Abstract

1. Introduzione: Pandemie e Sanità Pubblica

2. Criteri per la regolamentazione della Sanità Pubblica

3. L’obesità è un “indicatore”, non una causa di malattie non trasmissibili (NCD)

4. Il cibo ultra-processato è la causa delle NCD

5. Si abusa dello zucchero aggiunto

6. Lo zucchero aggiunto è tossico

7. Lo zucchero aggiunto è ubiquitario

8. Lo zucchero aggiunto possiede effetti collaterali

9. Contestazioni all’industria alimentare

10. Possibili interventi sociali

11. Conclusioni

 

Abstract

In passato le crisi sanitarie (ad esempio, Tabacco, alcol, oppioidi, colera, virus dell’immunodeficienza umana (HIV), piombo, inquinamento, malattie veneree e persino il coronavirus (COVID-19) sono state affrontate con interventi mirati e diretti sia all’individuo che a tutta la società. Sebbene la collettività sanitaria sia ben consapevole del fatto che la pandemia globale di malattie non trasmissibili (NCD) affondi le sue origini nella dieta occidentale contenente cibi ultra-processati, la società è andata a rilento nell’avviare qualsiasi intervento diverso dall’educazione dell’opinione pubblica, che in parte è risultata essere inefficace a causa dell’interferenza dell’industria alimentare stessa. Questo articolo fornisce il fondamento logico di tali interventi di salute pubblica, mettendo insieme le prove che lo zucchero aggiunto, e per procura la categoria dei cibi ultra-processati, soddisfano i quattro criteri (stabiliti dal comitato che si occupa di salute pubblica) necessari e sufficienti per l’avvio di una sua regolamentazione: abuso, tossicità, ubiquità, ed effetti collaterali (in che modo il suo consumo mi condiziona?). A loro favore, va detto che alcuni paesi hanno recentemente tenuto conto di questo aspetto ed hanno istituito politiche di tassazione dello zucchero per aiutare a migliorare l’incidenza delle malattie non trasmissibili all’interno dei loro confini. Questo articolo fornisce anche prove scientifiche ai punti di discussione dell’industria alimentare e strategie d’intervento campione, al fine di guidare sia gli scienziati che i legislatori politici nell’istituzione di ulteriori ed appropriate misure di sanità pubblica volte a sedare la diffusione di queste patologie.

Parole chiave: cibi processati; alimentazione; malattie non trasmissibili; sindrome metabolica; diabete; dipendenza; normativa

1. Introduzione: Pandemie e Sanità Pubblica

Siamo nel bel mezzo di due pandemie. La pandemia COVID-19 ha avuto un inizio individuabile nel gennaio 2020. Tuttavia, nonostante l’attenzione dei media e gli avvertimenti degli scienziati, molti paesi stanno vivendo una “seconda ondata”; qui negli Stati Uniti, non abbiamo mai superato la prima. Non esiste una cura, almeno non ancora; tutto ciò che abbiamo per attenuare la diffusione di questa pandemia sono le misure di sanità pubblica – allontanamento sociale, lavarsi le mani ed impiego di mascherine per il viso – che non sembrano funzionare molto bene su base volontaria, a meno che non vengano rese obbligatorie dalle autorità. La seconda pandemia, quella rappresentata dalla diffusione delle malattie non trasmissibili (NCD; diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, steatosi epatica, ipertensione, patologie cardiache, ictus, cancro e demenza), è risultata più insidiosa, essendosi diffusa lentamente in un arco temporale di 50 anni [1]. Anche per questa pandemia non esiste una cura; tutto quello che abbiamo sono tentativi educativi su base volontaria come “dieta ed esercizio fisico”, che non sembrano però funzionare molto bene. Ad oggi, le malattie non trasmissibili rappresentano il 72% dei decessi [2] e il 75% dei dollari spesi per il servizio sanitario negli Stati Uniti [3] e nel Mondo [2], e la morbilità, la mortalità e i costi continuano a salire. Negli Stati Uniti, Medicare dovrebbe risultare insolvente entro il 2026 e Societal Security sarà interrotta entro il 2034 [4], a causa sia della perdita di produttività economica sia dell’aumento della spesa sanitaria. Senza persone giovani e sane che spendono all’interno di un sistema, le persone anziane e malate non possono uscirne. Il costo di queste malattie non trasmissibili non è limitato agli Stati Uniti [5] tanto che, secondo le Nazioni Unite (ONU), rappresentano una crisi sanitaria globale [6]. Pertanto, le malattie non trasmissibili rappresentano una minaccia esistenziale per la sopravvivenza di ogni paese e, in effetti, dell’intero pianeta. Identificare le cause di tali patologie e le iniziative politiche da intraprendere a monte per attenuare la loro diffusione è di fondamentale importanza. Inoltre, il mondo ha dovuto recentemente fronteggiare anche altre due patologie croniche, il tabagismo e il consumo di alcol; entrambe causati da sostanze edoniche prontamente disponibili per l’acquisto, ed entrambe sottoposti ad interventi di regolamentazione da parte della sanità pubblica. Soltanto dopo il Master Settlement Agreement degli Stati Uniti e la World Health Organisation (WHO) Framework Convention on Tobacco Control  abbiamo assistito ad una diminuzione del consumo di sigarette e ad una riduzione dell’incidenza del cancro ai polmoni [7]. Per quanto riguarda il consumo di alcol, i singoli paesi hanno superato i propri sforzi normativi di sanità pubblica, con evidenti miglioramenti [8].

2. Criteri per la regolamentazione della Sanità Pubblica

La domanda per gli ufficiali di sanità pubblica è se ci sia qualcosa di specifico ed identificabile che potrebbe essere regolamentato su scala globale e che potrebbe aiutare a mitigare la diffusione delle malattie non trasmissibili. Mentre alcuni comportamenti possono essere resi obbligatori (ad esempio l’indossare la mascherina), la maggior parte degli altri è lasciata alla libera scelta di ciascun individuo (ad esempio, lo svolgimento di attività fisica). Piuttosto, sembrerebbe essere più efficace prendere di mira una sostanza o una classe di sostanze responsabili, come previsto dalla Iron Law of Public Health, che afferma che la diminuzione della disponibilità di una sostanza ne riduce il consumo, cosa che fa diminuire anche i danni alla salute [9]. I funzionari di sanità pubblica hanno identificato i quattro criteri che devono essere soddisfatti per poter essere presi in considerazione per una regolamentazione da parte della sanità pubblica [10]:

  • Abuso (perché non puoi smettere?)
  • Effetti nocivi (perché ti ammali?)
  • Ubiquità (perché non puoi evitarli?)
  • Effetti collaterali (perché il loro consumo mi nuoce?)

Per generare entusiasmo in relazione a qualsiasi sforzo di regolamentazione, la scienza e la logica di ciascuno di questi criteri devono essere ovvie ed ineluttabili. L’obiettivo di questo trattato era quello di fornire alla scienza l’informazione che il cibo ultra-processato in generale, e lo zucchero in particolare, soddisfano tutti e quattro i criteri sopra elencati, quindi dovrebbero essere considerati come il target per una regolamentazione della pandemia di malattie non trasmissibili da parte degli organi che si occupano di sanità pubblica e dai responsabili politici. Tuttavia, prima dobbiamo occuparci dell’ “elefante nella stanza”; il mito secondo il quale le calorie sono la causa dell’obesità e l’obesità è la causa delle malattie non trasmissibili. Se così fosse, l’industria che si occupa della produzione di cibi trasformati potrebbe utilizzare il mantra “qualsiasi caloria potrebbe far parte di una dieta equilibrata”, deviando così le critiche sollevate ai propri prodotti. Al fine di fornire prove sui ruoli specifici dello zucchero e del cibo ultra-processato nella diffusione delle malattie non trasmissibili, dobbiamo prima affrontare e dissipare questo mito, dimostrando che l’obesità può non essere una causa di comparsa di queste malattie poiché anche gli individui normopeso possono svilupparle. Dobbiamo anche dimostrare che gli effetti dello zucchero e degli alimenti ultra-processati sulla prevalenza e sulla gravità delle malattie non trasmissibili sono esclusivi delle calorie intrinseche e indipendenti dagli effetti sull’obesità [11].

3. L’obesità è un “indicatore”, non una causa di malattie non trasmissibili (NCD)

La maggior parte dei medici attribuisce erroneamente il crescente aumento delle malattie non trasmissibili alla crescente diffusione dell’obesità dovuta alla quantità di cibo ingerito. Questo non è vero, per cinque diverse ragioni: (a) Sebbene l’incidenza dell’obesità e del diabete siano correlate, non sono concordi [12]. Ci sono paesi che sono obesi senza essere diabetici (come Islanda, Mongolia e Micronesia) e ci sono paesi che sono diabetici senza essere obesi, come India, Pakistan e Cina (hanno un tasso di diabete del 12%). Questo è ulteriormente precisato quando si guardano gli anni di vita persi a causa del diabete rispetto a quelli persi a causa dell’obesità [13]. (b) Il 20% degli individui obesi è metabolicamente sano ed ha un’aspettativa di vita normale [14-16], mentre fino al 40% degli adulti normopeso presenta alterazioni metaboliche simili a quelle che si verificano in caso di obesità, incluso il diabete mellito di tipo 2 (T2DM), dislipidemia, steatosi epatica non da consumo di alcol (NAFLD) e malattie cardiovascolari (CVD) [17,18]. In effetti, negli Stati Uniti l’88% degli adulti presenta disfunzione metabolica [19], mentre solamente il 65% è in sovrappeso o obeso: alcune persone con peso normale sono anche metabolicamente malate. (c) In Ecuador, le “Piccole donne di Loja” sono una coorte con effetto del fondatore carente di recettori per l’ormone della crescita, che diventano notevolmente obese ma che sono protette da malattie metaboliche croniche come diabete e malattie cardiache [20]. (d) Il trend secolare del diabete negli Stati Uniti dal 1988 al 2012 ha mostrato un aumento del 25% del tasso, sia nella popolazione obesa che nella popolazione di peso normale [21]. (e) Il processo di invecchiamento non spiega l’insorgenza del T2DM, poiché i bambini con età inferiore ai dieci anni ad oggi possono manifestare questi stessi processi biochimici [22,23]. Oggi i bambini hanno due malattie mai viste prima in questa fascia di età: il T2DM e la steatosi epatica. Queste due malattie erano diffuse solamente negli anziani o in coloro che abusavano di alcol. Queste cinque linee di ragionamento sostengono che l’obesità rappresenti un “indicatore” per la fisiopatologia delle malattie non trasmissibili (ad esempio, insulino-resistenza), ma non una causa primaria, perché anche una certa percentuale di persone normopeso possono sviluppare tali malattie, mentre una percentuale di persone obese è metabolicamente sana. Se l’obesità fosse una causa della comparsa delle malattie non trasmissibili, allora si potrebbe sostenere che “mangiare crea dipendenza”, ma chiaramente nessuna delle due cose è vera. Il fatto che persone giovani e di peso normale possano sviluppare malattie non trasmissibili suggerisce che alla radice di questa pandemia ci sia un’esposizione, piuttosto che un comportamento, e che la quantità di cibo non sia la causa.

4. Il cibo ultra-processato è la causa delle NCD

Piuttosto, andrebbe detto che la causa è la qualità del cibo. Gli alimenti ultra-processati, definiti come formulazioni industriali solitamente con 5 o più ingredienti [24], sono la categoria di alimenti che guidano la crescita delle malattie non trasmissibili [25], come l’obesità [26,27], il diabete [28], le malattie cardiache [29] e il cancro [30]. Nello specifico, lo zucchero aggiunto (cioè qualsiasi dolcificante contenente fruttosio, saccarosio, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, sciroppo d’acero, miele, sciroppo d’agave) è il componente principale, insidioso ed in quantità esagerate, del cibo ultra-processo che contribuisce allo sviluppo di tale  rischio. In questo articolo, utilizzando prove scientifiche e legali, elaborerò tre argomentazioni correlate. In primo luogo, andrò a dimostrare come il cibo ultra-processato crei dipendenza a causa dello zucchero che viene aggiunto ad esso, zucchero che l’industria alimentare aggiunge appositamente a causa di queste sue proprietà. Come seconda cosa, andrò a mettere in evidenza i meccanismi specifici mediante i quali lo zucchero risulta essere tossico per il fegato, cosa che porta alla comparsa di malattie non trasmissibili. Infine, andrò a sostenere che lo zucchero aggiunto dovrebbe essere più appropriatamente definito come un additivo alimentare piuttosto che come alimento. In tal modo, sosterrò che lo zucchero aggiunto, e per estensione l’intera categoria degli alimenti ultra-processati, va a soddisfare questi criteri stabiliti dalla sanità pubblica per la messa in atto di una regolamentazione di una sostanza (abuso, tossicità, ubiquità, effetti collaterali) [9].

5. Si abusa dello zucchero aggiunto

Il ruolo fondamentale della dieta occidentale nella diffusione delle malattie non trasmissibili è incontestabile [31]. Ad esempio, il consumo di cibo ultra-processo viene correlato all’indice di massa corporea (BMI) negli Stati Uniti [26] e in 19 paesi Europei [27]. Quando le politiche di deregolamentazione del mercato degli anni ‘90 hanno preso piede, le vendite di cibo pronto sono aumentate in maniera esponenziale in tutti i paesi e le culture in cui è stato introdotto, unitamente ad un aumento proporzionale del BMI [32]. In effetti, ogni paese che ha adottato la dieta occidentale è gravato dallo sviluppo di malattie non trasmissibili e dai costi che ne derivano [33]. Tuttavia, l’industria alimentare continua a diffondere l’argomentazione secondo la quale la colpa è da ricercare nella quantità e non nella qualità degli alimenti. Questa non è un’argomentazione semantica. La quantità è determinata dall’utente finale, quindi è una questione di responsabilità personale; mentre la qualità è stabilita dai produttori, quindi è comunque un problema di salute pubblica. Ma cosa succede se la qualità altera la quantità? Quelli che preferivano una visione rispetto all’altra sembrerebbero quindi giustificati nella loro posizione. In effetti, questo dibattito sembra aver portato ad una situazione di stallo accademico [34-36]. Questo deve essere risolto prima di poter contemplare qualsiasi forma di intervento sociale.

5.1. “Dipendenza da cibo” versus “Dipendenza dal mangiare”

Recenti scoperte nella letteratura popolare hanno fatto allusioni sulla capacità di creare dipendenza della dieta occidentale [37,38], cosa che ne determina un consumo eccessivo. Sono state chiarite le analogie fisiologiche [39,40] e neuroanatomiche [41] tra l’obesità e i circuiti della dipendenza. Alcuni ricercatori sostengono che specifiche componenti presenti nel cibo trasformato, e in particolare nel “fast food”, creano dipendenza in un modo simile alla cocaina e all’eroina [42,43]. La Yale Food Addiction Scale (YFAS) registra specifici alimenti sulla base della loro proprietà di indurre dipendenza [44], e la YFAS di un bambino rivela che la dipendenza da cibo è comune, specialmente nei giovani obesi [45].Tuttavia, non tutti sono d’accordo con la visione diffusa che specifici cibi hanno la proprietà di creare dipendenza. Ad esempio, in Europa un gruppo di accademici chiamato NeuroFAST non accetta il concetto di “dipendenza da cibo”, e preferisce piuttosto parlare di “dipendenza dal mangiare” [46]. Questo gruppo ha realizzato una propria scala “della dipendenza dal mangiare” nella quale tutti gli alimenti sono trattati in modo simile [47], mentre il comportamento è l’aspetto che contraddistingue il fenomeno. Questi ricercatori affermano che anche se specifici cibi possono generare un segnale di ricompensa, non possono creare dipendenza perché sono essenziali per la sopravvivenza. Secondo le loro stesse parole: “Negli esseri umani non esistono prove che uno specifico alimento, ingrediente o additivo alimentare provochino una dipendenza basata sulla sostanza (l’unica eccezione attualmente nota è la caffeina, che attraverso meccanismi specifici può potenzialmente creare dipendenza). In questo contesto segnaliamo specificamente che non consideriamo le bevande alcoliche come cibo, nonostante un grammo di alcol abbia una densità energetica di 7 kcal [48] ”. NeuroFAST riconosce la caffeina come in grado di creare dipendenza, ma chiude un occhio. Gli alcaloidi della xantina sono presenti naturalmente in molti alimenti, ma la caffeina viene classificata dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense come additivo alimentare. È considerata anche un farmaco; la diamo ai neonati prematuri con sistema nervoso sottosviluppato per stimolare il sistema nervoso centrale (SNC) al fine di prevenire l’apnea. NeuroFAST riconosce anche l’alcol come capace di dare dipendenza, ed anche in questo caso chiude un occhio. I lieviti naturali fermentano costantemente i frutti mentre sono ancora sulla vite o sull’albero, facendoli maturare [49], eppure NeuroFAST ammette che l’alcol purificato non è un alimento. Anche, l’alcol è considerato un farmaco; lo davamo alle donne incinte per fermare il travaglio prematuro. Recentemente, un altro gruppo europeo legato all’industria alimentare ha valutato gli effetti di specifici alimenti sulla “dipendenza dal mangiare” in una coorte di studenti universitari, utilizzando l’aumento di peso come metro della dipendenza da cibo. Nel loro studio, non hanno trovato differenze tra grassi e zuccheri come causa dell’aumento di peso [50]. Tuttavia, come affermato in precedenza, l’utilizzo dell’aumento di peso come metro della dipendenza da cibo è intrinsecamente imperfetto. Al fine di valutare il meccanismo degli effetti del cibo sulla via della dipendenza nel cervello, il nostro gruppo presso l’UCSF ha studiato una coorte di donne obese in postmenopausa che ricevevano per via orale l’antagonista del recettore mu per gli oppioidi nalotrexone come controllo del sistema di ricompensa del cervello. Abbiamo scoperto che in queste donne l’ampiezza delle risposte del cortisolo e la comparsa di nausea in risposta al nalotrexone erano correlate con la sintomatologia del desiderio di cibi dolci appetibili. Questi dati suggeriscono che il nalotrexone ha interferito con il segnale del peptide oppioide endogeno (EOP) che mediava queste voglie. In tal modo, abbiamo individuato un fenomeno di “Reward Eating Drive” (RED), che smaschera quegli individui con obesità che sembrerebbero rispondere eccessivamente agli stimoli  verso alimenti edonici [51-53], e che è legato alla componente oppioidergica del circuito della ricompensa nel cervello, che è guidato dai cibi dolci. Inoltre, attraverso studi con risonanza magnetica funzionale (fMRI), altri ricercatori hanno indicato la corteccia prefrontale come responsabile della reazione “appetibile” o “non appetibile” ai gusti dolci [54].

5.2. Potenziale di indurre dipendenza delle componenti degli alimenti

Se esistesse una classe di beni di consumo in grado di crea esclusivamente dipendenza, sarebbe quella del “fast food”. Ma sono soltanto le calorie o c’è qualcosa di specifico in questi cibi che genera una risposta in grado di creare dipendenza? Il fast food contiene quattro componenti le cui proprietà edoniche sono state esaminate: sale, grassi, caffeina e zucchero [37,42].

5.2.1. Sale

Negli esseri umani, il consumo di sale viene tradizionalmente concepito come una preferenza appresa [55] piuttosto che come una dipendenza. La preferenza per i cibi salati si manifesta precocemente nell’arco della vita. I bambini di età compresa tra i quattro e i sei mesi stabiliscono una preferenza per il sale sulla base del contenuto di sodio del latte materno, dell’acqua utilizzata per preparare il latte artificiale e della dieta [56]. Poiché i cibi pronti ad elevata densità energetica sono relativamente ricchi di sale [57] (in parte perché viene usato come conservante per ridurne il deprezzamento), la preferenza per i cibi salati è associata ad un maggiore apporto calorico. Ad esempio, uno studio condotto su adolescenti coreani ha mostrato una correlazione tra il consumo frequente di cibi pronti e la preferenza nei confronti di versioni più salate di cibi tradizionali [58]. Un altro studio che esaminava 27 soggetti sottoposti ad astinenza da oppiacei (principalmente ossicodone), ha evidenziato aumenti significativi nel consumo di fast food e un incremento di peso in 60 giorni [59], suggerendo un “trasferimento della dipendenza”. D’altra parte, gli studi dimostrano che le persone possono “reimpostare” la loro preferenza verso prodotti meno salati. Ciò è stato dimostrato negli adolescenti privati della pizza salata nel menu del pranzo scolastico e negli adulti ipertesi che sono stati rieducati a consumare una dieta a basso contenuto di sodio per 8-12 settimane [55]. Inoltre, è noto che a bassi livelli, l’assunzione di sale viene ben regolata. Ad esempio, i pazienti con iperplasia surrenalica congenita con perdita di sale da deficit del mineralcorticoide aldosterone hanno una perdita di sale obbligata che modula la loro assunzione di sale [60], fino a quando non vengono somministrate dosi appropriate di fludrocortisone. L’idea che l’assunzione di sodio nell’uomo sia “fisiologicamente fissa” è stata impiegata per criticare i recenti sforzi fatti dalla sanità pubblica per ridurre così drasticamente l’ingestione di sodio [61]. Tuttavia, il governo del Regno Unito si è impegnato nel condurre una campagna di massa per ridurre del 30% il consumo di sale da parte della collettività, ed ha osservato una diminuzione del 40% dell’ipertensione e dell’ictus senza segni di astinenza [62].

5.2.2. Grasso

L’elevato contenuto di grassi nei cibi pronti è fondamentale per le sue proprietà gratificanti. In effetti, potrebbe esistere tra gli esseri umani un “fenotipo ad elevato contenuto di grassi”, caratterizzato da una preferenza verso i cibi ad alto contenuto di grassi e da una debole sazietà in risposta alla loro ingestione, che potrebbe agire come un fattore di rischio per l’obesità [63]. Tuttavia, i cosiddetti “cibi ricchi di grassi” preferiti dalle persone sono quasi sempre ricchi anche di carboidrati (ad esempio patatine, pizza o biscotti). In effetti, tra i soggetti con peso normale, l’aggiunta di zucchero aumentava in modo significativo la preferenza per i cibi ricchi di grassi; tuttavia non si evidenziava un limite alla preferenza con l’aumento del contenuto di grassi [64]. Pertanto, è probabile che la sinergia tra alto contenuto di grassi e di zuccheri sia più efficace nello stimolare l’eccessiva ingestione di cibo che crea dipendenza rispetto ai soli grassi. Comunque, queste proprietà gratificanti del grasso sembrano essere strettamente dipendenti dall’ingestione simultanea di carboidrati, poiché le diete a basso contenuto di carboidrati e ad alto contenuto di grassi (LCHF) [65] e le diete chetogeniche [66] si traducono costantemente in una diminuzione dell’apporto calorico, in una significativa perdita di peso e in una risoluzione della sindrome metabolica. In altre parole, il grasso aumenterebbe il gradimento dei cibi pronti ma, da solo, non sembrerebbe essere capace di creare dipendenza.

5.2.3. Caffeina

La caffeina è un “farmaco modello” della dipendenza negli esseri umani [67], che soddisfa i criteri del DSM-IV e DSM-5 per la tolleranza, l’astinenza fisiologica e la dipendenza psicologica nei bambini [68], negli adolescenti [69] e negli adulti [70]. Durante la sospensione sono stati evidenziati cefalea [70], affaticamento e diminuzione delle prestazioni [68]. Mentre adolescenti e bambini assumono la  caffeina dalle bevande analcoliche e dalla cioccolata calda, gli adulti ricevono la maggior parte della loro dose di caffeina dal caffè e dal tè [71]. Queste bevande hanno una media di 239 calorie e forniscono elevate quantità di zucchero [72]. I produttori di bibite analcoliche identificano la caffeina come aroma nelle loro bevande, ma solamente l’8% dei bevitori frequenti di bevande gassate può cogliere la differenza (durante un confronto in cieco) tra una cola contenente caffeina e una senza caffeina [73]. Pertanto, la funzione più probabile della caffeina nelle bevande gassate è quella di aumentare la salienza di una bevanda già altamente gratificante (ad alto contenuto di zucchero). Queste bevande possono fungere da apri porta per i clienti dipendenti da caffeina, spingendoli ad entrare in un fast food e ad acquistare del cibo preconfezionato [74].

5.2.4. Zucchero

Oltre alla caffeina, il componente con il punteggio più alto nella YFAS è lo zucchero [44]. L’aggiunta di una bevanda analcolica ad un pasto da fast food aumenta il contenuto di zucchero di 10 volte. L’analisi multivariata delle transazioni dei fast food dimostra che solamente il consumo di bevande analcoliche è correlato ai cambiamenti nel BMI; non i prodotti a base di grassi animali [32]. Mentre il consumo di bevande gassate sembrerebbe essere indipendentemente correlato all’obesità e alle patologie coinvolte nella sindrome metabolica [75,76], i mangiatori di fast food consumano chiaramente più bevande analcoliche. Visto il suo effetto analgesico lo zucchero veniva utilizzato al momento della circoncisione nei neonati [77], suggerendo l’esistenza di un legame legame tra zucchero e sistema EOP. In effetti, resoconti aneddotici di persone auto-dichiaratesi dipendenti dal cibo descrivono l’astinenza da zucchero con la sensazione di “irritabilità”, “tremore””, “ansia” e “depressione” [78]; sintomi osservati anche nell’astinenza da oppiacei. Altri studi riportano l’impiego dello zucchero per trattare la dipendenza psicologica [79]. La voglia di zucchero può variare ampiamente in base all’età, al ciclo mestruale e all’ora del giorno [80]. Lo zucchero viene aggiunto al cibo come saccarosio, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio (HFCS), miele, sciroppo d’acero o di agave. In linea generale, si presume che ciascuno sia costituito da metà fruttosio e metà glucosio; anche se questa percentuale è stata recentemente messa in discussione quando un’analisi delle bibite acquistate in un negozio a Los Angeles ha rivelato un contenuto di fruttosio fino al 65% [81]. Questa differenza può essere rilevante, poiché il fruttosio sembrerebbe generare una maggiore risposta di ricompensa ed avere una maggiore tossicità rispetto al glucosio (vedi sotto).

5.3. Correlazioni della dipendenza negli animali esposti al saccarosio

Nei roditori, la somministrazione orale di saccarosio induce in maniera univoca l’attivazione del c-fos nell’area tegmentale ventrale, che implica l’attivazione della via della ricompensa [82]. Inoltre, l’infusione di saccarosio direttamente nel nucleus accumbens riduce i recettori dopaminergici e μ-oppioidi analogamente a quello che  fa la morfina [83], e gli studi fMRI dimostrano la creazione di circuiti programmati per l’astinenza [84]. Inoltre, la somministrazione di saccarosio ai roditori induce alterazioni comportamentali coerenti con la dipendenza; cioè, abbuffate, astinenza, desiderio e sensibilizzazione crociata ad altre droghe d’abuso [85]. In effetti, in uno studio sui ratti spesso citato, il sapore dolce superava la cocaina come ricompensa [86].

5.4. Effetti differenziati di fruttosio vs. glucosio vs. grassi sul cervello umano

Nonostante siano equivalenti dal punto di vista calorico (4.1 kcal/gm), il fruttosio e il glucosio vengono metabolizzati in modo diverso. Il glucosio è l’energia della vita. Il glucosio è così importante che se non lo consumi, il tuo fegato lo ricava da aminoacidi e acidi grassi (gluconeogenesi). Al contrario il fruttosio, pur essendo una fonte di energia, è altrimenti vestigiale; non esiste alcuna reazione biochimica negli eucarioti che lo richieda. La nostra ricerca ha dimostrato che, se fornito in eccesso rispetto alla capacità del fegato di metabolizzarlo attraverso il ciclo dell’acido tricarbossilico, il fruttosio che rimane viene trasformato in grasso epatico, promuovendo l’insulino-resistenza e le malattie non trasmissibili che ne conseguono [87-89]. Dal punto di vista fisiologico, la somministrazione prolungata di fruttosio promuove l’iperinsulinemia e l’ipertrigliceridemia a digiuno [90], che vanno a bloccare la capacità della leptina di attraversare la barriera ematoencefalica [91] ed attenua la capacità della leptina stessa di interrompere il segnale della dopamina mesolimbica nei roditori [92] e nell’uomo [93], promuovendo così tolleranza ed astinenza [94]. Inoltre, il fruttosio non va a sopprimere la grelina, l’ormone della fame prodotto dallo stomaco [95]. Attraverso queste vie, il fruttosio promuove il consumo eccessivo indipendentemente dal fabbisogno energetico [96]. Un confronto tra i due monosaccaridi mostra un aumento del rischio di abbuffate con il fruttosio (analogamente al saccarosio) rispetto al glucosio [97], suggerendo che la molecola di fruttosio è la frazione che genera risposte sia di ricompensa che di dipendenza. Neuroanatomicamente, gli studi sull’fMRI umana mostrano che la somministrazione acuta di glucosio vs. quella di fruttosio esercita effetti su differenti siti cerebrali. Uno studio infondeva per via endovenosa ciascun monosaccaride e misurava il segnale fMRI dipendente dal livello di ossigeno nel sangue (BOLD) nelle aree corticali del cervello; il glucosio incrementava il segnale BOLD nelle aree di controllo esecutivo corticale, mentre il fruttosio sopprimeva il segnale proveniente da quelle stesse aree [98]. Un altro studio ha esaminato il flusso sanguigno cerebrale regionale (rCBF) dopo somministrazione orale di glucosio vs. quella di fruttosio. Con il glucosio, l’rCBF all’interno dell’ipotalamo, del talamo, della corteccia insulare, del cingolo anteriore e del corpo striato (regioni dell’appetito e della ricompensa) si è ridotto, mentre la somministrazione di fruttosio ha ridotto l’rCBF nel talamo, nell’ippocampo, nella corteccia cingolata posteriore, nel giro fusiforme e nella corteccia visiva [99]. Coerentemente con altri studi, l’assunzione di fruttosio ha messo in evidenza mancanza di sazietà o di sensazione di pienezza rispetto al glucosio. Inoltre il glucosio ha fatto aumentare, più del fruttosio, la “connettività funzionale” del nucleo caudato, del putamen, del precuneo e del giro linguale (gangli della base); invece il fruttosio ha fatto aumentare la connettività funzionale dell’amigdala, dell’ippocampo, del paraippocampo, della corteccia orbitofrontale e del giro precentrale (sistema limbico) più del glucosio [100]. Nei giovani obesi, gli effetti del fruttosio somministrato per via orale sull’attivazione della dopamina del nucleus accumbens sono fortemente attenuati, suggerendo una sub-regolazione dei recettori della dopamina [101]. Infine, sono stati valutati gli effetti di grassi e zuccheri sia separatamente che insieme (correzione per calorie) sul segnale fMRI [102]. I frappè ad elevato contenuto di grassi incrementavano l’attività cerebrale nelle aree somatosensoriali caudali ed orali (giro postcentrale, ippocampo, giro frontale inferiore), mentre lo zucchero aumentava l’attività nell’insula e si estendeva nel putamen, nell’opercolo Rolandico e nel talamo (regioni gustative). L’aumento dello zucchero ha causato una maggiore attività in quelle regioni, mentre l’aumento del contenuto di grassi non ha alterato questa attivazione. In altre parole, il grasso aumenta la salienza dello zucchero, ma è lo zucchero che recluta efficacemente i circuiti di ricompensa e gustativi. Per riassumere, lo zucchero aggiunto (e in particolare la frazione rappresentata dal fruttosio) è unico nell’attivare i circuiti di ricompensa, il fruttosio agisce sia direttamente che indirettamente nell’aumentare il consumo, e sia l’obesità che l’esposizione cronica al fruttosio riducono la regolazione dei recettori della dopamina, facendo si che servano stimoli sempre maggiori per indurre un segnale con effetto di ricompensa (tolleranza), una componente primaria della dipendenza.

5.5. La dipendenza “da cibo” è in verità una dipendenza verso un “additivo alimentare”, e lo “zucchero aggiunto” è un additivo alimentare

In passato, il concetto di dipendenza da cibo non veniva sposato dagli psichiatri. Ad esempio, il DSM-IV pubblicato nel 1993 affermava che il “disturbo da uso di sostanze” richiedeva sia la tolleranza che l’astinenza come criteri necessari per la definizione di dipendenza e, ad eccezione della caffeina e dell’alcol, nessun alimento generava astinenza. Tuttavia, con la diffusione delle problematiche di salute pubblica derivanti dalla dipendenza, la definizione si è necessariamente ampliata. Il DSM-5 pubblicato nel 2013 ha riclassificato il campo in modo da includere le “dipendenze comportamentali”, come il gioco d’azzardo (il gioco su Internet è stato incluso in Appendice sotto la voce “ necessita di ulteriori studi”). Pertanto, è stata proposta una serie rivista di criteri relativi alla dipendenza psicologica [103], tra cui:

  1. Brama o forte desiderio di utilizzo
  2. Utilizzo ricorrente con conseguente inadempimento degli obblighi del ruolo principale (lavoro, scuola, casa);
  3. Utilizzo ricorrente in situazioni fisicamente pericolose (ad esempio, alla guida);
  4. Utilizzo nonostante i problemi sociali o interpersonali causati o aggravati dal suo uso;
  5. Assunzione della sostanza o coinvolgimento nel comportamento in quantità maggiori o per un periodo di tempo più lungo del previsto;
  6. Tentativi di smettere o di ridurre;
  7. Tempo trascorso ad utilizzarlo o a riprendersi dall’utilizzo;
  8. Interferenza con le attività della vita;
  9. Utilizzo nonostante le conseguenze negative.

Tuttavia, la dipendenza da cibo non è stata codificata nel DSM-5. Review sistematiche della letteratura dimostrano che gli alimenti ultra-processati hanno il più alto potenziale di creare dipendenza, a causa del loro contenuto di zuccheri aggiunti [104]. Sebbene lo zucchero stesso non abbia i classici criteri del DSM-IV di tolleranza ed astinenza, lo zucchero soddisfa chiaramente i requisiti di tolleranza e dipendenza del DSM-5 (utilizzo nonostante la conoscenza consapevole e il riconoscimento del suo effetto dannoso). Le foglie di coca sono medicinali in Bolivia, ma la cocaina è una droga sottoposta a normative di legge. Anche i papaveri da oppio sono medicinali, ma la morfina è una droga ed anch’essa è sottoposta al controllo della legge. La caffeina si trova nel caffè (medicinale per molti), ma la caffeina concentrata è una droga, quindi è regolamentata. Nei tempi antichi, lo zucchero era una spezia. Durante la rivoluzione industriale è stato un condimento. Ora viene purificato ed è una droga. Lo zucchero raffinato è lo stesso composto che si ritrova nella frutta, ma la fibra è stata rimossa ed è stato cristallizzato per renderlo puro. Questo processo di purificazione ha fatto si che lo zucchero si trasformasse da “cibo” a “droga” [105]. Come questi altri beni di consumo che creano dipendenza, può essere presente in natura a basse dosi e non esercitare effetti tossici; ma quando viene purificato e aggiunto al cibo, crea dipendenza. La droga è un lusso, il cibo è una necessità. NeuroFAST si chiede come possono anche gli alimenti necessari alla sopravvivenza creare dipendenza? Perché certi “cibi” non sono necessari per la sopravvivenza. Delle sostanze edoniche presenti nel cibo, solo l’alcol, la caffeina e lo zucchero creano dipendenza. Ma questi sono additivi alimentari, non cibi. Una certa tipologia di zucchero viene aggiunta al 74% delle scorte alimentari [106], perché l’industria alimentare sa benissimo che, quando lo aggiunge, ne compriamo di più [107]. Ad esempio, l’industria del tabacco ha manipolato i livelli di nicotina nelle sigarette specificamente per far continuare gli utenti a consumarlo e per convertirne il maggior numero possibile in “consumatori assidui” [108]. L’industria alimentare si è impegnata in pratiche simili, che hanno incrementato la percentuale di calorie sotto forma di zuccheri aggiunti (58%) negli alimenti ultra-processati [27]. In effetti, l’attrattiva dello zucchero è una delle principali ragioni per cui l’attuale margine di profitto dell’industria alimentare della trasformazione è del 5% (era l’1%) [109]. La naturale capacità di indurre dipendenza dello zucchero è rivelata anche dai costi che ha. Ad esempio, il caffè non è elastico rispetto al prezzo, ovvero l’aumento del prezzo non ne riduce di molto il consumo. Quando i prezzi sono aumentati nel 2014 a causa della diminuzione dell’offerta, le vendite di Starbuck sono rimaste costanti, a motivo dei suoi effetti edonici [110]. Per quanto riguarda i beni di consumo, le bevande zuccherate sono le seconde più anelastiche rispetto al prezzo, appena al di sotto del fast food [107]. Quando il prezzo è aumentato del 10% (ad esempio, dopo tassazione), il consumo è diminuito solo del 7.6%, soprattutto tra i poveri, come si è visto in Messico [111]. Pertanto, il consumo di zucchero è legato solo in minima parte al suo valore economico o calorico, in linea con le sue proprietà di creare dipendenza.

6. Lo zucchero aggiunto è tossico

La tossicità viene definita come “il grado in cui una sostanza può danneggiare un organismo”. Tali effetti dannosi devono escludere l’equivalenza calorica, altrimenti tutte le calorie sarebbero tossiche, il che chiaramente non è vero. Solo perché una sostanza è una fonte di energia non significa che non sia tossica. Ad esempio, l’alcol possiede un’equivalente calorico (7 kcal/gm), tuttavia noi esseri umani abbiamo un limite superiore del metabolismo epatico e cerebrale, oltre il quale si manifesta una tossicità, in forma acuta (cambiamenti dello stato mentale) o cronica (steatosi epatica che progredisce in cirrosi, resistenza all’insulina). L’alcol non è pericoloso a causa delle calorie che contiene o dei suoi effetti sul peso. L’alcol è pericoloso perché è alcol [112] e la biochimica della molecola nel fegato conferisce la sua tossicità. L’alcol esercita i suoi effetti negativi sul metabolismo epatico attraverso due meccanismi: (1) sovraccarico mitocondriale epatico con deviazione del substrato al processo di de novo lipogenesi (DNL), con conseguente accumulo di grasso a livello epatico e resistenza all’insulina [113] ; e (2) il legame non enzimatico del metabolita intermedio acetaldeide alle proteine del fegato, noto come reazione di Maillard o di “invecchiamento”, con conseguente stress carbonilico (vedere Sezione 6.1.2), denaturazione delle proteine, successiva infiammazione e morte cellulare.

6.1. Effetti nocivi del fruttosio sul metabolismo epatico

Le alterazioni metaboliche associate al consumo di fruttosio, senza parlare del suo equivalente calorico, sono ben documentate da numerosi ricercatori [114,115]. Non esistono reazioni biochimiche che richiedono fruttosio alimentare. Gli stessi due meccanismi molecolari primari dell’alcol delineano la tossicità del fruttosio al di là del suo equivalente calorico [105].

6.1.1. De novo Lipogenesi

Solo il fegato metabolizza il fruttosio per produrre energia e un bolo di fruttosio (ad esempio una bevanda analcolica) assorbito attraverso il rivestimento intestinale trasporta la maggior parte del fruttosio attraverso la vena porta al fegato. Il fruttosio è particolarmente lipogenico, poiché l’intermedio della glicolisi acetil-CoA arriva ai mitocondri epatici in modo non regolamentato, favorendo la DNL epatica, per essere poi esportato come trigliceride (che contribuisce alle comparsa delle malattie cardiache); oppure può andare a saturare la capacità di esportazione dei lipidi del fegato, cosa che porta alla deposizione di lipidi intraepatici e alla steatosi epatica, con conseguente insulino-resistenza del fegato, che è un aspetto importante quando si parla di tutte le malattie non trasmissibili [89]. Le vie metaboliche intermedie sono state chiarite altrove [116].

6.1.2. Stress carbonilico – La reazione di Maillard

Lo stress carbonilico si verifica quando l’aldeide reattiva o il cheto-gruppo di una molecola di carboidrati si lega in modo non enzimatico al gruppo amminico di una proteina, determinando la reazione di Maillard o “di imbrunimento” [117]. Questo è il motivo per cui le banane invecchiano ed è anche il motivo per cui negli esseri umani compaiono le rughe con l’avanzare dell’età. Questo è anche il motivo per cui i pazienti con diabete controllano i valori dell’emoglobina glicata A1c (che è una molecola di carboidrati legata alla posizione 1 della catena globinica), per determinare se il loro diabete è fuori controllo. Ogni volta che si verifica questa reazione, la proteina diventa meno flessibile (portando alla disfunzione cellulare) e viene prodotto un radicale dell’ossigeno che, se non spento da un antiossidante, può portare alla perossidazione delle proteine o dei lipidi, al danno cellulare e alla morte della cellula. A causa dell’unicità della sua stereochimica, la forma ad anello del fruttosio (un furanoso a cinque termini con gruppi idrossimetilici assiali) è sottoposta ad una grande tensione ionica, che favorisce la forma lineare della molecola, esponendo la posizione 2-cheto reattiva che viene coinvolta nella fruttosilazione di ammino-porzioni esposte di proteine tramite la reazione di Maillard, 7 volte più velocemente dell’aldeide in posizione 1 del glucosio quando va a interagire con quelle stesse proteine. Ogni reazione di Maillard genera un radicale dell’ossigeno, che deve essere inattivato da un antiossidante, altrimenti può verificarsi un danno cellulare. Pertanto, a causa della sua composizione chimica, il fruttosio porta ad un aumento del danno cellulare [118] e alla progressione della malattia rispetto al glucosio, cosa che non è correlata al suo equivalente calorico.

6.1.3. Collegare due meccanismi fisiopatologici – Metilgliossale

Recentemente, il nostro gruppo di ricerca UCSF/Touro ha stabilito che il metilgliossale, un intermedio specifico nella via glicolitica, è probabilmente il centro di entrambi questi fenomeni tossici all’interno del fegato [119]. Il metilgliossale è un intermedio metabolico transitorio del processo di glicolisi anaerobica, la cui produzione dipende dalla disponibilità del substrato in eccesso (glucosio o fruttosio) nel fegato; ma, poiché il carico di fruttosio è gestito praticamente al 100% dal fegato, rispetto al solo 20% del glucosio, il fruttosio è considerato il motore principale della sua formazione. Il metilgliossale è un alfa-dicarbonile; è allo stesso tempo un’aldeide reattiva (come il glucosio) e un chetone reattivo (come il fruttosio). Pertanto, viene coinvolto nella reazione di Maillard 35 volte più velocemente del fruttosio e 250 volte più velocemente del glucosio, generando un quantitativo di radicali dell’ossigeno 250 volte maggiore. Il metilgliossale viene detossificato dal D-lattato, che può essere misurato nel sangue e che funge da indicatore della velocità di formazione del metilgliossale. I livelli di D-lattato sono più alti negli adolescenti obesi [120] e le diminuzioni di questi livelli, che si verificano in seguito a restrizioni sull’apporto di fruttosio nei bambini obesi, sono correlate a miglioramenti nella DNL, nel contenuto di grassi epatici e nella sensibilità all’insulina [121]. Questi risultati affermano che il fruttosio è, nel lungo periodo, un’epatotossina dose-dipendente che guida la progressione delle malattie non trasmissibili.

6.2. Dissociazione dello zucchero aggiunto dalle sue calorie e dai suoi effetti sul peso

L’industria alimentare spesso cerca di deviare la conversazione riguardante la salute pubblica verso l’obesità [50,122]. Lo zucchero si posiziona al di sotto delle patatine fritte (a chips o bastoncino) come causa dell’aumento di peso [123]; i dati che mettono in correlazione il consumo di zucchero all’obesità sono deboli, rappresentando solamente il 10% circa dell’effetto osservato [124]. Se lo zucchero è solo una delle tante cause dell’aumento di peso, potrebbe ripetersi il mantra “una caloria è una caloria”. Tuttavia, un nuovo studio dimostra che la correlazione tra il consumo di zuccheri aggiunti e l’obesità della popolazione segue una via leggermente più complessa, tenendo conto del consumo attuale e precedente di zucchero aggiunto [125]. Questo modello prevede abbastanza accuratamente gli effetti dello zucchero aggiunto sull’obesità. Ma, come affermato prima, l’obesità è la misura sbagliata. L’obesità e il diabete non vanno di pari passo; ci sono paesi in cui i tassi di diabete sono alti mentre i tassi di obesità sono bassi, come India, Pakistan e Cina e il loro consumo di zucchero è aumentato del 15% solo negli ultimi 6 anni [126]. Quando si calcolano il peso e le calorie, la correlazione tra il consumo di zucchero e il diabete di tipo 2 appare ancora più forte [12,127]. Ad oggi, l’industria alimentare si rifiuta di avviare una discussione sul ruolo dello zucchero aggiunto nelle malattie metaboliche croniche (esclusa l’obesità). Ci sono molti studi caso-controllo (rivisti in [128,129]) che indicano il consumo alimentare di fruttosio come causa primaria di T2DM, ma tali studi non sono controllati per calorie o peso. Per dimostrare che il fruttosio (e quindi lo zucchero aggiunto) è propriamente tossico, la molecola deve essere dissociata dalle calorie intrinseche e dai suoi effetti sul peso. Inoltre, gli studi trasversali standard o di correlazione senza una componente di analisi del fattore tempo non sono accettabili, poiché non sono in grado di distinguere causalità inversa o intermedia; è come guardare un’istantanea invece che il film. Infine, l’industria alimentare si affretta a sottolineare che la maggior parte degli studi sul fruttosio vengono condotti sui roditori, con dosi elevate somministrate in un breve periodo di tempo. A nostra discolpa va detto che uno studio recente sui ratti mostra che lo zucchero a livelli normali di consumo può causare morbilità e mortalità [130] e che uno studio sui primati mostra effetti dannosi simili [131]. Tuttavia, al fine di dimostrarne la tossicità, questa sezione sarà limitata agli studi sull’uomo che utilizzano quelle dosi di zuccheri aggiunti abitualmente consumate.

6.2.1. Studi prospettici dell’associazione

Tre studi recenti, tutti controllati per calorie e adiposità e con un’analisi temporale, sostengono che lo zucchero si comporti come agente eziologico specifico e diretto nel T2DM. In primo luogo, un’analisi prospettica di coorte dell’European EPIC-Interact Study ha rilevato che il consumo di bevande dolcificate con zucchero (SSB) aumentava il rischio di sviluppare il diabete per un arco di tempo di 10 anni. Il modello multivariato, corretto sia per l’assunzione di energia (EI) che per l’adiposità (BMI), ha dimostrato che ogni SSB consumata aumentava il rapporto di rischio (HR) di 1.29 (IC 95% 1.02, 1.63), escludendo l’assunzione di energia (calorie) o il BMI (obesità) [132]. Negli Stati Uniti attualmente consumiamo l’equivalente di 2.5 porzioni di SSB al giorno; quindi il nostro rapporto HR è di 1.68. In secondo luogo, una meta-analisi di studi ha suddiviso il consumo di bevande gassate (n = 17) e di succo di frutta (n = 13), controllando le calorie e correggendo per l’adiposità [76]. Questa meta-analisi ha mostrato che, nel tempo, sia le bevande gassate che il succo di frutta facevano aumentare significativamente il rischio relativo (RR) per il diabete (1.27 e 1.10, rispettivamente). Inoltre, questo studio ha preso in considerazione nello specifico il fatto che gli studi sponsorizzati dall’industria alimentare presentano spesso bias di pubblicazione e di informazione e che sono tarati per questi bias. Come terza cosa, il nostro gruppo UCSF ha valutato il database degli adolescenti del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) durante tre cicli 2005-2012, per stabilire il consumo di nutrienti e qualsiasi cambiamento della dieta americana all’interno di tale intervallo. Abbiamo quindi suddiviso i soggetti in quintili sulla base del consumo di zuccheri aggiunti e, dopo aver controllato l’apporto calorico e il BMI, abbiamo determinato quali caratteristiche della dieta ci facessero prevedere la diffusione della sindrome metabolica [133]. Abbiamo impostato il rapporto HR per la sindrome metabolica nel 1° quintile (consumo medio di zuccheri aggiunti = 30 g/giorno) a 1.0; entro il 4° quintile (consumo medio di zuccheri aggiunti = 125 g/giorno), il rapporto HR per la sindrome metabolica era salito a 9.7.

6.2.2. Analisi econometriche

Un’analisi econometrica [134] di 156 paesi nel periodo 1995-2014 ha dimostrato che la disponibilità globale di zucchero e di dolcificanti era correlata con la prevalenza del diabete, con i costi sanitari per i diabetici e con i costi sanitari pro capite; ciò ha dimostrato l’esistenza di effetti negativi, sulla singola persona e a livello di collettività, legati al consumo di zuccheri aggiunti. Questa analisi ci ha mostrato anche che questa correlazione si verificava sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Tuttavia, questo studio non teneva conto delle calorie o dell’obesità e non ha potuto tenere conto di altri aspetti della dieta. Il nostro gruppo UCSF/Stanford ha condotto un’analisi econometrica per valutare quali alimenti fossero specificamente implicati nell’alterazione dei tassi di diabete nel tempo [12]. Abbiamo combinato le informazioni di tre database gratuiti; (1) il  Food and Agriculture Organization statistic database (FAOSTAT; una sezione dell’Organizzazione mondiale della sanità), che crea un elenco in base alla disponibilità di cibo per persona per paese, per gli anni 2000-2010 e per voce (calorie totali, frutta escluso il vino, carni, oli, cereali, alimenti contenenti fibre e zucchero/dolcificanti); (2) il database della International Diabetes Federation (IDF) che elenca la prevalenza del diabete per paese per gli anni 2000-2010; e (3) il World Bank World Development Indicator Database per gli anni 2000-2010, nel quale il prodotto interno lordo è espresso in parità di potere d’acquisto dei dollari USA nel 2005 per il confronto tra i paesi per il controllo della povertà. Controlla anche l’urbanizzazione, l’invecchiamento, l’attività fisica e l’obesità. Abbiamo posto la domanda: quale disponibilità di cibo/i pronostica un cambiamento nella prevalenza del diabete paese per paese nel decennio? Abbiamo eseguito questa analisi utilizzando equazioni di stima generalizzate con un approccio conservativo degli effetti fissi (test di Hausman), un modello di rischio per controllare il bias di selezione (test di selezione di Heckman) e gli effetti del periodo controllati per i trend secolari che potrebbero essersi verificati come risultato delle modifiche alla capacità di rilevamento del diabete o alle politiche di importazione. Ancora più importante, abbiamo esaminato i dati longitudinali tra il 2000 e il 2010, che ci hanno permesso di determinare quali cambiamenti dietetici hanno preceduto i cambiamenti nella diffusione del diabete (test di causalità di Granger). Abbiamo dimostrato che i cambiamenti retrospettivi nella disponibilità di zucchero pronosticavano la diffusione del diabete durante il decennio 2000-2010, omettendo le calorie totali, altri alimenti, l’invecchiamento, l’obesità, l’attività fisica o il reddito. Per ogni 150 calorie giornaliere in eccesso, l’incidenza del diabete aumentava dello 0.1%, ma se quelle 150 calorie provenivano da una lattina di bibita gassata, l’incidenza del diabete aumentava di 11 volte, diventando dell’1.1% [12]. Questi dati soddisfano i criteri di Bradford Hill per l’ “inferenza causale in medicina”, perché abbiamo comprovato la dose (più zucchero, più diabete), la durata (esposizione prolungata allo zucchero, più diabete), la direzionalità (nei pochi paesi dove la disponibilità di zucchero è diminuita, hanno registrato una riduzione diabete) e la precedenza (abbiamo notato un ritardo di tre anni tra l’aumento della disponibilità di zucchero e l’aumento della prevalenza del diabete; in uno studio prospettico di modellazione abbiamo evidenziato un ritardo di tre anni tra la riduzione dello zucchero e la diminuzione della prevalenza del diabete [3]). Questa analisi econometrica è stata criticata per due ragioni. In primo luogo è uno “studio ecologico” che, per convenzione, viene considerato gerarchicamente di bassa qualità. Invece questa analisi econometrica è apparsa più rigorosa e di qualità superiore rispetto a tutti gli studi, eccetto quelli randomizzati controllati [135], poiché valuta più punti nel tempo, discerne relazioni complesse tra fattori motivanti interni ed esterni (correzioni nel tempo) e consente la determinazione di causalità (test di causalità di Granger). In secondo luogo, il database FAOSTAT valuta la disponibilità di cibo specifica per paese piuttosto che il consumo, e gli sprechi non vengono presi in considerazione. Semmai valutare la disponibilità è una caratteristica positiva invece che negativa, poiché la disponibilità è più attendibile, facilmente quantificabile, non soggetta ad errori della memoria individuale e indipendente dallo spreco di cibo.

6.2.3. Intervento di sostituzione: amido al posto dello zucchero

Il nostro gruppo di ricerca UCSF/Touro ha documentato gli effetti di una sostituzione isocalorica dello zucchero con l’amido in 43 bambini latino-americani e afroamericani con sindrome metabolica per un periodo di 10 giorni [87-89]. Abbiamo distribuito questionari alimentari e condotto interviste utilizzando software sofisticati per valutare la loro assunzione calorica totale, nonché l’assunzione specifica di macronutrienti e fibre. Il giorno 0, abbiamo valutato la loro salute metabolica basata sulla loro dieta casalinga utilizzando: (1) i livelli al basale dell’analita; (2) test di tolleranza al glucosio orale; e (3) scansione a raggi X della densitometria assiale (DEXA). Quindi, per i successivi 9 giorni, abbiamo fornito loro i pasti, per dare a tutti lo stesso contenuto calorico, lo stesso contenuto di grassi, di proteine e di fibre e la stessa quantità di carboidrati totali; ma abbiamo abbassato la percentuale di calorie dallo zucchero alimentare da una media del 28% al 10% e la percentuale di calorie dal fruttosio dal 12% al 4%. Era consentito consumare la frutta, ma non il succo di frutta. Gli abbiamo dato una bilancia da portare a casa e li abbiamo chiamati ogni giorno. Se il loro peso diminuiva, li facevamo mangiare di più e ricevevano spuntini extra per prevenire la perdita di peso. Quindi li abbiamo nuovamente valutati dopo 10 giorni. Ogni aspetto della loro salute metabolica era migliorato, essenzialmente senza alcun cambiamento di peso. A parità di calorie e senza diminuzione del peso, eliminando soltanto lo zucchero aggiunto e sostituendolo con l’amido, la pressione sanguigna era diminuita di 5 mmHg, i trigliceridi di 33 mg/dL, le lipoproteine a bassa densità (LDL) di 10 mg/dL, i livelli di glucosio si erano abbassati di 5 mg/dL, l’area sotto la curva del glucosio era diminuita dell’8%, l’insulina a digiuno di10 mU/L, l’area sotto la curva dell’insulina era scesa del 25%. Inoltre, il grasso sottocutaneo non era cambiato (poiché non c’è stata una perdita di peso), ma il grasso viscerale si è ridotto del 7% e, soprattutto, il grasso del fegato è diminuito del 22%. Abbiamo  dimostrato che anche la dinamica dell’insulina era migliorata notevolmente, invertendo così la loro predisposizione al T2DM. Presi unitamente agli studi summenzionati [12,136,137], i postulati di Koch per la causalità delle malattie non trasmissibili dovute allo zucchero aggiunto sono soddisfatti. Per il fegato lo zucchero si comporta come una tossina con andamento cronico e dose-dipendente (non correlata alle calorie o all’obesità) e molto simile all’alcol, dato che il fruttosio e l’alcol esercitano effetti simili sul fegato e sul cervello [112].

7. Lo zucchero aggiunto è ubiquitario

Lo zucchero è diventato onnipresente nella dieta occidentale, passando da 15 g/giorno all’inizio del 20° secolo ai 94 g/giorno all’inizio del 21° secolo [138,139]. Negli Stati Uniti il 56% della dieta è rappresentato da cibo ultra processato, il 62% dello zucchero nella dieta americana rientra in questa categoria [28] e una qualche forma di zucchero è stata aggiunta al 74% dei prodotti presenti nei negozi di alimenti americani [106], questo perché l’industria alimentare sa che quando lo zucchero viene aggiunto, compriamo di più. Allo stesso modo, nel periodo 1960-2010 il consumo mondiale di zucchero è triplicato mentre, sempre nello stesso periodo, la popolazione mondiale è raddoppiata [140], sottolineando il fatto che la maggior parte della popolazione mondiale ha sperimentato un aumento significativo del consumo di zucchero aggiunto nei 50 anni in cui le malattie non trasmissibili hanno acquisito  importanza [140]. Ad esempio, i cambiamenti nel consumo di Coca-Cola nell’intervallo 1993-2006 erano correlati ai cambiamenti nella comparsa del diabete sia in Cina che in Messico. Durante questo arco di tempo, l’indice dei prezzi al consumo per le bevande zuccherate è aumentato del 50% rispetto al cibo e del 25% rispetto a frutta e verdura [141]. Nel 1975 l’introduzione dello sciroppo di mais ad elevato contenuto di fruttosio ha fatto diminuire il prezzo dello zucchero del 50%, il che ha permesso di aumentare le dimensioni della porzione e di aggiungere zucchero anche negli alimenti che in precedenza non lo contenevano. Ad esempio, il 50% delle vendite di latte nelle scuole elementari e medie riguarda il latte aromatizzato (cioccolato, fragola). Inoltre, nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, le bevande gassate costano meno dell’acqua, cosa che ha fatto crescere il consumo di zuccheri aggiunti in tutto il mondo. Gli alimenti trasformati e le bevande zuccherate vengono diffusamente commercializzati in quanto estremamente redditizi; nel 2006, i venditori di prodotti alimentari hanno speso 1.05 miliardi di dollari in marketing per bambini e adolescenti; metà dei quali erano per la promozione delle bevande zuccherate [142]. Le tecniche di marketing delle aziende produttrici di tabacco e di alimenti sono molto simili [143]. Big Tobacco in passato, e Big Food oggi, hanno utilizzato il “discorso commerciale” stabilito dal Primo Emendamento per assicurarsi il favore del pubblico attraverso pubblicità e sponsorizzazioni. Ad esempio, entrambi in passato si sono impegnati in vigorose campagne pubblicitarie per reclutare nuovi utenti che sono state interrotte soltanto dall’azione dell’agenzia di regolamentazione [144,145]. Per decenni Big Tobacco è stato lo sponsor di vari eventi pubblici in tutto il mondo, come le Olimpiadi, le partite di baseball e di calcio e di altri eventi sportivi. Le industrie che producono fast food e bevande adottano pratiche di marketing simili, sponsorizzando eventi globali in tutto il mondo. Big Tobacco ha spudoratamente commercializzato i propri prodotti ai bambini (vedi, Joe Camel) e le industrie che producono cibi e bevande ne hanno seguito l’esempio (vedi Ronald McDonald). Entrambi hanno utilizzato pratiche commerciali ingannevoli per garantire un maggiore utilizzo del loro prodotto tra i “grandi consumatori” [146,147].

8. Lo zucchero aggiunto possiede effetti collaterali

Le sostanze che danneggiano la collettività hanno un impatto anche su coloro che non le utilizzano. Il fumo passivo e la guida in stato di ebbrezza ci hanno dato forti spunti di riflessione per quanto riguarda il controllo del tabagismo e dell’alcolismo. I dati elencati sopra dimostrano che nel lungo periodo i costi sanitari, umani ed economici, delle malattie non trasmissibili collocano il consumo eccessivo e prolungato di fruttosio nella stessa categoria [148]. Le sole bevande zuccherate uccidono 184.000 persone all’anno nel mondo [149]. Gli Stati Uniti sprecano 65 miliardi di dollari in produttività lavorativa e 150 miliardi di dollari in risorse sanitarie, e stanno sperimentando  un aumento del 50% dell’assenteismo e dei premi per l’assicurazione sanitaria, tutto per curare le comorbilità della sindrome metabolica [150]. Attualmente, il 75% di tutti i dollari dell’assistenza sanitaria viene speso per il trattamento di queste patologie o delle disabilità che ne conseguono. L’aumento dei tassi globali delle malattie non trasmissibili produce una mortalità annuale di 35 milioni di persone, con  l’80% di questi decessi che si verificano nei paesi a basso e medio reddito, con uno spreco di preziose risorse mediche [151]. Per concludere, gli ultimi tre Surgeons General and the Chairman of the Joint Chiefs of Staff hanno dichiarato l’obesità una “minaccia per la sicurezza nazionale”. Il rapporto originale del Pentagono del 2012 è stato aggiornato nel 2018 ed il 33% delle reclute è, ad oggi, considerato “ancora troppo grasso per combattere” [152]. Anche tra quelli reclutati, il 43% non può essere impiegato sul campo a causa della carie dentale di stadio 3 dovuta al consumo di zucchero [153]. La diminuzione dello zucchero a livello di popolazione impedirebbe la morte prematura, aiuterebbe a risparmiare miliardi e migliorerebbe la qualità della vita di milioni di persone in tutto il mondo. Il nostro gruppo UCSF ha impiegato modelli di Markov (utilizzando la steatosi epatica come malattia sentinella) per dimostrare che la riduzione del consumo di zuccheri aggiunti di appena il 20% potrebbe ridurre l’obesità, il diabete di tipo 2, le malattie cardiache, i tassi di mortalità e le spese mediche entro tre anni negli Stati Uniti, risparmiando 10 miliardi di dollari all’anno, mentre una riduzione del 50% (ad esempio, aderendo alle linee guida del U.S Department of Agriculture (USDA)) potrebbe far risparmiare  31.8 miliardi di dollari all’anno [3]. Dal punto di vista della produttività, Morgan Stanley ha modellato i tassi di crescita economica globale per il periodo dal 2015 al 2035 facendo simulazioni “a basso contenuto di zucchero” e “ad elevato contenuto di zucchero” [154], ed ha mostrato che utilizzando il caso “a basso contenuto di zucchero”, la crescita economica si sarebbe mantenuta al 2.9%, mentre nel caso “ad elevato contenuto di zucchero” (ad esempio, la situazione attuale), la crescita economica diminuirebbe lentamente fino allo 0.0%. Pertanto, gli effetti collaterali del consumo di zucchero aggiunto sono diretti e riguardano su tutta la popolazione.

9. Contestazioni all’industria alimentare

9.1. Responsabilità personale

L’educazione dell’opinione pubblica attraverso l’enfatizzazione della “responsabilità personale” negli ultimi 30 anni non è stata efficace nell’arginare il dilagare dell’obesità e della sindrome metabolica. Ciò non dovrebbe sorprendere, poiché gli sforzi educativi non hanno avuto successo nel ridurre il consumo di altre sostanze  di cui si abusa [9,155]. A ciò va aggiunto il fatto che il 74% degli alimenti in commercio è arricchito con zuccheri aggiunti dall’industria alimentare [106]; quindi è praticamente impossibile per la maggior parte delle persone disintossicarsi dallo zucchero dando un taglio netto al suo consumo per ridurne tossicità e dipendenza. Ciò è particolarmente vero per gli individui più poveri, che hanno un accesso limitato al cibo sano e spesso i loro acquisti si limitano ai cibi trasformati ad alto contenuto di zucchero nell’ambito del Supplemental Nutrition Assistence Programm (noto anche come sistema dei Buoni pasto). L’apparente ragione per cui l’industria alimentare ha aggiunto sempre più zucchero agli alimenti trasformati è per incrementarne l’ “appetibilità”. In effetti, quando lo fanno noi compriamo di più, cosa che va a rafforzare ulteriormente tale pratica e ad aumentare i profitti delle aziende. Gli sforzi fatti per attenuare gli effetti negativi del “cibo spazzatura” sulla salute da parte dell’ex CEO di Pepsi Indra Nooyi introducendo una categoria “buono per te” (per controbilanciare la loro categoria “divertente per te”) non hanno incontrato il favore del suo stesso Consiglio di Amministrazione, a causa di una riduzione dei profitti di 349 milioni di dollari [156]. La strategia che si basava sulla “responsabilità personale” è stata adottata per la prima volta dalle compagnie del tabacco nel 1962 come motivazione per continuare a fumare [157]. Questa ideologia richiede quattro prerequisiti:

9.1.1. Conoscenza

L’etichetta informativa non è facilmente comprensibile dal consumatore abituale che acquista prodotti alimentari al supermercato. Molti si fideranno ed acquisteranno un prodotto per come viene promosso, piuttosto che per il suo valore nutrizionale. Fino a poco tempo fa l’U.S. Institute of Medicine, e negli ultimi 15 anni il Regno Unito e il resto dell’Europa, affermavano che le quantità giornaliere riportate sulle etichette, che indicavano un consumo fino ad un massimo di 22 cucchiaini di zucchero al giorno, erano salutari [158].

9.1.2. Disponibilità

Oltre il 70% degli alimenti che si comprano al supermercato contiene zuccheri aggiunti: è diventato quasi inevitabile. I cibi trasformati e le bevande zuccherate  hanno invaso i luoghi di lavoro, le palestre e le scuole. Diversi ospedali americani (tra cui l’UCSF) e il British National Health Service (NHS) hanno istituito il divieto di vendere le bevande zuccherate al loro interno, al fine di fornire un modello per la collettività. Il nostro gruppo UCSF ha documentato i benefici per la salute metabolica del divieto delle bevande zuccherate nel posto di lavoro [159].

9.1.3. Convenienza economica

Ciascun individuo dovrebbe essere in grado di poter permettersi di pagare la propria scelta, e questo vale anche a livello di collettività. Nel 2002 il cibo sano era due volte più costoso del cibo trasformato e il suo costo è salito dell’equivalente di 0.22 USD all’anno nei seguenti 10 anni, rispetto al cibo trasformato, che invece è aumentato dell’equivalente di 0.09 USD all’anno [160].

9.1.4.  Non ci deve essere anarchia

I costi sanitari delle malattie metaboliche croniche dovute al consumo di zucchero causeranno un raddoppio dei costi di Medicare nel prossimo decennio [161], mandando in bancarotta i sistemi sanitari di tutto il mondo [162,163], e il NHS sarà sempre di più sotto pressione, con conseguenti tempi di attesa più lunghi [164]. Il ragionamento secondo il quale le tue azioni non possono danneggiare nessun altro ignora i danni legati alla tipologia di dieta sui bambini, che sono particolarmente vulnerabili ad una dieta povera specialmente nelle fasi critiche del loro sviluppo. Gli americani consumano attualmente una media di 19.5 cucchiaini/giorno di zucchero aggiunto. L’American Heart Association ha raccomandato una diminuzione del consumo di zuccheri aggiunti a 6 cucchiaini/giorno per le donne e a 9 cucchiaini/giorno per gli uomini, passando dai 2/3 ai 3/4 della quantità. Di questi 22 cucchiaini, 1/3 può essere ritrovato nelle bevande e 1/6 nei dessert. Ciò significa che metà dello zucchero aggiunto presente nella nostra dieta deriva da cibi che non sapevamo contenessero zucchero, come i condimenti per l’insalata, il pane, la salsa di pomodoro, il ketchup e molti altri alimenti comuni. Pertanto, anche se eliminassimo tutte le bevande analcoliche e i dessert dalla nostra dieta, sorpasseremmo comunque  il nostro “limite di zucchero”, che è stato fissato così in alto dall’industria alimentare. Pertanto, non ci si può aspettare che la sola “responsabilità personale” conferisca qualche beneficio. Infatti, il nostro approvvigionamento alimentare è stato “adulterato” dall’aggiunta di zuccheri da parte dell’industria alimentare. Inoltre, esistono 262 nomi per lo zucchero, la maggior parte dei quali sono sconosciuti alla popolazione in generale [165]. Poiché il Nutrition Labelling and Education Act del 1990 [166] richiede di elencare gli ingredienti degli alimenti in base al peso, l’industria alimentare può nascondere lo zucchero aggiunto utilizzando varie tipologie di zucchero e spostando così ogni forma più in basso nell’etichetta, in modo tale che il consumatore non si accorga che il cibo che sta acquistando è pieno di zuccheri aggiunti [167]. Inoltre, mentre ogni patologia che va a costituire la sindrome metabolica può essere trattata, non esiste ancora un “rimedio” farmacologico per la sindrome metabolica stessa. Nel 1537 Paracelso disse: “ è la dose che fa il veleno”. Lo zucchero aggiunto ha un limite massimo di 25-37.5 g/giorno per gli adulti e di 12 g/giorno per i bambini; e siamo stati spinti oltre il nostro limite dall’industria alimentare. La riduzione dello zucchero aggiunto dalla dieta americana deve diventare la massima priorità per invertire l’incidenza e la gravità delle malattie non trasmissibili. Le strategie di prevenzione devono essere messe in atto tramite interventi di salute pubblica utili a modificare il mercato alimentare. Ma come? Il cibo è una scelta personale, la maggior parte considera lo zucchero solo come semplici calorie e se le persone volessero consumare le calorie a loro disposizione sotto forma di zucchero, perché non dovrebbero essere autorizzate a farlo? Anche il tabacco e l’alcol sono considerate due minacce significative per la società a causa del loro abuso, della tossicità, dell’ubiquità e degli effetti collaterali (impatto negativo sulla società) [155,168] però sono regolamentati dalla legge[169].

9.2. Lo zucchero aggiunto può essere considerato “cibo”?

L’industria alimentare metterà in discussione qualsiasi argomentazione a favore della regolamentazione dello zucchero aggiunto partendo da due punti di discussione. In primo luogo, faranno notare che lo zucchero è un componente primario della frutta e che la frutta ha dimostrato di essere preventiva nei confronti delle malattie non trasmissibili [170]. Al contrario, è stato dimostrato che il succo di frutta è correlato alla comparsa di queste stesse malattie [76,171]. Il motivo è che la fibra impedisce l’assorbimento intestinale, riducendo così il quantitativo di zucchero nella frutta intera a carico del sistema [172]. In secondo luogo, l’industria sostiene che lo zucchero alimentare è presente nell’elenco Generally Recognized as Safe (GRAS) della FDA, cosa che concede a tale industria la licenza di utilizzare qualsiasi quantità di zucchero in tutti gli alimenti che desidera. Il fruttosio è stato inserito nella prima lista GRAS nel 1958, poiché era “naturale” ed era stato usato per generazioni senza evidenti effetti negativi, sebbene già nel XVII secolo lo zucchero venisse associato alla gotta [173], e nel 1967 era noto che aumentasse i livelli sierici di acido urico (il meccanismo della gotta) [174]. Va detto che l’inserimento nell’elenco GRAS prima del 1° gennaio 1958 avveniva tramite procedura scientifica o tramite esperienze basate sul comune impiego negli alimenti (che richiede una notevole storia di consumo a scopo alimentare da parte di un numero significativo di consumatori) e si pensava che la sostanza non potesse essere nociva nelle condizioni d’uso previste (Food, Drugs, and Cosmetics Act (FDCA) 321 (s), 21 CFR 170.30 (c), 170.3 (f)). Tuttavia, nel 1958 il nostro consumo di zucchero aggiunto era in media di 2 once al giorno, mentre attualmente è in media di 6.5 once al giorno. Pertanto, le definizioni del GRAS del 1958 non valgono per l’offerta alimentare di oggi. Le problematiche del GRAS sono state evidenziate anche per i grassi trans e il sale; entrambi utilizzati dall’industria di trasformazione degli alimenti, entrambi valutati come dannosi a dosi superiori a quelle ritenute sicure, attualmente sotto esame da parte della FDA ma ancora non rimossi dall’elenco GRAS. I grassi trans erano considerati “cibo”, ma ricerche condotte successivamente hanno dimostrato che sono causa di malattie cardiache e di altre malattie metaboliche. I nitrati erano definiti “cibo”, ma la ricerca ha dimostrato che causano il cancro al colon. Entrambi sono stati infine rimossi dall’elenco GRAS e ora vengono regolamentati come additivi alimentari. L’alcol è sempre stato un additivo alimentare e un dosaggio della caffeina superiore allo 0.02% (nelle bevande a base di cola) è regolamentato in maniera analoga. La domanda è: è legale qualificare lo zucchero aggiunto come cibo? Dipende da come si definisce la parola “cibo”. Il Food, Drug, and Cosmetics Act (FDCA, 1938) 321.201 (f) definisce il termine “cibo” come: (1) prodotti impiegati come alimento o bevanda per l’uomo o altri animali, (2) gomme da masticare e (3) prodotti utilizzati come componenti di tali prodotti. La prima regola del vocabolario è che non ti è permesso usare la parola nella definizione. Il dizionario Merriam-Webster definisce il “cibo” come: un materiale costituito essenzialmente da proteine, carboidrati e grassi utilizzati nel corpo di un organismo per sostenere la crescita, la riparazione e i processi vitali e per fornire energia. Il fruttosio fornisce energia, quindi questo dovrebbe renderlo un alimento. Invece? L’alcol fornisce energia (7 kcal/gm), ma chiaramente non viene considerato un alimento. Non esiste reazione biochimica in nessun eucariota che lo richieda. Se consumato per lungo tempo e a dosi elevate, l’alcol è tossico, cosa che non è correlata al suo contenuto calorico o agli effetti sul peso. Non tutti quelli che sono esposti diventano dipendenti, ma succede abbastanza spesso da giustificare un intervento di sanità pubblica [175]. Chiaramente, l’alcol NON è un alimento ma un additivo alimentare. Analogamente, anche lo zucchero aggiunto è un additivo alimentare: come l’alcol non è essenziale per la vita, è tossico a dosaggi elevati assunti per lungo tempo e una buona percentuale della popolazione risulta esserne dipendente. In effetti, la petizione per la rimozione del fruttosio dall’elenco GRAS è attualmente al vaglio di organizzazioni non governative (ONG) che si occupano di salute pubblica.

10. Possibili interventi sociali

Negli ultimi 30 anni, ci sono stati quattro cambiamenti culturali globali nel comportamento allo scopo di migliorare quattro problematiche di salute pubblica: (a) fumare nei luoghi pubblici; b) guida in stato di ebbrezza; c) caschi per andare in bicicletta e cinture di sicurezza; (d) preservativi nei bagni pubblici. In ogni caso, l’educazione dell’opinione pubblica era necessaria ma non sufficiente e doveva essere adottata anche una qualche forma di normativa politica per assicurare l’osservanza. Ci sono molte lezioni provenienti dalle politiche di controllo sul consumo di alcol e di tabacco che potrebbero essere applicate allo zucchero e agli alimenti ultra-processati.

10.1. Educazione dell’opinione pubblica

Una delle cose più importanti che abbiamo imparato dalla ricerca sulle politiche di controllo del tabacco e dell’alcol è che l’educazione dell’opinione pubblica, nonostante sia la componente più popolare e necessaria della prevenzione, da sola non basta [168,176]. Le prove raccolte negli Stati Uniti suggeriscono che le etichette governative, che avvertono i consumatori degli effetti sulla salute del bere eccessivo, non hanno alcun effetto sul consumo di alcol, ma potrebbero aver avuto qualche limitato effetto sui modelli di consumo più rischiosi, come la guida in stato di ebbrezza [177]. Gli approcci più popolari – educazione sanitaria scolastica, campagne di informazione pubblica, etichettatura dei prodotti e linee guida governative – non funzionano da soli [178,179]. Va sottolineato che l’educazione da sola non ha risolto alcuna dipendenza da sostanza. Pero l’educazione prepara il terreno, in maniera tale che gli interventi di politica sociale possano diventare accettabili e prendere piede tra la popolazione. Dobbiamo esaminare cosa è che funziona nel ridurre il consumo di sostanze che creano dipendenza. La ricerca sulla normativa in materia di consumo di alcol dimostra che i controlli di legge sul prezzo, sul marketing e sulla distribuzione di alcol sono stati molto efficaci in tutto il mondo nel ridurre gli effetti negativi legati al suo consumo [10,168,176]. Questa strategia è risultata efficace anche per il tabacco [180]. Esistono tre modi per ridurre la disponibilità: strategia dei prezzi (ad esempio, tassazione), limitazione della disponibilità (ad esempio, blue law) ed interdizione (ad esempio, divieto). Nessuno pensa che l’interdizione sia una buona idea: il divieto di consumo di alcol è stato tentato, ma non ha avuto grande successo.

10.2. Strategia dei prezzi – Tassazione

La società accetta la tassazione perché le tasse colpiscono soltanto chi utilizza quei prodotti. Mentre il tabacco e l’alcol rappresentano oneri significativi per la società, lo zucchero è di gran lunga l’onere più costoso. La domanda è: qual è il vero obiettivo? Fare soldi per lo Stato o ridurre i consumi? Perché se riduci i consumi, limiti la produzione di ricavi. Perché una tassa su una sostanza edonica funzioni, deve colpire duro. La maggior parte delle tassazioni sulle bevande gassate sono al 10%, ma un gruppo di Oxford ha realizzato un modello secondo il quale la tassazione su tali bevande dovrebbe essere almeno del 20% per ridurne il consumo generale [181]. La buona notizia è che, a causa dell’emergere degli studi sullo zucchero e dell’incapacità del modello educativo di fermare la pandemia di diabete, sei città americane e 28 paesi nel mondo hanno deciso di emanare tasse sullo zucchero ed altri stanno prendendo in considerazione una qualche forma di legislazione [182].

10.3. Strategia dei prezzi – Sussidi

I sussidi all’agricoltura ed altre tipologie di sostegno economico sono dei pagamenti forniti dal governo federale degli Stati Uniti ad alcuni agricoltori ed aziende agricole. Sono un residuo dell’originale Farm Bill del 1933, quando era necessario fornire cibo a buon mercato alla popolazione indigente di tutto il paese. Negli Stati Uniti, attualmente sette Stati ricevono il 45% dei sussidi: Texas 9.6%; Iowa 8,4%; Illinois 6.9%; Minnesota 5.8%; Nebraska 5.7%; Kansas 5.5%; e North Dakota 5.3% [183]; e questi sono gli Stati maggiori produttori di mais, soia, grano e riso – le basi per la produzione di alimenti ultra-processati. Non esiste economista al mondo che riponga la sua fiducia nei sussidi alimentari, perché distorcono il mercato. Garantiscono la messa a disposizione delle cose sbagliate mentre rendono più difficile riuscire a permettersi le cose giuste. Finché le materie prime saranno economiche, il cibo vero rimarrà fuori dalla portata di gran parte della popolazione. Cosa accadrebbe se le sovvenzioni finissero? Il gruppo Giannini dell’UC Berkeley ha creato un modello di quanto dovrebbe costare effettivamente il cibo; e gli unici due elementi che andrebbere ad aumentare di prezzo sono lo zucchero e il mais [184], che è proprio quello che vorremmo che accadesse. Non sorprende il fatto che queste siano due delle principali industrie che lottano per mantenere lo status quo delle cose. Le persone continueranno ad affermare che il prezzo complessivo del cibo aumenterà. Beh, forse dovrebbe; gli Stati Uniti investono una percentuale minima del GDP sul cibo di tutte le nazioni al 7%,  questo perché tutto il cibo è basato su colture di materie prime e trasformato. Le prossime due sono il Regno Unito al 9% e l’Australia all’11%, le tre nazioni più grasse [185].

10.4. Limitazioni della disponibilità – Divieto sul luogo di lavoro

Il luogo di lavoro rappresenta un momento e un luogo educativo. All’UCSF, tutte le vendite di bevande zuccherate – bibite gassate e caffè aromatizzato – sono state vietate  nelle mense, svanite dai vassoi dei pasti dei pazienti e sparite dai menù di tutti i venditori che portavano cibo nel campus. Abbiamo studiato un sottogruppo di 214 dipendenti che bevevano regolarmente bevande zuccherate prima e dopo un anno dall’entrata in vigore del divieto [159]. Hanno riportato un’assunzione giornaliera di 35 once al basale e di 18 once al follow-up – una diminuzione di 17 once, un taglio di quasi la metà. Inoltre, la loro circonferenza della vita si era ridotta di 2.1 cm. La diminuzione del consumo di bevande zuccherate viene correlata a miglioramenti nella circonferenza della vita, della sensibilità all’insulina e alla diminuzione dei lipidi nel sangue. Alcuni datori di lavoro potrebbero trovarsi a dover fronteggiare alcune sfide nel momento in cui dovessero andare a promuovere una certa linea di pensiero se nel posto di lavoro i divieti di vendita di SSB vengono percepiti come paternalistici. Tuttavia, questo dimostra che la Legge Ferrea (Iron Law) funziona davvero.

10.5. Limitazioni della disponibilità – Sussidi

Il Regno Unito fornisce alle persone un sussidio mensile, che può essere scambiato solamente con cibo vero [186]. Ciò consente ad ogni persona di utilizzare i propri sussidi per dare un voto sulla politica alimentare locale e, così facendo, di promuovere gli agricoltori locali e le pratiche biologiche.

10.6. Strategie combinate – agevolazione differenziata

L’agevolazione differenziata combina l’approccio “carota e bastone” – la persuasione viene raggiunta attraverso la punizione [187]. Il sussidio differenziale è stato impiegato nel 1977 nei paesi nordici, tra cui Svezia, Danimarca e Norvegia, per frenare il crescente numero di alcolisti nei rispettivi paesi. I tre paesi hanno adottato collettivamente due atti legislativi: per prima cosa, hanno nazionalizzato i negozi di liquori con il risultato che gli stessi prodotti venivano venduti allo stesso importo ovunque; come seconda cosa, tassavano gli alcolici ad elevata gradazione e poi usavano i soldi riscossi da questa tassazione per sovvenzionare la birra a bassa gradazione alcolica. In tal modo, sono stati in grado di allontanare la collettività dagli alcolici a più alta gradazione e di indirizzarli verso la scelta di una birra a bassa gradazione, riducendo così il consumo di alcol. Durante questo processo, sono diminuiti i ricoveri, gli incidenti automobilistici, la cirrosi epatica ed è migliorata la produttività economica [188]. Questo meccanismo potrebbe essere facilmente impiegato anche per ridurre il consumo di bevande zuccherate – tassare la bevanda e utilizzare le entrate generate dalla tassazione per sovvenzionare il consumo di acqua. Ai produttori di bevande non importerebbe, perché vendono anche l’acqua. È solo uno scambio diretto, che spinge le persone verso un’opzione più sana con uno schema a somma zero. In tal modo, puoi “incoraggiare” le persone a fare la cosa giusta senza che si lamentino, anzi la maggior parte delle volte non si accorgeranno nemmeno di essere state indirizzate.

11. Conclusioni

Quando si tratta di salute pubblica, l’azione personale (leggi: riabilitazione) deve essere bilanciata con l’azione politica (leggi: normativa). Per il tabacco, l’alcol, gli oppioidi, il colera, l’HIV, il piombo, l’inquinamento e le malattie veneree, l’invocare la “responsabilità personale” e l’inveire contro lo “stato bambinaia” non ha avuto successo, ed alla fine entrambe le forme di intervento sono apparse necessarie. Per lo zucchero aggiunto e le malattie non trasmissibili, al momento non abbiamo nulla che ci possa aiutare. L’argomentazione a favore di un intervento sociale nel controllo delle malattie non trasmissibili è carente, perché l’industria alimentare ha convinto l’opinione pubblica che “una caloria è una caloria”, che gli zuccheri sono solo “calorie vuote” e che l’unica soluzione è la “responsabilità personale”. Sebbene sia necessario sforzarsi di educare l’opinione pubblica per metterla in guardia sui rischi di un consumo prolungato ed eccessivo di zucchero, ciò non basterà, come tra l’altro si è visto per qualsiasi altra sostanza edonica.  Lo zucchero aggiunto, come il tabacco, l’alcol, la cocaina e gli oppioidi, soddisfa quei criteri stabiliti dalla sanità pubblica che possono far scattare l’intervento sociale, ovvero la realizzazione di una normativa. La tabella di marcia per mettere a punto un intervento di successo è complessa, ma abbiamo a nostra disposizione dei modelli che si basano su come sono state applicate le normative sul tabacco e sull’alcol. Come per il tabacco e l’alcol, è in vigore la Iron Law of Public Health, che afferma che la diminuzione della disponibilità si traduce in una riduzione del consumo, che a sua volta si traduce in una diminuzione dei danni per la salute [10]. Le leggi che hanno come target la disponibilità, i costi o l’accettazione (ad esempio, la tassa sullo zucchero del Messico) risultano essere efficaci nel ridurre il consumo di zucchero [111]. Ma in modo analogo a quanto accaduto con l’industria del tabacco (ad esempio, Merchants of Doubt), l’industria dello zucchero, i suoi partner legislativi e i loro alleati politici hanno utilizzato numerosi strumenti per deviare le colpe e far fallire le modifiche della legge. Alcuni tirano in ballo il condizionamento da parte della scienza, altri il condizionamento da parte dell’opinione pubblica ed altri ancora l’influenza diretta dei legislatori [189]. Queste attività devono essere comprese e contrastate prima di poter proporre misure di legge specifiche e significative. In questo articolo, ho fornito le prove del fatto che: (1) lo zucchero crea dipendenza ed è tossico, indipendentemente dal suo contenuto calorico; (2) la riduzione dello zucchero apporta benefici alla salute del singolo e della collettività; (3) lo zucchero aggiunto e, di conseguenza, il cibo ultra-processato soddisfano quei criteri che possono  portare alla realizzazione di una normativa; (4) la riduzione dello zucchero non è soltanto possibile, ma è necessaria per salvaguardare la salute degli individui e il sistema di assistenza sanitaria, e (5) le azioni sociali volte a ridurre il consumo di alimenti trasformati contenenti zuccheri aggiunti sono realizzabili e necessarie. Tali interventi (amministrativi, legislativi, giudiziari) saranno probabilmente geograficamente, politicamente e culturalmente specifici, ed alcuni interventi politici potranno non funzionare in determinate situazioni.

Nutrients 2020, 12, 3401; doi:10.3390/nu12113401

www.mdpi.com/journal/nutrients 

Robert H. Lustig1, 2, 3

1 Department of Pediatrics, University of California, San Francisco, CA 94143, USA; Robert.Lustig@ucsf.edu

2 Institute for Health Policy Studies, University of California, San Francisco, CA 94143, USA

3 Department of Research, Touro University-California, Vallejo, CA 94592, USA

Contributi degli Autori: Unitamente alle consultazioni informali con i soggetti sopra menzionati, R.H.L. ha effettuato le ricerche, progettato e redatto il testo ed è anche l’autore di questo articolo. Tutti gli autori hanno letto ed accettato la versione pubblicata del manoscritto.

Finanziamento: questa ricerca non ha ricevuto finanziamenti esterni.

Ringraziamenti: Desidero ringraziare i membri del team di ricerca dell’UCSF/Touro University, in particolare Alejandro Gugliucci, Jean-Marc Schwarz, Kathy Mulligan, Sue Noworolski, Grace Jones e Ayca Erkin-Cakmak. Devo ringraziare i miei colleghi politici dell’UCSF, Laura Schmidt, Claire Brindis ed Elissa Epel. Infine, ringrazio i miei colleghi avvocati, David Faigman e Marsha Cohen dell’UC Hastings College of the Law, e Michael Roberts e Diana Winters dell’UCLA Resnick Center for Food Policy and Obesity, che sono stati determinanti nell’analisi politica.

Conflitto d’interessi: Lustig non ha mai accettato denaro dall’industria alimentare e non ha divulgato informazioni in merito a questo articolo. Tuttavia, il dottor Lustig è autore di cinque libri popolari per la salute pubblica: Fat Chance: Beating the Odds Against Sugar, Processed Food, Obesity, and Disease (2013); Sugar Has 56 Names: a Shopper’s Guide (2013); The Fat Chance Cookbook (2014); The Hacking of the American Mind: The Science Behind the Corporate Takeover of our Bodies and Brains (2017); e Metabolical – the Lure and the Lies of Processed Food, Nutrition, and Modern Medicine (2021). È Chief Science Officer dell’organizzazione no profit Eat REAL (USA) e consulente dell’organizzazione no profit Action on Sugar (Regno Unito) e del Center for Humane Technology (Stati Uniti). È anche Chief Medical Officer delle organizzazioni BioLumen Technologies (USA) e Foogal (USA) e consulente di Simplex Health (USA).

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