Quando parliamo di pecorino individuiamo un’ampia categoria di prodotti lattiero-caseari in cui il latte è declinato in molteplici versioni. Le produzioni di pecorino si concentrano nell’Italia del centro e del sud, isole comprese, differenziandosi per tutto gli elementi di tecnica produttiva (ed ancora prima, dalla razza ovina dalla quale il latte è ottenuto) e per qualità sensoriale. Chiaramente gli elementi che concorrono al prodotto finito sono molti di più: si pensi semplicemente alle differenze climatiche tra una regione e l’altra, o alle razze scelte per la produzione di latte. In ogni caso, il punto in comune è l’utilizzo di latte di pecora.

Grazie ai diversi regimi che valorizzano la qualità agroalimentare italiana (PAT, DOP, IGP, STG), il paniere italiano è molto ricco di formaggi pecorino che godono di una propria tradizionalità e di tutela. Tra i più famosi, sicuramente il Pecorino Romano DOP ha una posizione di leader a livello globale; se frughiamo più approfonditamente tra le altre denominazioni tutelate, vale sicuramente la pena ricordare il peculiare Pecorino di Farindola PAT dell’Abruzzo, i tradizionali pecorini di fossa umbri (anch’essi PAT) di cui il caseificio Facchini è un importante portavoce, i Pecorino DOP Toscano, Sardo, Siciliano, Crotonese, del Monte Poro (Calabria) e i Pecorini di Moliterno IGP e di Filiano DOP dalla Basilicata. Questi sono solo alcuni degli esempi più famosi, ma potremmo parlare di prodotti anche non inseriti in circuiti di qualità altrettanto validi e con un’interessante storia e tradizione.

In un report dell’ISMEA del 2018 (La Competitività della Filiera Ovina in Italia), viene discusso il profilo del consumatore di pecorini: in media una famiglia italiana acquista 1,9 kg di pecorino all’anno a fronte di una spesa media annua di 22,8 euro, prediligendo le promozioni (1 caso su 2) con visite al punto vendita piuttosto rarefatte (poco più di 5 volte all’anno) e una spesa media per atto di acquisto di circa 4 euro. Il report mette in luce il fatto che, in generale, per questo segmento ci sono ancora dei margini di espansione del mercato, considerando una penetrazione del 53%, decisamente inferiore rispetto a quella degli altri formaggi duri (in media il 70% delle famiglie italiane). Altro aspetto interessante evidenziato dal report riguarda le peculiarità del consumatore tipo di pecorino, considerando le principali variabili socio-economiche (reddito, tipologia di famiglia, numerosità del nucleo familiare, età di chi effettua gli acquisti): viene confermato un forte legame con la tradizione, pertanto il consumo è più diffuso nelle preferenze degli acquirenti più maturi (> 65 anni) e famiglie con figli maggiorenni. Oltre a ciò, ISMEA, confrontando le dinamiche dell’ultimo quinquennio prima del 2018, sottolinea l’evidente e progressiva disaffezione delle famiglie particolarmente numerose (con 5 o più componenti) e con reddito basso, probabilmente a causa dell’aumento registrato dai prezzi medi al consumo e degli acquirenti più giovani (soprattutto famiglie con bambini piccoli, under 34 anni e coppie giovani). In particolare, “quest’ultimi rappresentano le fasce di consumo più interessanti, soprattutto per i prodotti più innovativi (e/o meno stagionati) e per la ricerca di elementi distintivi e/o valori intrinseci (benessere animale, sostenibilità ambientale, ecc.) che sono ben rappresentati dai formaggi pecorini e che andrebbero maggiormente enfatizzati (etichette, confezioni, loghi, certificazioni, etc.)”.

Come per il latte di vacca, ci sono molte variabili che influenzano la composizione del latte di pecora: possiamo distinguere variabili naturali (razza, periodo di lattazione, numero di lattazioni ed età dell’animale, stagione, alimentazione, etc.) da variabili più legate al management in allevamento (selezione genetica, pratiche in allevamento, scelte di nutrizione, modalità di mungitura). La differenza nel latte delle 4 diverse specie di ruminanti riguarda sia la composizione quantitativa nei componenti ma anche qualitativa dei singoli macrocomponenti. Tutte queste variabili a livello di composizione influenzeranno la resa casearia per ciascun tipo di latte. Come composizione di riferimento (Mucchetti e Neviani, 2006) per il latte di pecora, possiamo prendere in considerazione i seguenti valori medi (g/L): acqua 822,3 (~ 82%), lattosio 46,1 (~ 4,6%), ceneri 10,1 (~ 1%), proteine 56,6 (~ 5,7%, in alcuni casi si supera il 6%) e grassi 64,9 (~ 6,5%, nei casi più estremi si arriva anche a 8,7%). Ricordandoci la composizione del latte di vacca, possiamo intuire che il latte ovino darà maggiori rese di caseificazione in funzione dei contenuti di grasso e proteine, valori dai quali la resa dipende fortemente.

Il tema della resa casearia è di fondamentale importanza per una produzione di successo poiché sulla base di tale elemento (ma non unicamente questo) viene definito il prezzo di vendita del prodotto lattiero-caseario. La resa casearia può essere definita sinteticamente come la quantità di formaggio ottenuta da una specifica quantità di latte, ed è in genere riportata in percentuale. I fattori che influenzano questo valore sono molteplici e sono legati all’origine del latte, alla sua composizione, al tipo di processo di trasformazione e alla composizione prevista del prodotto finito. La resa casearia risulta inversamente proporzionale alla stagionatura del formaggio: formaggi freschi “conserveranno” in generale una buona quantità di componenti del latte, mentre formaggi duri stagionati (si pensi alle rese del Parmigiano Reggiano DOP) avranno rese molto basse. Si tratta sempre di formaggi a latte intero? No, ed ovviamente questo sarà un elemento da considerare nel calcolo della resa casearia. Qui di seguito, riportiamo una tabella che riassume l’influenza delle varie fasi del processo di trasformazione del latte sulla resa casearia (Mucchetti e Neviani, 2006). In questo articolo, Alessandro Fantini ha discusso di come la composizione del latte influenzi la resa casearia.

Tabella 1 – Influenza di varie fasi del processo di trasformazione del latte sulla resa di caseificazione.

Fase del processoFattori che inducono modificazioni di resa
Stoccaggio refrigerato del latteSviluppo di batteri psicrotrofi; proteolisi; solubilizzazione di caseine e sali minerali; minore consistenza del coagulo e relative maggiori perdite di grasso nel siero
Standardizzazione del latte (rimozione della crema)Frazioni di caseina e solidi solubili veicolati nella crema in misura inversa alla concentrazione in grasso nella crema
Pre-concentrazione del latte per ultrafiltrazioneMaggiore ritenzione di sieroproteine; maggiore potere tampone, pH più uniforme
Substrato di crescita utilizzato per la produzione dell’innesto liquidoLa caseina del mezzo colturale è incorporata nel formaggio
Tipo di coltura microbica usata per l’innestoProteolisi di ceppi: In latte, influenza la struttura del coagulo; In formaggio, influenza l’aw e l’umidità disponibile per l’evaporazione.
Trattamento al calore del latteSe elevato, favorisce la formazione di complessi caseina-sieroproteina incorporati nel formaggio; maggiore ritenzione del siero, causa di minori proprietà di sineresi
Omogeneizzazione del latteMigliora la ritenzione di grasso e umidità del coagulo, ritardando la sineresi: favorisce la lipolisi
Aggiunta di cloruro di calcioMigliora l’attitudine alla coagulazione del latte e anche la sineresi del siero: correlazione negativa tra calcio aggiunto e umidità residua nel formaggio
Tipo di coagulante usatoDiversa proteolisi, quindi diversa capacità del reticolo di trattenere il grasso
Consistenza del coagulo al momento della rottura La rottura ritardata o anticipata, quindi in presenza di un coagulo con reologia diversa, causa perdite di grasso nel siero
Trattamenti al calore della cagliataInfluenzano la sineresi nel siero
Tipo di caldaia di coagulazione e organi di taglioPrecisione del taglio e quindi regolarità delle dimensioni del grano della cagliata; velocità del taglio
Manipolazioni della cagliataIl trattamento della cagliata deve essere il più delicato possibile, soprattutto per formaggi a elevata umidità
Lavaggio della cagliataRimuove componenti solubili e particelle fini della cagliata
Acidificazione della cagliata in siero o fuori sieroInfluenza il grado di mineralizzazione della cagliata e la ritenzione dei solidi solubili
Quantità di sale aggiuntoLa perdita di acqua e di solidi solubili prevale sul guadagno in peso determinato dall’assorbimento del sale
Perdita di umidità durante la stagionaturaIn funzione di temperatura, umidità e velocità dell’aria

Come detto sopra, per quanto riguarda i formaggi pecorini, rispetto ai formaggi ottenuti da latte di vacca, in base alla composizione ci aspetteremo delle maggiori rese: ad esempio, la resa media del Pecorino Romano DOP, che è prodotto con latte ovino intero, a pasta cotta e con stagionature che vanno dai 5 agli 8 mesi, si aggira intorno al 17 % (kg di formaggio/kg di latte*100). Pirisi et al. (1994) hanno riscontrato per il Pecorino Sardo una resa media del 18,25%.

In letteratura si trovano risultati utili sulla previsione della resa casearia dei formaggi pecorino. Un esempio è lo studio condotto da Palocci et al. (2010) sul formaggio ovino tipo semicotto prodotto nel Lazio. La scelta di concentrarsi su questo tipo di prodotto risiede nella sua ampia diffusione all’interno della regione di riferimento. L’obiettivo era di valutare l’effetto della composizione del latte sulla resa di trasformazione e sulla composizione del formaggio di pecora tipo “semicotto” prodotto nel Lazio, conducendo le prove di trasformazione in 4 caseifici differenti. I campioni di latte sono stati sottoposti alle principali determinazioni chimico-fisiche e alle prove per l’attitudine alla coagulazione. Sul formaggio, oltre alla resa, sono stati determinati i contenuti di umidità, grasso, proteina e ceneri. La resa di trasformazione media a 24 ore è stata del 18,65%. Come equazione per la stima della resa di questo formaggio, i ricercatori hanno individuato la seguente formula:

y = 1,315*grasso% + 1,750*proteina%, con R2 = 0,87

Interessante è anche la stima del l’effetto del contenuto di grasso e proteina del latte sulla percentuale di grasso del formaggio (y = 26,947 + 1,723*grasso latte% + 2,209*proteina latte%; con R2 = 0,68). Quello che è emerso da questo studio, è che risulta particolarmente importante il ruolo della proteina sia per la resa casearia che per il contenuto di grasso del formaggio. In generale, le formule disponibili per la stima della resa si basano su contenuto in grasso e in proteina e sono specifiche per ogni formaggio. La ricerca sottolinea come, per avere un’equazione accurata e pertanto una corretta previsione, sia necessario disporre di dati provenienti da numerose lavorazioni realizzate in condizioni note e controllate. Sebbene questo richieda una sperimentazione laboriosa, permette comunque di ottenere l’accuratezza che spiega fino al 93% delle variazioni nella resa (Maubois e Mocquot, 1971). Inoltre, la letteratura segnala molte equazioni messe a punto, già a partire dagli inizi del Novecento, per calcolare la resa casearia che includono anche l’influenza delle frazioni minerale e glucidica, coinvolte nei meccanismi di idratazione del prodotto e pertanto in quell’insieme di fattori che determinano l’umidità di ciascun formaggio. Il limite di queste formule risiede nella previsione della resa casearia a 24 ore dalla produzione (come indicato anche nello studio citato), quindi prima della salatura e stagionatura, fasi che contribuiscono considerevolmente al contenuto in acqua del prodotto finito. La stima del calopeso dovuto alla salatura non è cosa semplice ed è specifica per ogni formaggio, in funzione delle pratiche produttive adottate. Mucchetti e Neviani (2006) suggeriscono che il calopeso possa essere stimato in un range che varia dallo 0,1 allo 0,6%. Per quanto riguarda la stagionatura, le scelte tecnologiche e le condizioni ambientali delle celle di stagionatura possono influire notevolmente sul calopeso, incidendo per un valore stimato che può arrivare fino al 15%.