, significa che esiste un fattore di rischio collettivo che agisce su tutti i soggetti. In questo caso è lecito mettere tra i sospettati la razione e gli alimenti che la compongono, oppure debolezze nell’igiene della stalla o della mungitura. Ogni sintomo e ogni patologia ha un’ipotetica lista di fattori da approfondire.

Saper distinguere una patologia individuale da una collettiva è molto importante specialmente nei grandi allevamenti perché consente una rapida individuazione del problema e una celere adozione di soluzioni senza procedere irrazionalmente e a tentativi.