Torniamo, o meglio continuiamo, a parlare di microbiologia alimentare e biotecnologia delle fermentazioni. Con questi paroloni si intende la branca scientifica che si occupa dei nostri minuscoli amici: dei microrganismi associati agli alimenti. In particolare, noi ci siamo occupati di batteri e lieviti fermentanti

Per approfondire e legare gli argomenti trattati finora nella serie “Vi raccontiamo i latti fermentati” abbiamo pensato di contattare la Dott.ssa Chiara Devirgiliis, Ricercatrice che si occupa di microbiologia degli alimenti presso il Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione del CREA, l’ente di ricerca nell’ambito agroalimentare più importante a livello nazionale.

Abbiamo quindi affrontato il discorso dei probiotici e dei prebiotici nei latti fermentati (per sapere di cosa si tratta leggi anche Vi raccontiamo i latti fermentati: prebiotici e probiotici), a livello di produzione, nonché delle conseguenze della fermentazione, soprattutto per quanto riguarda i batteri nocivi. 

La Dott.ssa Devirgiliis ci spiega subito che per la produzione dei latti fermentati contenenti probiotici, questi ultimi sono spesso addizionati alla fine della lavorazione, e che quindi non partecipano alla fermentazione, condotta invece da altri ceppi microbici. 

I probiotici e la fermentazione

Sono pochi, infatti, i probiotici commerciali che fanno parte del un consorzio microbico che trasforma il latte, ovvero che fermenta la matrice e che quindi costituisce l’inoculo; tra questi troviamo il Lactobacillus casei Shirota, che deve il nome al Dott. Minoru Shirota, il ricercatore giapponese che basò i suoi studi sulla ricerca di un batterio che potesse superare tutte le barriere e gli ostacoli presenti nel tratto gastrointestinale umano, e raggiungere in uno stato vitale e metabolicamente attivo l’intestino,  per esplicare una attività benefica. Trovato questo ceppo di Lactobacillus casei, il Dott. Shirota cercò la matrice a cui più si potesse adattare e creò una bevanda a partire da latte scremato con l’aggiunta del lattobacillo come unico ceppo fermentante. Chiamò tale prodotto Yakult, da “yahurto” il termine esperanto per yogurt. 

Un altro esempio è rappresentato dall’Acidophilus Milk, in cui la fermentazione è condotta da un probiotico, il Lactobacillus acidophilus, che dà il nome al latte fermentato, nostro malgrado però questa bevanda fermentata è più popolare negli Stati Uniti piuttosto che in Europa.

Ma ciò non ci deve far pensare che tali prodotti,  che abbiamo provato a conoscere in queste puntate, non siano benefici di per sé, anche in assenza di probiotici addizionati. Caratteristica fondamentale dei latti fermentati, in particolare del kefir, è che il consorzio microbico autoctono è spesso così complesso da contenere ceppi microbici con potenzialità benefiche tra cui la produzione di elementi e molecole rilevanti per la salute umana. Del kefir non si conoscono probiotici che abbiano ottenuto il brevetto, ma stanno emergendo studi che suggeriscono una valenza “health promoting” di questo alimento, il cui microbiota, composto da batteri lattici, lieviti e batteri acetici, è in grado di produrre molecole bioattive e metaboliti variegati e multiformi.

Come abbiamo spiegato nell’articolo sul kefir (Vi raccontiamo i latti fermentati: il kefir ), il latte per gli alimenti fermentati è una matrice che permette sia lo sviluppo di molecole bioattive a partire dai composti preesistenti, sia la preservazione della componente microbica. A tal proposito, specifica la Ricercatrice Devirgiliis, spesso la matrice alimentare può proteggere i microrganismi nel transito lungo il tratto digerente, facilitando la sopravvivenza a livello dell’intestino. E’ comunque importante che la concentrazione dei microrganismi presenti nel prodotto a fine lavorazione sia elevata, perché nel caso dei probiotici è consigliato assumere circa un miliardo di batteri al giorno per avere un effetto benefico. I latti fermentati solitamente hanno un mese di shelf-life, decisamente più lunga rispetto a quella del latte non fermentato (circa 6 giorni per quello fresco pastorizzato). C’è da dire che in questo mese la carica microbica può variare, ma se si mantiene la catena del freddo le variazioni possono risultare minime, perciò potremmo comunque avere un prodotto sicuro e contenente elevati livelli di microrganismi fermentanti. Ad ogni modo è consigliabile consumare un latte fermentato a ridosso della produzione.

I microrganismi benefici vincono sui batteri alterativi nella fermentazione

Durante la lavorazione della matrice si è sempre a rischio di colonizzazione da parte di batteri indesiderati, la Ricercatrice ci ricorda che il primo passo è quello di operare in condizioni igienico-sanitarie adeguate e accurate. Per quanto riguarda i prodotti in questione, la fermentazione aumenta la shelf-life. Attraverso l’abbassamento del pH dovuto alla produzione di acido lattico, viene infatti sfavorito lo sviluppo della maggior parte dei batteri indesiderati e patogeni, che non riescono a proliferare in condizioni di acidità. Questo è uno dei motivi, tra l’altro, per cui i prodotti fermentati sono stati lavorati dai nostri avi per secoli: nel lungo periodo di assenza di elettrodomestici (frigo e freezer), l’acidità era un rimedio sicuro contro il deterioramento degli alimenti. Altro elemento rilevante è la produzione di batteriocine da parte di alcuni microrganismi che svolgono fermentazione, anche questo coadiuva i produttori nel tenere a bada i batteri alterativi. 

Prebiotici nel latte

Di prebiotici il latte come matrice non è particolarmente ricco; ad esempio gli oligosaccaridi nel latte bovino, sono presenti solo in quantità trascurabilie. Infatti spesso vengono addizionati per creare i cosiddetti simbiotici, ovvero alimenti in cui sono presenti probiotici e prebiotici e che quindi hanno un alto potenziale benefico sulla salute. I prebiotici industriali scelti dai più sono i galatto-oligosaccaridi (polimeri di glucosio e galattosio), i frutto-oligosaccaridi (composti da fruttosio e glucosio) e l’inulina (polimero del fruttosio). Dalla degradazione delle fibre da parte dei batteri intestinali si formano i cosiddetti SCFA (acidi grassi a catena corta), e tra questi in particolare il butirrato, che aziona una serie di risposte benefiche per la salute. 

Occhio alle news!

Abbiamo poi parlato di un punto essenziale, che riguarda la comunicazione. L’alimentazione è un fatto serio, e le informazioni in questo ambito dovrebbero essere fornite solo da esperti del settore, altrimenti si rischia di ricadere nel turbine di fake news che dilaga ultimamente su social e non. A turno ogni alimento viene messo sotto accusa: c’è stato il momento dello zucchero bianco, per rivelare solo dopo che lo zucchero di canna prodotto da molte aziende era ancora più raffinato, c’è stata poi la volta delle farine, e solo successivamente è stato svelato che la dicitura grani antichi è un po’ fasulla, e così via, si potrebbe fare un elenco lunghissimo. Da qualche anno a questa parte ad essere posto sotto la lente di ingrandimento è il latte. Si è dichiarato che il latte nuoce alla salute: l’essere umano è l’unico mammifero a consumare latte dopo lo svezzamento, il latte causa rischi cardio-vascolari, è troppo ricco in grassi. Insomma, si sono date le informazioni più disparate e spesso prive di fondamento scientifico. Ciò che ci rincuora è che queste mode hanno un tempo prestabilito, e già solamente tale fatto dovrebbe allertare il consumatore. 

La Dott.ssa Devirgiliis ci ha risposto dichiarando che non c’è nessuna evidenza scientifica che definisca il latte come dannoso per la salute. In questi anni, al contrario, si stanno portando avanti analisi scientifiche accurate per valutare la matrice latte e i suoi effetti, affinché si possano fornire dei messaggi reali a consumatori e produttori. 

Come Ruminantia abbiamo parlato della correlazione tra latte e salute in un articolo di qualche tempo fa, Esistono preoccupazioni riguardo il consumo di latticini e la salute cardiovascolare?.

Le ricerche scientifiche riguardo ai latti fermentati sono decisamente progredite negli ultimi anni, e ciò permetterà di mettere in luce eventuali effetti benefici per il consumatore.

Accanto ai prodotti industriali, sul mercato sono presenti diversi prodotti artigianali e con una forte connotazione geografica, che meritano di essere valorizzati. D’altronde la nostra terra è ricca di artigianalità e prodotti tipici di nicchia, sarebbe una colpa imperdonabile quella di perdere questo immenso patrimonio in nome della standardizzazione.