Abstract
Introduzione
Il Disallineamento

Educare l’opinione pubblica
Il futuro della stabulazione dei bovini da latte

Conclusioni
Riconoscimenti
Bibliografia
Orcids

Annabelle Beaver,1† Kathryn L. Proudfoot,2 e Marina A. G. von Keyserlingk1‡
1Animal Welfare Program, Faculty of  Land and Food Systems, University of British Columbia, 2357 Main Mall, Vancouver, BC, V6T 1Z4 Canada
2Department of Health Management, Atlantic Veterinary College, University of Prince Edward Island, 550 University Ave., Charlottetown, PE, C1A 4P3 Canada
Ricevuto il 28 Ottobre 2019
Accettato l’8 Gennaio 2020
*Presentato come parte del Production, Management, and the Environment Symposium: Future of Housing for Dairy Cattle all’ADSA Annual Meeting, Cincinnati, Ohio, Giugno 2019.
Indirizzo attuale: Department of Animal Production, Welfare and Veterinary Sciences, Harper Adams University, Shropshire, Regno Unito, TF10 8NB.
Autore corrispondente: nina@mail.ubc.ca

Abstract

Numerosi metodi contemporanei per la stabulazione dei bovini da latte contrastano con le percezioni della società relative ad un buon benessere animale. Solitamente una parte della popolazione (cioè gli individui estranei al settore lattiero-caseario) tende a sottolineare l’importanza della naturalezza per il bestiame da latte, che secondo loro si esplica attraverso, ad esempio, la possibilità di accedere al pascolo, la libertà di movimento e la capacità di interagire socialmente con i conspecifici. Tuttavia, negli Stati Uniti, la maggior parte delle vacche da latte in lattazione viene stabulata in stalle che non prevedono l’accesso al pascolo, e quasi il 39% degli allevamenti da latte prevede stalle a posta fissa che limitano il movimento e le interazioni sociali. Oltre ad essere in conflitto con le aspettative dell’opinione pubblica, la mancanza di accesso all’esterno e i sistemi di stabulazione restrittivi sono in conflitto anche con le esigenze degli animali stessi, cosa che può influire negativamente sul loro benessere. Ad esempio, i bovini da latte sono fortemente motivati ad accedere al pascolo e mostrano una diminuzione delle stereotipie orali quando ci vengono condotti dopo periodi di stabulazione fissa. I vitelli alloggiati senza poter avere un contatto sociale manifestano deficit cognitivi e mostrano una maggiore paura verso le novità (neofobia). Possiamo affermare che la sostenibilità a lungo termine del settore lattiero-caseario dipenderà dalla misura in cui i sistemi di stabulazione rispecchieranno le preoccupazioni dell’opinione pubblica e le priorità degli animali. L’adozione di alcune tecnologie, come gli alimentatori automatici e i sistemi di monitoraggio a distanza, potrebbe rappresentare un mezzo utile per promuovere nella pratica il comportamento naturale degli animali e, allo stesso tempo, per migliorare la cura dei singoli soggetti. Sebbene le generazioni più anziane possano considerare le soluzioni tecnologiche come un’ulteriore deviazione dalla naturalezza e un allontanamento dalle radici contadine  dell’allevamento dei bovini da latte, secondo quelle più giovani la definizione di “vita naturale” potrebbe prevedere anche l’impiego delle varie tecnologie. Man mano che il potere d’acquisto sarà nelle mani di queste generazioni più giovani, l’adozione di tecnologie in grado di promuovere il comportamento naturale del bestiame potrebbe essere utile per appianare il gap tra la percezione dell’opinione pubblica relativa al benessere animale e le pratiche attualmente in uso nell’allevamento dei bovini da latte.

Parole chiave: vita naturale, accesso al pascolo, stalle a posta fissa, millenials

Introduzione

Esiste un disallineamento tra le diverse pratiche in uso nell’allevamento dei bovini da latte contemporaneo e la percezione da parte della società su cosa costituisca un buon benessere animale (Weary e von Keyserlingk, 2017). Questo disallineamento è in parte incentrato sul desiderio, da parte dell’opinione pubblica, di una maggior naturalezza delle metodologie di allevamento (Lassen et al., 2006), compresa la possibilità di accedere al pascolo, la libertà di movimento e la capacità di interazione sociale tra conspecifici. Così, la citata assenza di naturalezza comunemente si riflette nel modo in cui i bovini da latte vengono stabulati. Durante una review sistematica sugli atteggiamenti dei cittadini nei confronti del benessere e delle malattie degli animali d’allevamento, la stabulazione rappresentava l’argomento più ricercato e discusso (Clark et al., 2016). Così come la naturalezza è una priorità per l’opinione pubblica, per le parti interessate del settore dell’allevamento è sempre di grande importanza l’adempimento del ruolo di custodi degli animali con lo scopo di perseguire una migliore salute e produttività (Kauppinen et al., 2010). Metodi di stabulazione come le stalle a posta fissa, la mancanza di accesso al pascolo (“pascolo zero”) e la stabulazione in box singoli per i vitelli vengono probabilmente percepiti dal pubblico come innaturali, ma per gli addetti ai lavori potrebbero invece rappresentare un miglioramento del livello di cura individuale degli animali, oltre al fatto che potrebbero avere una maggiore praticità e una miglior resa economica (von Keyserlingk et al., 2009). La possibilità di un animale di vivere una vita ragionevolmente simile a quella che avrebbe in natura tramite l’espressione di comportamenti naturali è di fondamentale importanza per il benessere degli animali (Fraser et al., 1997). Sebbene la definizione di “comportamento naturale” per una specie domesticata come i bovini da latte possa essere poco chiara, le metodiche di ricerca che misurano le preferenze degli animali e le motivazioni riguardanti l’espressione di determinati comportamenti (ad esempio, il pascolamento, il contatto sociale), possono fornirci un’idea su quali siano i comportamenti importanti per questi animali. La ricerca ha dimostrato che alcuni metodi di stabulazione che limitano l’espressione del comportamento naturale non solo sono incompatibili con le percezioni dell’opinione pubblica, ma lo sono anche con le priorità degli animali. In questa review, esploreremo ulteriormente i punti di vista di 3 parti interessate chiave: i cittadini non coinvolti nel settore (il pubblico), la comunità degli allevatori e gli animali stessi. Suggeriremo poi degli aggiustamenti per colmare il gap esistente tra i gruppi, grazie all’impiego continuo e  diffuso di potenziali nuove tecnologie. Le tecnologie a disposizione del settore dell’allevamento (sia esistenti che emergenti) hanno il potenziale di migliorare la salute e la cura individuale degli animali (una priorità della comunità degli allevatori) oltre a quello di promuovere l’espressione del comportamento naturale (importante per il pubblico). Queste tecnologie, promuovendo un miglioramento della salute e del repertorio comportamentale, sono potenzialmente in grado di migliorare lo stato emotivo dell’animale e, di conseguenza, favorire anche il suo benessere complessivo.

Il Disallineamento

Alla richiesta di immaginare un allevamento da latte ideale, i cittadini statunitensi non affiliati a questo settore (n = 468) hanno risposto che le bovine dovrebbero avere spazio sufficiente per “ girovagare liberamente” (Cardoso et al., 2016, p. 1664). I partecipanti erano quasi tutti d’accordo sul fatto che questo spazio per “muoversi” dovesse essere situato all’esterno; ad esempio un partecipante ha affermato: “al pascolo dove la bovina può essere libera” (p. 1664). Anche altri studi hanno confermato l’enfasi che i cittadini pongono sulla possibilità di accedere al pascolo e sulla libertà di movimento; in Schuppli et al. (2014), l’83.9% dei 316 partecipanti non affiliati al settore dell’allevamento da latte, ha risposto affermativamente alla domanda  “Le vacche da latte dovrebbero avere la possibilità di accedere al pascolo?” (p. 5186). Sempre più prove suggeriscono come il pubblico associ l’accesso al pascolo con lo stato di salute e il benessere degli animali (vedi Boogaard et al., 2008; Ellis et al., 2009; Boogaard et al., 2010; Miele et al., 2011) e come molti si oppongano ad allevamenti a pascolo zero (circa l’81% di 200 cittadini brasiliani, Hötzel et al., 2017). L’attenzione che l’opinione pubblica pone sulle interazioni sociali dei bovini da latte (Schuppli et al., 2014) è un altro tema emergente. Questo tema trova eco in Widmar et al. (2017), dove la capacità di interagire socialmente tra gli animali viene classificata come l’aspetto con l’effetto maggiormente positivo sul benessere dei bovini da latte (su un campione rappresentativo di 1.200 residenti negli Stati Uniti). Anche i partecipanti ad uno studio condotto da Cardoso et al. (2016) hanno accennato all’importanza dell’interazione sociale tra gli animali, esprimendo il desiderio che vacche e vitelli rimanessero insieme dopo il parto. È noto come la separazione precoce tra vacca e vitello sia una questione controversa in tutto il mondo; in uno studio, 130 cittadini brasiliani su 200 si opponevano a tale pratica (Hötzel et al., 2017). Le ragioni principali fornite dai partecipanti a sostegno della non separazione delle madri dai vitelli sono state il mantenimento della naturalezza di questo aspetto (citata da oltre il 30% dei partecipanti), del benessere degli animali, l’importanza del contatto durante le fasi iniziali e gli aspetti etici (Hötzel et al., 2017). Invece, in contrapposizione all’enfasi del pubblico posta sulla naturalezza, spesso le persone coinvolte nel settore lattiero-caseario (ad esempio, allevatori di bovini da latte, scienziati del settore, veterinari e consulenti d’allevamento) si concentrano sul miglioramento della salute e della funzione biologica (von Keyserlingk et al., 2009; Cardoso et al., 2019). La priorità della salute non è esclusiva dell’allevamento di bovini da latte ed è marcatamente evidente in tutta la comunità allevatoriale. Ad esempio, il “prendersi cura della salute degli animali” viene classificato come un fattore importante sia tra i suinicoltori che tra gli allevatori di bovini da latte finlandesi (Kauppinen et al., 2010; p. 526) e opinioni simili hanno trovato eco anche tra gli allevatori di suini olandesi (Benard e de Cock Buning, 2013), di bovini da carne dei Paesi Bassi (Te Velde et al., 2002) e tra i produttori fiamminghi di polli da carne (Tuyttens et al., 2014). Sebbene i produttori descrivano spesso il loro ruolo attivo nella cura e nella garanzia della salute degli animali, solo occasionalmente fanno riferimento al trattamento umano e allo stato emotivo (ad esempio, la vita emotiva degli animali; Kauppinen et al., 2010). La discussione sullo stato emotivo, tuttavia, è comunemente presente quando si parla in termini di produzione; ad esempio, gli allevatori dello studio Kauppinen et al. (2010) hanno rilasciato delle dichiarazioni, tra cui “Se gli animali si sentono bene, sono produttivi…” e “quando un animale si sente bene… naturalmente rimarrà più sano e crescerà bene” (p. 530). I punti di vista sulla naturalezza e sul comportamento naturale appartenenti alla comunità allevatoriale sono ancora poco comprensibili e probabilmente appariranno variabili e complessi (Sumner et al., 2018). A sostegno di questa complessità, de Rooij et al. (2010) hanno scoperto una varietà di punti di vista tra gli allevatori olandesi che potrebbero essere classificati all’interno di diversi quadri etici, tra cui quello che pone gli animali e il loro comportamento naturale come punto focale per lo sviluppo e il perfezionamento delle loro pratiche di allevamento. Questo contesto di naturalezza concorda con il punto di vista espresso da alcuni allevatori di bovini da latte, veterinari e professionisti del settore canadesi e statunitensi (cfr. Schuppli et al., 2014), dei quali il 59.6% (la maggioranza) supportava l’accesso al pascolo per i bovini da latte. Tuttavia, data la predominanza di sistemi a pascolo zero nel settore dell’allevamento da latte statunitense e canadese (Denis-Robichaud et al., 2016; USDA, 2016a), apparentemente sembrerebbe esistere un conflitto tra il supporto in favore dell’accesso al pascolo e la capacità di metterlo in atto nella pratica. Di contro, va detto che alcuni gruppi coinvolti nel settore dell’allevamento (ad esempio, gli allevatori di maiali olandesi di Benard e de Cock Buning, 2013) non ritengono il comportamento naturale un aspetto critico per avere un buon benessere animale. Anche le opinioni di altri operatori del settore, come i veterinari, variano notevolmente a seconda della regione; ad esempio, i veterinari canadesi che hanno partecipato ad un focus group si sono espressi in favore della separazione tra vacca e vitello (Sumner e von Keyserlingk, 2018), ma questa stessa posizione non veniva generalmente preferita dai veterinari norvegesi (Ellingsen et al., 2012). Sia all’interno della regione geografica che dei gruppi di allevatori, esistono differenze nella concettualizzazione della naturalezza e della sua importanza per il benessere degli animali; in uno studio condotto in Scandinavia, i produttori di latte biologico hanno manifestato punti di vista differenti quando si sono interrogati sulla vita naturale dei vitelli da latte (Vetouli et al., 2012). Gli allevatori coinvolti in questo studio hanno fornito una serie di risposte sul perché la vita naturale fosse importante per il benessere dei vitelli, tra queste citiamo “favorisce una migliore salute”, “è un aspetto importante per i consumatori” o è semplicemente “come dovrebbe essere” (p. 357). Tuttavia, gli allevatori non erano d’accordo sulla misura in cui la vita naturale fosse attuabile anche all’interno di un sistema di produzione e su quali condizioni fossero più importanti per promuoverla (ad esempio, l’accesso all’aperto, la socializzazione, il contatto madre-vitello, e così via). I punti di vista del pubblico sono altrettanto poco definiti. Anche se i cittadini tendono a formulare le loro preoccupazioni in termini di naturalezza, mantengono anche la consapevolezza dell’esistenza di altri aspetti relativi al benessere, tra cui la salute e il funzionamento biologico. Per il pubblico la salute degli animali è considerata un fattore chiave nella concezione del benessere di una varietà di specie animali d’allevamento (ad esempio, suini e pesci: Frewer et al., 2005; bovini da latte: Cardoso et al., 2016). Quando è stato chiesto di immaginare un allevamento di bovini da latte ideale (Cardoso et al., 2016), molti dei partecipanti statunitensi hanno spesso fatto dichiarazioni sulla salute dei bovini, suggerendo, ad esempio, che le bovine dovrebbero essere “pulite, sane e con una buona assistenza medica” (p. 1666). In un altro studio (Cardoso et al., 2018), i partecipanti statunitensi sono stati intervistati per quanto riguardava la loro posizione nei confronti di varie tipologie di stabulazione che potevano variare in termini di naturalezza (pascolo vs. stabulazione al chiuso) e di stati emotivi (presenza o assenza di stress da calore). Sebbene i partecipanti fossero nel complesso più favorevoli al pascolo rispetto alla stabulazione al chiuso, hanno valutato più favorevolmente le stalle al chiuso dotate di ventilazione (ventilatori da stalla in grado di mitigare lo stress da calore) rispetto al pascolo che non aveva accesso a zone d’ombra (con conseguente aumento del rischio di stress da calore). In questo modo i cittadini sembravano essere favorevoli alla condizione di naturalezza per il bestiame da latte, ma non a discapito della salute o di uno stato emotivo positivo. Solitamente invece, il mantenimento di una buona salute a discapito di un comportamento naturale non viene supportato dall’opinione pubblica (Clark et al., 2016). Buona parte i cittadini sono consapevoli che gli allevamenti devono essere redditizi (da latte: Cardoso et al., 2016; suini: Sato et al., 2017), ma pongono meno enfasi su questo tema rispetto ai produttori e ai consulenti (Cardoso et al., 2019). Nelle sezioni successive, passeremo in rassegna alcuni dei temi sopra elencati, comunemente citati e prioritariamente indicati dal pubblico, in particolare: lo spazio a disposizione per muoversi (compreso l’accesso ai pascoli e la libertà di movimento) e la possibilità di avere interazioni sociali. Affronteremo ciascuno di questi temi sulla base delle metodiche contemporanee di stabulazione dei bovini da latte, dei risultati delle ricerche che esaminano il punto di vista degli animali e delle potenziali strade che possono portare ad un consenso tra le parti interessate.

Spazio per muoversi

Accesso al pascolo

Recenti dati dell’USDA (2016a) riportano che il 7.5% delle aziende lattiero-casearie statunitensi utilizza il pascolo come tipologia di stabulazione primaria per le vacche in lattazione, e che oltre l’80% di tutti i bovini da latte allevati negli Stati Uniti vengono alloggiati in allevamenti a pascolo zero (cioè che non prevedono l’accesso al pascolo). La percentuale di bovini da latte non in lattazione (in asciutta) ai quali è permesso l’accesso al pascolo è più alta ed arriva al 34.0% (USDA, 2016a). Le mandrie allevate secondo standard biologici devono andare al pascolo almeno 120 giorni all’ anno, oltre ad avere la possibilità di accedere a zone situate all’aperto durante tutto l’anno (USDA, 2013), eppure questa categoria di bovini rappresenta solamente il 7.4% degli allevamenti statunitensi (USDA, 2016a). Per quanto riguarda il Canada, abbiamo molte meno informazioni sull’accesso al pascolo per i bovini da latte. Denis-Robichaud et al. (2016), durante il loro studio sulle pratiche di gestione della riproduzione in Canada, hanno posto una domanda sull’accesso al pascolo. Degli 832 allevamenti intervistati che hanno risposto (e che rappresentavano il 7% del totale di allevamenti presenti in Canada nel 2014), il 75% riferiva di adottare una gestione a pascolo zero, il 18% riferiva di fornire l’accesso al pascolo sia di giorno che di notte, il 4% solo di notte e il 2% forniva un accesso al pascolo durante il giorno ma solamente in estate. Nel complesso, queste statistiche ci indicano che la maggior parte dei bovini da latte allevati negli Stati Uniti e in Canada non ha un regolare accesso al pascolo. Una review condotta da Arnott et al. (2017) ha individuato l’esistenza di notevoli benefici per il benessere degli animali associabili all’accesso al pascolo (rispetto a quanto succede agli animali stabulati costantemente al chiuso), tra cui una diminuzione dei livelli di zoppia, di lesioni agli zoccoli e al garretto, di mastiti e di mortalità. Sono stati inoltre elencati i benefici comportamentali, tra cui la possibilità di pascolare a proprio piacimento, il miglioramento dei tempi di riposo e la diminuzione dei comportamenti aggressivi. Va detto però che il bilancio energetico negativo tendeva ad essere più marcato nei sistemi basati sul pascolamento, e il solo accesso al pascolo poteva essere considerato negativo se agli animali non veniva fornita l’opportunità di cercare un riparo. I partecipanti a Schuppli et al. (2014) erano favorevoli al pascolo, ma dichiaravano che le bovine dovevano avere “un riparo dal vento, dal sole e dalla pioggia” (p. 5188). La preferenza dei bovini da latte per il pascolo è fortemente influenzata dall’ora del giorno (Legrand et al., 2009), dall’umidità, dalla temperatura e dalle precipitazioni cadute (vedi Charlton e Rutter, 2017), e quindi va di pari passo con la preoccupazione manifestata dall’opinione pubblica di proteggere il bestiame da condizioni climatiche avverse (Cardoso et al., 2018). Anche i recinti situati all’aperto possono fornire uno spazio per il movimento, ma in assenza di sistemi di ricovero o di raffreddamento, il benessere dei bovini da latte potrebbe risultare  compromesso in caso di condizioni climatiche avverse o di periodi con elevato indice temperatura-umidità (vedi review di Fournel et al., 2017). A seconda del clima e della regione geografica, i sistemi silvo-pastorali (una forma di agro-silvicoltura nella quale sono presenti boschi, foraggio e pascoli per il bestiame), oltre ai benefici per l’ecosistema, sono in grado di fornire benefici anche per il benessere degli animali (Tarazona Morales et al., 2017). Questa tipologia di allevamento ha probabilmente una certa attrattiva per il pubblico visti i suoi elevati livelli di naturalezza e il bestiame allevato in questi sistemi, rispetto a quello allevato in un sistema con monocoltura, ha dimostrato avere una maggiore stabilità delle gerarchie sociali e un incremento di comportamenti sociali positivi (Améndola et al., 2016). La ricerca ci suggerisce che i bovini sono molto motivati ad accedere al pascolo; von Keyserlingk et al. (2017) hanno scoperto che i bovini erano disposti a spingere quantitativi di peso analoghi al loro per riuscire ad accedere al pascolo e al mangime fresco. Come la motivazione ad ottenere mangime fresco dopo la mungitura rappresentava un indice per la domanda anaelastica (Dawkins, 1988), la forte motivazione del bestiame ad accedere al pascolo corrisponde, se non supera, il forte sostegno del pubblico verso un incremento di questa tipologia di allevamento. La predominanza di sistemi a pascolo zero in Nord America può essere attribuita alla necessità di meglio monitorare l’assunzione di nutrienti da parte degli animali (tramite l’impiego di diete specificatamente formulate), l’incremento della produzione di latte, l’incremento dell’automazione o la mancanza di efficienza in termini di costi proveniente dalle terre adibite a pascolo. È stato visto che i bovini allevati sempre al pascolo producono meno latte (Hernandez-Mendo et al., 2007). Anche Soriano et al. (2001) hanno riportato una minore produzione di latte e una diminuzione dell’assunzione di TMR quando le vacche avevano la possibilità di accedere al pascolo per 8 ore al giorno dopo la mungitura. Al contrario, Chapinal et al. (2010) hanno riscontrato che l’accesso notturno al pascolo non ha comportato una diminuzione della produzione di latte o dell’assunzione di TMR. Pertanto, se l’accesso permanente al pascolo non fosse fattibile dal punto di vista gestionale (ad esempio, a causa della geografia, delle condizioni meteorologiche, della scarsità di terreni o della mancanza di pascoli di qualità durante tutto l’anno), la messa a disposizione di un accesso parziale (in determinate ore del giorno o della notte) o di aree di riposo all’aperto (Smid et al., 2019), potrebbero essere delle alternative più gestibili. Siccome la stalla è un elemento importante per un buon benessere in una certa varietà di specie animali (Špinka e Wemelsfelder, 2011), fornire ad essi la possibilità di scegliere se accedere al pascolo rappresenterebbe un potenziale perfezionamento della stabulazione, che per l’opinione pubblica [ad esempio, in Schuppli et al., 2014] risuonerebbe così: “ date loro la possibilità di scegliere… lasciate che entrambe le opzioni siano disponibili…” (p. 5188)].

Libertà di movimento

L’impiego di alloggi costituiti da stalle a posta fissa è ancora comune in Nord America. Circa il 39% degli allevamenti da latte statunitensi e il 74% di quelli canadesi utilizzano le stalle a posta fissa come principale sistema di stabulazione (USDA, 2016a; CDIC, 2018). È noto da tempo che la stabulazione all’interno di stalle a posta fissa, dove solitamente gli animali vengono legati a poste individuali, altera le modalità di coricamento a terra dei bovini da latte e fa aumentare il numero delle interruzioni di coricamento, il numero delle intenzioni di non coricarsi e il tempo trascorso dalle bovine sulle ginocchia (Krohn e Munksgaard, 1993; Jensen, 1999). Ricerche più recenti fanno eco a questi risultati, descrivendo nel dettaglio i pattern anomali di coricamento all’interno dei sistemi di stabulazione a posta fissa (ad esempio, Plesch et al., 2010; Enriquez-Hidalgo et al., 2018; Shepley et al., 2019). Così, dal punto di vista della bovina (così come dal punto di vista del pubblico; Robbins et al., 2019), l’espressione di alcuni comportamenti naturali viene ostacolata. Un’ampia percentuale di allevamenti a posta fissa presenti negli Stati Uniti (73%) fornisce l’accesso al pascolo per almeno una parte dell’anno (USDA 2016a), mentre questa percentuale risulta essere inferiore in Canada (15%, Denis-Robichaud et al., 2016). Dal punto di vista del benessere, non abbiamo a nostra disposizione molte prove riguardanti il modo in cui questo livello di compensazione possa essere paragonabile alla stabulazione al chiuso in stalle a posta libera durante tutto l’anno (ma si veda Seo et al., 2007; Veissier et al., 2008); gli eventuali benefici dati dalla possibilità di accedere al pascolo dipenderanno probabilmente dalla frequenza, dalla durata e dalla qualità di tale accesso all’aperto. In ogni caso, quando i bovini da latte devono essere necessariamente alloggiati in stalle a posta fissa, un accesso regolare alle aree di esercizio migliora sia l’espressione del comportamento naturale (Krohn, 1994) che la salute (Regula et al., 2004; Popescu et al., 2013). Anche quando vengono stabulati  in sistemi meno restrittivi, come le stalle a posta libera che permettono agli animali di muoversi all’interno di un recinto, i bovini possono avere comunque poco spazio per muoversi, soprattutto a causa dell’eccessivo numero di capi presenti, cosa molto comune nelle mandrie di bovini da latte nordamericane. Uno studio condotto su 121 allevamenti nordamericani costituiti da stalle a posta libera ha visto che nel 60% dei casi era presente un sovraffollamento dei capi superiori al 100% (von Keyserlingk et al., 2012). La ricerca ha dimostrato anche che il pubblico era preoccupato per la mancanza di spazio e per l’elevata densità dei capi all’interno della stalla, in quanto li riteneva dei potenziale catalizzatori per lo stress e per la comparsa di malattie (Schuppli et al., 2014; Clark et al., 2016). Infatti, è noto come un eccessivo numero di capi abbia implicazioni negative sul benessere dei bovini da latte, tra cui la diminuzione del tempo di coricamento e di riposo (Fregonesi et al., 2007), e l’aumento della competizione per l’alimento (Collings et al., 2011) e per lo spazio all’interno della stalla (Winckler et al., 2015). È stato visto che il tasso dei comportamenti agonistici per lo spazio alla mangiatoia aumentava di pari passo con l’aumentare della densità dei capi in allevamento (Proudfoot et al., 2009). Anche una certa  omogeneità nella composizione dei gruppi sociali potrebbe ridurre la concorrenza ed apportare ai bovini da latte benefici sia comportamentali che sanitari (Proudfoot et al., 2018). In linea generale il pubblico è preoccupato per l’intensificazione delle pratiche di allevamento (Spooner et al., 2014); l’attuale trend, che spinge verso un aumento delle dimensioni delle mandrie, viene percepito come un allontanamento dalla condizione di “vita naturale”, che spesso alcuni consumatori associano esclusivamente all’allevamento di tipo familiare su piccola scala (vedi Gieseke et al., 2018). Secondo Gieseke et al. (2018) le dimensioni delle mandrie non sono un indicatore affidabile di benessere animale, ed attribuiscono un contributo più sostanziale alle pratiche di gestione e alla tipologia di stabulazione. I tassi di mortalità appaiono aumentati in seguito all’aumento delle dimensioni delle mandrie, cosa che potenzialmente potrebbe essere attribuita ad una diminuzione del monitoraggio dei singoli animali presenti all’interno di mandrie molto numerose (Shahid et al., 2015). Di contro, va detto che gli allevamenti di bovini da latte con mandrie molto grandi hanno più probabilità di adottare la tecnologia di precisione (Gargiulo et al., 2018). Tale tecnologia potrebbe in realtà portare ad un incremento del monitoraggio dei singoli animali, evidenziando così la complessità di tale questione. In realtà, l’associazione tra dimensioni della mandria e benessere è influenzata da numerose variabili, tra cui le competenze e la formazione proprie degli allevatori e del personale, le strutture presenti in allevamento ed i rapporti esistenti tra gli animali e gli operatori che se ne prendono cura quotidianamente (Barkema et al., 2015).

Capacità di interagire socialmente

In Nord America è pratica comune separare la madre dal vitello entro le 24 ore dal parto ed alloggiare singolarmente i vitelli per procedere poi allo svezzamento (Vasseur et al., 2010), aspetto che è fortemente in contrasto con l’enfasi posta dal pubblico sul valore delle interazioni sociali tra conspecifici (Widmar et al., 2017) e anche tra madre e vitello (Ventura et al., 2016a; Hötzel et al., 2017). Dal punto di vista del vitello è stato visto che l’alloggiamento individuale, rispetto alla stabulazione in gruppi, può portare ad un aumento dello stress durante lo svezzamento (De Paula Vieira et al., 2010), ad un aumento delle risposte alla paura e alla neofobia (Jensen et al., 1997; Veissier et al., 1997), ad una diminuzione dell’assunzione di cibo solido nelle fasi precoci dello svezzamento e persino a deficit cognitivi (Meagher et al., 2015). La stabulazione a coppie rappresenterebbe un metodo semplice ed economico per contrastare alcuni degli effetti negativi dell’alloggiamento individuale sulla salute e sul comportamento dei vitelli (Bolt et al., 2017). Rispetto ai vitelli stabulati in box singoli, gli animali alloggiati a coppie hanno mostrato un aumento dell’assunzione di alimento concentrato e solido (De Paula Vieira et al., 2010), un aumento del guadagno medio giornaliero di peso (Costa et al., 2015), una maggior flessibilità comportamentale (Gaillard et al., 2014) e una diminuzione delle risposte alla paura (Jensen e Larsen, 2014). Non sembrerebbe esserci una correlazione consolidata tra la tipologia di alloggio (di gruppo vs. individuale) e gli esiti sulla salute dei vitelli (vedi la review di Costa et al., 2016), anche se pochi studi hanno affrontato nel particolare questo argomento. Dal punto di vista della madre, in natura il comportamento materno prevedrebbe un elevato numero di allattamenti nella prima settimana dopo il parto ed interazioni affettive come il grooming reciproco tra la bovina e il suo vitello (Vitale et al., 1986). Sebbene aumenti la risposta acuta allo stress in caso di eventuale separazione, il mantenimento dei vitelli insieme alle madri è associato ad una diminuzione dei tassi di mastite (vedi la review di Beaver et al., 2019a) e ad effetti benefici a lungo termine per il vitello, che comprendono un’ampia gamma di comportamenti sociali ed esplorativi e la diminuzione delle stereotipie orali (vedi la recensione di Meagher et al., 2019). I fautori della separazione immediata sostengono che il mantenimento prolungato dei vitelli assieme alle madri potrebbe avere conseguenze negative per la salute dei vitelli stelli e per la produzione di latte, ma esistono poche prove in grado di supportare queste affermazioni (Beaver et al., 2019a; Meagher et al., 2019, rispettivamente). Sono necessarie ulteriori ricerche per ottimizzare i sistemi di stabulazione per i vitelli, in particolare per sviluppare buone pratiche utili a mitigare le risposte di stress dovute ad un’eventuale separazione. Nello specifico, sono necessarie ulteriori ricerche sui sistemi di svezzamento con recinzioni in linea (Price et al., 2003; Stěhulová et al., 2008), sulle reti di protezione per la mammella (Johnsen et al., 2015a,b), sulla separazione temporanea (Pérez et al., 2017) e sulla messa a disposizione di fonti supplementari di latte durante la fase di transizione della madre (Johnsen et al., 2015b). In una recente review, Proudfoot (2019) ha preso in esame la progettazione degli spazi da adibire alle bovine durante il periodo della maternità ed ha concluso che lo spazio ideale per questo periodo dovrebbe permettere l’espressione del comportamento materno naturale della bovina, compresa la necessità di cercare uno spazio isolato prima del parto. Negli Stati Uniti, circa il 59% delle stalle di bovini da latte ospita più animali nelle aree di parto, e il 39% non dispone di alloggi specifici (separati da quelli delle altre vacche in lattazione) per il periodo della maternità (USDA, 2016a). Pertanto, in alcuni di questi casi, potrebbe essere utile fornire l’accesso ad una zona o a una qualche tipologia di spazio nascosto dove la bovina potrebbe cercare un parziale isolamento dalle sue compagne di mandria (Proudfoot, 2019). In numerosi studi i recinti individuali per la maternità sono stati associati alla diminuzione del rischio di patologie (vedi Svensson et al., 2003 e Pithua et al., 2013); tuttavia il confinamento delle bovine in ricoveri individuali per un lungo periodo di tempo (più di qualche giorno) prima del parto potrebbe essere un fattore di stress (Munksgaard e Simonsen, 1996) a causa della mancanza di interazioni sociali (Boissy e Le Neindre, 1997). Per i bovini adulti alloggiati in stalle a posta fissa, la capacità di interagire con i conspecifici è molto limitata; essi possono interagire fisicamente solamente con i soggetti più vicini a loro e le altre interazioni sociali sono limitate alle vocalizzazioni (Gavojdian et al., 2009). Anche altri comportamenti sociali tipici del comportamento estrale, come la monta, l’annusare, l’appoggio del mento, il leccare e il dare le testate (Roelofs et al., 2010), vengono impedite dal fatto che le bovine sono legate. È importante sottolineare che la capacità di interagire socialmente dovrebbe includere anche la possibilità di sottrarsi da tali interazioni quando necessario (specialmente se negative), ma questo potrebbe non essere possibile nelle stalle a posta fissa o in strutture sovraffollate. Anche se non siamo in grado di fornire un progetto ben definito per la stabulazione futura dei bovini da latte raccomandiamo, come minimo, che le stalle non siano sovraffollate, che venga garantita la libertà di movimento, che i bovini abbiano la possibilità di accedere ad uno spazio all’aperto e che vengano tenute in grande considerazione le esigenze e le motivazioni della bovina stessa.

Educare l’opinione pubblica

Il dissenso tra il settore dell’allevamento e il pubblico direttamente interessato viene ulteriormente amplificato se da ambo le parti del dibattito le argomentazioni che scaturiscono sono estremamente riduttive; il pubblico talvolta etichetta gli allevatori come eccessivamente concentrati sulla produttività (cfr. Sumner et al., 2018), mentre la comunità degli allevatori notoriamente liquida il pubblico come malinformato o non a conoscenza delle logiche alla base delle decisioni di gestione (Benard e de Cock Buning, 2013). Alcuni dati suggeriscono che, secondo alcuni membri della comunità degli allevatori di bovini da latte, gli sforzi educativi sarebbero utili per raggiungere il sostegno dell’opinione pubblica e contrastare le percezioni negative sul settore (vedi Croney et al., 2012). Tuttavia, la letteratura ci indica che gli sforzi educativi unilaterali (volti ad educare l’opinione pubblica sulle pratiche di allevamento dei bovini da latte) molto probabilmente non sono così efficaci. Infatti in alcuni casi tali sforzi educativi, unitamente alla messa a disposizione di informazioni aggiuntive, sono riusciti addirittura a far diminuire il sostegno dell’opinione pubblica. Ad esempio, quando ai cittadini nordamericani e brasiliani sono state fornite informazioni aggiuntive sulle varie opzioni per la stabulazione delle scrofe in gestazione, sono diventati meno tolleranti nei confronti delle gabbie di gestazione rispetto a quando sono stati interrogati inizialmente (Ryan et al., 2015; Yunes et al., 2017; rispettivamente). Hötzel et al. (2017) hanno indagato il punto di vista del pubblico brasiliano sulle pratiche di separazione vacca da latte-vitello e sul pascolo zero. Oltre a scoprire un basso livello di supporto da parte dell’opinione pubblica verso queste pratiche, i ricercatori hanno tratto 2 conclusioni importanti: né la conoscenza delle pratiche acquisita in precedenza né la fornitura di ulteriori informazione ha aumentato il supporto. Al contrario, quando ai partecipanti venivano fornite nuove informazioni, molto spesso rifiutavano l’attuazione di queste pratiche negli allevamenti da latte (Hötzel et al., 2017). Anche Ventura et al. (2016a) non hanno trovato alcuna correlazione tra le conoscenze acquisite in precedenza e le posizioni prese nei confronti delle pratiche allevatoriali; in seguito ad una visita effettuata in un allevamento da latte, molti dei partecipanti hanno perso la convinzione che i bovini conducessero una buona vita (prima della visita il 42% era convinto vs. il 24% dopo la visita). Infine, in una review sistematica dei comportamenti del pubblico, Clark et al. (2016) hanno riferito che coloro che possedevano un livello di istruzione superiore, che avevano una maggiore familiarità con le pratiche di gestione impiegate in allevamento e che effettuavano con una certa frequenza visite negli allevamenti, hanno espresso maggior preoccupazione riguardo le attuali condizioni degli animali; secondo l’opinione dei partecipanti le pratiche attualmente in uso dovrebbero cambiare e sarebbero necessarie alternative adeguate (Clark et al., 2016). Secondo la nostra opinione, nel prevedere il futuro della stabulazione dei bovini da latte, sia il punto di vista del pubblico che quello degli animali dovrebbero essere integrati con quello della comunità degli allevatori. Il rifiuto delle preoccupazioni manifestate dall’opinione pubblica etichettandole come ignoranza o il ricorso a sforzi educativi unilaterali, potrebbero portare soltanto ad un’ulteriore perdita del supporto da parte del pubblico, cosa che potrebbe diventare controproducente quando ci troviamo ad affrontare le esigenze degli animali in allevamento. Un impegno con i consumatori e con i cittadini, piuttosto che i tentativi educativi, sarebbe forse l’approccio più costruttivo. Ad esempio, Weary e von Keyserlingk (2017) come metodo incoraggiano la creazione di un contesto “a porte aperte”, all’interno del quale possa esserci un dialogo reciprocamente vantaggioso tra allevatori e cittadini e che, idealmente, potrebbe portare ad un “ciclo di miglioramenti continui” (p. 1204).

Il futuro della stabulazione dei bovini da latte

Il ruolo della tecnologia

Il futuro della stabulazione dei bovini da latte richiede un approccio olistico che integri il contributo di 3 gruppi chiave delle parti interessati: il settore dell’allevamento, il pubblico e gli animali stessi. Dal punto di vista degli animali, alcuni comportamenti sono più critici di altri e la valutazione delle loro priorità, attraverso una continua ricerca etologica, è necessaria per sviluppare dei miglioramenti costruttivi per quanto riguarda i metodi di stabulazione. Nello specifico,si potrebbe sfruttare la distinzione tra “comportamento naturale” e “vita in natura” per far sì che gli animali possano manifestare comportamenti naturali all’interno degli ambienti per la stabulazione anche in assenza di stimoli naturali (Beaver et al., 2019b). In sintesi, l’adozione della moderna tecnologia, che indubbiamente si discosta da una definizione in senso stretto di “vita in natura”, potrebbe effettivamente facilitare l’espressione da parte degli animali di comportamenti naturali anche in assenza di ambienti completamente analoghi a quelli dove vivrebbero normalmente. Gli alimentatori automatizzati per vitelli sono un ottimo esempio della differenza tra comportamento naturale (ad es. suzione del latte) e vita in un ambiente naturale (ad es. vivere al pascolo con la madre). Anche se l’aspetto delle moderne mangiatoie automatiche può non evocare quelle sensazioni di naturalezza nella stessa misura in cui le evocherebbe l’immagine di un vitello allattato dalla madre, queste mangiatoie possono comunque favorire la manifestazione del naturale comportamento dei vitelli. In natura, nella prima settimana dopo la nascita, i vitelli si avvicinano alla madre per essere allattati  tra le 8 e le 12 volte al giorno (Vitale et al., 1986) ed hanno una marcata necessità di succhiare (Hammell et al., 1988). Così, rispetto alla pratica comunemente adottata di nutrire i vitelli con una quantità ridotta di latte [di solito 2 quarti (1.89 L) in bottiglia o secchio 2 volte al giorno; USDA, 2016a], gli alimentatori automatici sarebbero maggiormente in grado di imitare i modelli comportamentali di alimentazione che il vitello avrebbe in natura, grazie alla possibilità di effettuare un numero illimitato di accessi giornalieri all’alimentatore, ad una maggior distribuzione del latte e alla possibilità di succhiare un capezzolo artificiale. Naturalmente, gli alimentatori automatici per vitelli hanno l’ulteriore vantaggio di effettuare il monitoraggio individuale degli animali (ad esempio, vedi Sutherland et al., 2018) e possono quindi essere utilizzati per fornire assistenza personalizzata e per migliorare la salute degli animali, cosa fondamentale per gli allevatori e i veterinari. Pertanto, tenendo conto del quadro sul benessere animale proposto da Fraser (2008), possiamo affermare che l’impiego di alcune tecnologie sia in grado di migliorare sia gli aspetti sanitari sia l’espressione del comportamento naturale negli animali. Entrambi questi elementi potrebbero agire in tandem per promuovere il mantenimento di uno stato emotivo positivo e per apportare dei miglioramenti al benessere.

Evoluzione della definizione data dal pubblico del concetto di naturalezza

Come discusso in precedenza, l’adozione di tecnologie intelligenti potrebbe mettere insieme le esigenze dei membri del settore dell’allevamento così come le esigenze comportamentali degli animali stessi, ma che dire del pubblico? Quando si parla di animali d’allevamento il pubblico dà priorità alla naturalezza, ma in letteratura esistono delle lacune per quanto riguarda (1) il modo in cui il pubblico stesso definisce il concetto di “naturalezza” in relazione ai sistemi di allevamento, (2) su come questa definizione differisca da una generazione all’altra, e (3) fino a che punto la tecnologia possa essere ritenuta ammissibile nell’ambito della “naturalezza”. Le generazioni più anziane, come i cosiddetti “Baby Boomers” (così vengono definiti gli individui nati tra il 1946 e il 1964) e la Generazione X (quelli nati tra il 1965 e il 1980) mostrano un certo interesse per le nuove tecnologie (vedi la review di Gaul e Ziefle, 2009) ma, in linea generale, sono esitanti nell’adottarla rispetto alle generazioni più giovani (ad esempio, Arning e Ziefle, 2007). Le ragioni di questa titubanza sono probabilmente attribuibili ad una minor conoscenza dei computer e ad una minor familiarità con le tecnologie complesse. Per questo, le generazioni più anziane identificano la “naturalezza” dell’allevamento con gli animali che vivono all’aperto in un ambiente rurale, senza l’impiego di particolari tecnologie. Rispetto a quelle più vecchie le generazioni più giovani, come i Millennials [cioè la Generazione Y, gli individui nati tra il 1980 e il 2000 (Cavagnaro et al., 2018)] e la Generazione Z [gli individui con l’anno di nascita a partire dalla metà degli anni Novanta (Berkup, 2014)], sono diventate maggiorenni nel momento in cui  la disponibilità della tecnologia era senza pari. Sono stati fatti molti sforzi al fine di soddisfare dal punto di vista tecnologico questa fascia demografica. Numerosi studi descrivono nel dettaglio le strategie messe a punto per tener fede a questo impegno, a sostegno dell’introduzione delle tecnologie nelle scuole (Blue e Henson, 2015; Shatto e Erwin, 2017; Au-Yong-Oliveira et al., 2018), sul posto di lavoro (Canedo et al., 2017) ed anche come metodo di reclutamento per la partecipazione alla ricerca (Dalessandro, 2018). Così, i millenials e le generazioni successive sembrerebbero essere d’accordo sul fatto che l’utilizzo routinario della tecnologia sia “un qualcosa di naturale”. Questa affermazione viene confermata dagli stessi millennials che hanno individuato nell’utilizzo della tecnologia la caratteristica distintiva della loro generazione (Cisco, 2011). Inoltre, un terzo degli studenti universitari ha riferito come internet fosse per loro importante quanto il cibo e l’acqua, e più della metà di essi avrebbe giurato sul proprio smartphone di essere disposto a rinunciare all’olfatto o al gusto (Cisco, 2011; si veda la review di Stewart et al., 2017). Se per i millennials e le generazioni successive la tecnologia può essere considerata naturale, tale tecnologia può entrare a far parte anche della loro definizione di naturalezza per quanto riguarda il mondo che li circonda, compresi i sistemi di allevamento. I millenials hanno recentemente superato i baby boomer come la più grande generazione che va a costituire l’attuale forza lavoro (Pew Research Center, 2018a); inoltre, poiché negli Stati Uniti i boomer sono la popolazione più numerosa di elettori idonei, possiedono ed esercitano un’elevata influenza economica e politica (Pew Research Center, 2018b). I boomer, classificati come aventi un grado di consumismo attivo maggiore rispetto ai loro predecessori (Leach et al., 2008), sono abili nel dare voce alle loro opinioni, ma la loro influenza potrebbe essere messa in ombra dalla prossima generazione. Noi ipotizziamo che le generazioni più giovani possano effettivamente avere una diversa concezione di naturalezza, che possa andare ad includere anche l’impiego della tecnologia. Alcune prove a sostegno di questa ipotesi possono essere ottenute dallo studio di Cardoso et al. (2016), nel quale la maggior parte dei partecipanti (circa il 69%) erano millenials. Diversi intervistati, nel delineare la loro azienda da latte ideale, hanno fatto riferimento ad una nuova modernità nominando aspetti per loro essenziali come “ le attrezzature per la pastorizzazione al top di gamma” (p. 1668). I loro punti di vista comunemente includevano una fusione dei prototipi industriali e dei prototipi d’allevamento rurale (Fraser, 2008). Cioè, in linea generale, i partecipanti associavano un buon benessere animale ad un maggiore grado di naturalezza (ad esempio, possibilità di accesso al pascolo e uso limitato di antibiotici), ma affermavano anche che l’agricoltura non dovrebbe tornare alle sue radici contadine, quando era meno redditizia e non sfruttava le tecnologie considerate benefiche (in linea con Boogaard et al., 2010). Così, man mano che il potere d’acquisto si sposterà nelle mani delle generazioni più giovani, l’impiego della tecnologia nell’allevamento dei bovini da latte sarà sempre più tollerata dai consumatori di latticini. Naturalmente, è probabile che esista un’ampia variazione intra-generazionale per quanto riguarda i punti di vista individuali sulla tecnologia, influenzati dall’età, dall’educazione, dallo status socio-economico e dalla regione geografica di appartenenza. Ad esempio, alcune prove dimostrano che le generazioni più giovani potrebbero non essere più predisposte verso le biotecnologie e le tecnologie in grado di alterare direttamente il cibo che consumano [per esempio, gli organismi geneticamente modificati (Tenbült et al., 2005) o verso quella tecnologia in grado di garantire un prolungamento della durata della conservazione (Cavaliere e Ventura, 2018)], anche se altri autori hanno scoperto che la naturalezza del cibo è più importante per i consumatori più anziani rispetto a quelli più giovani (vedi la recensione di Román et al., 2017).

Tecnologia nei sistemi di stabulazione e nella gestione delle bovine da latte

Le nuove tecnologie si stanno già integrando rapidamente nei sistemi di allevamento ed hanno modificato le classiche modalità di stabulazione dei bovini da latte. Ad esempio, i sistemi per la mungitura automatizzata (AMS), introdotti alla fine del XX secolo, vengono oggi utilizzati in molte aziende da latte commerciali; a partire dal 2014, il 5.6% degli allevamenti da latte canadesi utilizza AMS, e questo numero è salito ad11.5% nel 2018 (CDIC, 2018). Negli Stati Uniti, il dato attuale sembrerebbe essere notevolmente più basso, intorno all’1.6% (USDA, 2016b), ma con le problematiche che riguardano lo storico impiego di lavoratori privi di documenti negli Stati Uniti (von Keyserlingk et al., 2013) l’utilizzo degli AMS aumenterà senza dubbio nel prossimo decennio. Le targhette di identificazione a radio frequenza vengono impiegate di routine per rintracciare i singoli animali all’interno delle mandrie canadesi; tuttavia, a partire dal 2014 (USDA, 2016a) solamente il 6.2% degli allevamenti da latte presenti negli Stati Uniti ha iniziato ad impiegare una tecnologia di identificazione a radiofrequenza aggiornata (il 20% circa del bestiame). Durante una review sistematica delle tecnologie di rilevamento e dei dispositivi informatici intelligenti, Jukan et al. (2017) hanno descritto il potenziale dei sistemi di comunicazione di prossima generazione nel miglioramento del benessere degli animali d’allevamento. Uno dei principali vantaggi dei dispositivi intelligenti è che non sono isolati ma, piuttosto, interconnessi. Cioè, i dispositivi fisici possono essere accoppiati con sistemi di calcolo per l’elaborazione dei dati. Ad esempio, per quanto riguarda i sistemi di stabulazione, sono in fase di sviluppo tecnologie per monitorare a distanza la salute del bestiame (ad esempio, Warren et al., 2003); queste tecnologie sono particolarmente utili perché facilitano il monitoraggio dell’accesso al pascolo, permettendo ai bovini di esprimere il loro comportamento naturale e, al contempo, ovviando alla necessità di portare gli animali in stalla per i controlli di routine sulla salute. Come sostenuto da Jukan et al. (2017) e da Barkema et al. (2015), gran parte del potenziale dei dispositivi intelligenti utili a migliorare il benessere degli animali non viene sfruttato, in quanto tali tecnologie non sono ancora disponibili attraverso una qualche tipologia di sistema centralizzato; pertanto, le informazioni non sono ancora condivisibili su una vasta rete. La creazione di un data hub non andrebbe solo a beneficio del settore lattiero-caseario (grazie ad una specifica tecnologia messa a punto per questo settore), ma permetterebbe anche di sfruttare ed adattare la tecnologia creata per altri settori e specie animali. Ad esempio, i sistemi di controllo climatico all’interno degli allevamenti di suini (Congguo et al., 2010), di polli (Ammad Uddin et al., 2014) e di bovini (Sarangi et al., 2014) potrebbero probabilmente essere ulteriormente ottimizzati per il trasferimento di informazioni attraverso un qualche tipo di sistema basato su cloud. Inoltre, le tecnologie sviluppate per l’impiego negli animali da compagnia o negli animali selvatici potrebbero essere applicate nella pratica anche in allevamento. Ad esempio, Valentin et al. (2015) hanno proposto un sistema di monitoraggio dove i dati sanitari vengono trasmessi da giubbotti indossati dai cani. Questa tipologia di tecnologia, se adattata ad un collare o contenuta in un’etichetta auricolare, potrebbe essere particolarmente utile per il monitoraggio dei vitelli al pascolo, consentendo un prolungamento del contatto tra la madre e il vitello. Analogamente, i droni o i sistemi di geolocalizzazione (ad esempio, Trotter et al., 2010; Barbedo e Koenigkan, 2018) sembrerebbero essere promettenti per il monitoraggio degli animali al pascolo e, potenzialmente, per rintracciare le coppie formate da vacca e vitello. È importante notare come la maggior parte delle nuove tecnologie sviluppate per i sistemi di allevamento sia orientata verso il monitoraggio della salute e del funzionamento biologico. Anche se questi aspetti del benessere sono fondamentali, poche nuove tecnologie hanno lo scopo di valutare il comportamento naturale o gli stati emotivi. Molte tecnologie sono già in uso nel settore lattiero-caseario e possono essere sfruttate per studiare il comportamento (vedi review di Rutten et al., 2013), anche se il comportamento viene spesso trattato come uno strumento per valutare gli esiti attuali o futuri sulla salute, piuttosto che come una misura di esito primario. Ad esempio, il sensore ZigBee è in grado di rilevare il movimento del bestiame in modalità wireless, ma la sua applicazione si è concentrata sulla rilevazione dell’estro (Li et al., 2010) e sulla misurazione di altri parametri fisiologici (Kumar e Hancke, 2015). Queste cose si applicano principalmente agli animali impiegati nella produzione alimentare, dato che per le specie animali definite da compagnia sono state proposte altre tecnologie che, ad esempio, sono volte a migliorare il rapporto uomo-animale (HAR) o a comprendere il modo in cui gli animali da compagnia interagiscono con il mondo (ad esempio, Lemasson et al., 2013 attraverso l’utilizzo di uno smartphone attaccato alla schiena del cane). Da quando in numerosi studi è stato visto come l’HAR potesse influenzare il benessere sia dei vitelli che dei bovini adulti (Raussi, 2003), è apparso possibile che questa tipologia di tecnologia potesse essere utilizzata anche negli allevamenti da latte. L’applicazione di nuove tecnologie potrebbe portare anche ad un miglioramento indiretto dell’HAR, sollevando semplicemente gli allevatori dallo svolgere i loro compiti di routine e cambiando la natura delle interazioni uomo-animale. Ad esempio, un recente studio ha illustrato alcuni miglioramenti dell’HAR correlabili al passaggio dai sistemi di mungitura convenzionali ai sistemi di mungitura AMS (Wildridge et al., 2020), tra cui la diminuzione della distanza di evitamento e la diminuzione della risposta allo stress da manipolazione. Gli autori hanno attribuito questo cambiamento alla diminuzione delle procedure di raccolta del latte e ad una conseguente rimodulazione delle interazioni tra l’allevatore e la bovina. Molti ostacoli devono ancora essere superati prima che molte di queste tecnologie intelligenti possano diventare mainstream nei sistemi di produzione lattiero-casearia. Per prima cosa, la discussione sulle tecnologie intelligenti è probabilmente incompleta senza un riconoscimento degli oneri economici che possono ostacolarne l’adozione da parte degli allevamenti. Anche alcune questioni tecniche dovranno essere risolte (come quelle relative alla durata delle batterie e alla connessione di rete) prima che molte tecnologie promettenti diventino investimenti a basso costo o economicamente vantaggiose (Jukan et al., 2017). Gli sviluppi futuri in termini di stabulazione dei bovini da latte dovranno continuare ad integrare le nuove tecnologie di rilevamento e i dispositivi informatici intelligenti, mano a  mano che verranno ottimizzati e diventeranno maggiormente disponibili in commercio. La tecnologia, pur deviando ulteriormente dal concetto di naturalezza nel senso più stretto del termine, ha il potenziale di mediare le esigenze dei diversi soggetti interessati, facilitando l’espressione di un comportamento naturale da parte dei bovini e mantenendo elevato, al contempo, il livello di salute e di cura del singolo animale (ad esempio, si veda Svensson e Jensen, 2007; de Mol et al., 2013) due tematiche centrali per il personale che lavora nel settore dell’allevamento.

Conclusioni

Molte delle attuali metodiche di stabulazione per i bovini da latte non rispecchiano i valori e le aspettative del pubblico per quanto riguarda lo svolgimento di una vita naturale da parte degli animali. Oltre ad essere in contrasto con le aspettative del pubblico, molte di queste pratiche sono anche in conflitto con le motivazioni degli animali stessi, il che può avere conseguenze negative sul benessere. Il bestiame stesso può essere visto come un importante soggetto interessato coinvolto nei perfezionamenti futuri dei sistemi di stabulazione, e ulteriori ricerche sulle sue preferenze e motivazioni potranno condurre ad importanti risultati per quanto concerne la possibilità di espressione di comportamenti naturali all’interno degli allevamenti. L’utilizzo continuo della tecnologia potrebbe rappresentare un mezzo utile per riparare la frattura esistente tra le esigenze del pubblico, degli animali e della comunità degli allevatori, per migliorare e mantenere elevato il livello di cura individuale riuscendo ad incorporare, al tempo stesso, l’opportunità di espressione del comportamento naturale da parte del bestiame. Alcune prove suggeriscono che la definizione del concetto di naturalezza si stia evolvendo da una generazione all’altra per arrivare ad includere anche l’impiego della tecnologia, cosa che può solamente aiutarci nel raggiungere un compromesso tra le priorità delle parti interessate.

Riconoscimenti

Un grazie di cuore a Dan Weary (University of  British Columbia) per i commenti su una bozza precedente. L’University of British Columbia’ Animal Welfare Program è supportato dal Canada’s Natural Sciences and Engineering Research Council Industrial Research Chair Program con il contributo di Alberta Milk (Edmonton, AB, Canada), British Columbia Dairy Association (Burnaby, BC, Canada), Boehringer Ingelheim (Burlington, ON, Canada), CanWest DHI (Guelph, ON, Canada), BC Cattle Industry Development Fund (Kamloops, BC, Canada), Dairy Farmers of Canada (Ottawa, ON, Canada), Dairy Farmers of Manitoba (Winnipeg, MB, Canada), Intervet Canada Corporation (Kirkland, QC, Canada), Saputo Inc. (Montreal, QC, Canada), SaskMilk (Regina, SK, Canada) e Semex Alliance (Guelph, ON, Canada). MvK viene finanziata, in parte, anche dalla Fondazione Hans Sigrist (University di Berna, Berna, Svizzera) tramite il The Hans Sigrist Premio. Gli autori confermano l’assenza di conflitto d’interessi associato alla presente pubblicazione.

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