Impatto della gestione del raffrescamento estivo sull’impronta idrica del latte bovino.
Nonostante l’insistenza di qualche instancabile negazionista, i cambiamenti climatici stanno avendo, e ancor di più avranno in futuro, rilevanti impatti sugli ecosistemi e sulle attività umane. Il riscaldamento globale sta provocando un cambiamento nella frequenza dei fenomeni e nella loro intensità. Eventi estremi quali siccità, ondate di calore e piogge estreme saranno sempre più frequenti nel prossimo futuro.
In base all’entità delle riduzioni emissive di gas climalteranti che l’umanità riuscirà o non riuscirà a mettere in atto nei prossimi anni, diversa sarà l’entità e gravità degli scenari climatici che ci attenderanno nel prossimo futuro. Tuttavia, in accordo con quanto riportato dall’ultimo report del l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), anche se le azioni a breve termine per limitare riscaldamento globale al di sotto degli 1,5 °C potranno in parte ridurre le perdite previste e i danni legati al clima, questi non potranno essere eliminati del tutto. In altre parole, non possiamo più fermare il cambiamento climatico in atto, possiamo solo cercare di contenerlo e rallentarlo in modo da avere un margine temporale più lungo che permetta di adattarci a quest’ultimo.
Una pressione sostanziale del riscaldamento globale sul benessere delle vacche da latte è l’aumento del rischio di stress termico, definito come una condizione che si verifica quando un animale non può dissipare una quantità adeguata di calore per mantenere l’equilibrio termico corporeo. Questa condizione può portare a disturbi fisiologici che influenzano negativamente la produzione di latte, la riproduzione e la salute della bovina. Si prevede che l’aumento dello stress termico nel bestiame ridurrà la produzione di latte e che il raffrescamento intensivo con ventilatori e nebulizzatori d’acqua rappresenterà una strategia di adattamento dell’allevamento del bovino da latte utile a garantire il benessere degli animali, la loro produttività e il reddito degli allevatori.
L’agricoltura rappresenta circa il 72% di tutti i prelievi d’acqua ed è il più grande consumatore di risorse di acqua dolce a livello globale. I prodotti lattiero-caseari svolgono un ruolo significativo nella dieta umana, ma allo stesso tempo sono spesso associati ad elevati impatti ambientali, come il consumo delle risorse di acqua dolce. La mancanza di accesso a quantità adeguate di acqua per sostenere contemporaneamente i bisogni idrici dell’uomo e degli ecosistemi è sempre più riconosciuta in molti paesi come una preoccupazione seria e crescente.
In questo contesto, il concetto di impronta idrica (Water Footprint) può essere rilevante per affrontare l’efficienza idrica e promuovere soluzioni sostenibili di gestione dell’acqua. Il Water Footprint è un indicatore multidimensionale che include tre frazioni d’acqua (verde, blu e grigia). L’acqua verde si riferisce all’acqua piovana che, invece di defluire o ricaricare le falde acquifere, evapora dal terreno e traspira durante le fasi fenologiche delle piante. L’acqua blu si riferisce alla quantità di acqua dolce che è stata ottenuta da risorse idriche superficiali o sotterranee e che non ritorna nello stesso bacino idrico. Infine, le acque grigie sono definite come il volume di acqua dolce necessario a diluire un inquinante in misura tale da far tornare l’acqua al di sopra degli standard di qualità concordati.
Un recente studio pubblicato sulla rivista Journal of Cleaner Production e condotto presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (DAFNE) dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, ha valutato l’impatto del consumo di acqua utilizzata per le operazioni di raffrescamento estivo sul Water Footprint del latte bovino.
Lo studio ha coinvolto sei aziende di vacca Frisona appartenenti al consorzio Gran Latte selezionate in modo da risultare rappresentative degli allevamenti intensivi italiani in termini di numero di vacche in lattazione, foraggi/colture coltivate e pratiche di gestione. Per ciascuno dei sei allevamenti inclusi nello studio è stato modellizzato uno scenario alternativo considerando l’assenza di operazioni di raffrescamento. Questo scenario ipotetico ha incluso: il volume d’acqua risparmiato dai nebulizzatori spenti, l’incremento dell’acqua di abbeverata richiesta dalle vacche non raffrescate e le perdite di latte legate allo stress termico che possono verificarsi senza operazioni di raffrescamento.
Il Water Fooptrint medio degli allevamenti coinvolti nello studio è risultato essere di 805 ± 225 Litri di acqua per kg di Latte Corretto per Grassi e Proteine (FPCM) con la seguente distribuzione tra le frazioni verde, blu e grigia: 67,9%, 21,1% e 11 %. La nebulizzazione di acqua associata al raffrescamento degli animali ha rappresentato solo una piccola quota (0,2%) della frazione di acqua blu e una quota ancor più piccola (0,04%) se considerato il Water Footprint totale del latte (Tabella 1).
Tabella 1 – Frazioni di acqua verde, blu e grigia e relative incidenze sul water footprint complessivo.
La comparazione tra lo scenario con e senza raffrescamento ha evidenziato come il raffrescamento degli animali si traduca in una maggiore efficienza nella produzione del latte che a sua volta comporta una riduzione del relativo Water Footprint. Nonostante il consumo di acqua legato al funzionamento dei nebulizzatori, lo scenario provvisto di sistema di raffrescamento ha restituito un’impronta idrica più bassa (8,6 L di acqua/kg FPCM) rispetto allo scenario senza raffrescamento (Tabella 2).
Tabella 2 – Confronto dell’impronta idrica del latte tra lo scenario raffrescato e lo scenario alternativo senza raffrescamento.
L’allevamento di bovini da latte richiede un uso considerevole di acqua che deve essere accuratamente valutato per supportare lo sviluppo di corrette politiche e pratiche di gestione. Il rapporto tra latte prodotto e acqua necessaria è di circa uno-a-mille, dove la pioggia e l’acqua di irrigazione sono i principali contributori.
Le azioni volte a mitigare il consumo idrico associato alla produzione di latte devono mirare a ridurre l’evaporazione dell’acqua nel suolo e i volumi di irrigazione. L’uso di sistemi di raffrescamento basati sulla bagnatura e sulla ventilazione delle vacche è fondamentale per affrontare le ondate di calore estive, garantire il benessere degli animali e ridurre le perdite di latte. Il contributo della nebulizzazione sull’impronta idrica del latte è trascurabile, mentre le mancate perdite produttive associate a tale pratica agiscono in maniera virtuosa sull’intensità dell’impronta idrica.
Autori: Giampiero Grossi, Nicola Lacetera, Andrea Vitali,