Il cacio sulle penne lisce e rigate

Si narra che all’inizio della recente epidemia da coronavirus i supermercati siano stati quasi svuotati degli alimenti a lunga conservazione, in particolare di pasta secca, ma che sugli scaffali sono rimaste le confezioni di penne lisce, non di quelle rigate! Questo fenomeno è spiegato ricordando che le odierne penne lisce trattengono male il formaggio e il condimento rispetto a quelle rigate. Le paste secche di un tempo erano lisce ma trattenevano bene il formaggio e altri condimenti, perché avevano una superficie porosa in quanto prodotte con trafile di bronzo e avevano un lungo essiccamento; le odierne paste secche ottenute da trafile di teflon e rapidamente asciugate hanno invece una superficie liscia e non trattengono bene il condimento. Sono state poi sviluppate forme rigate o tali, come i fusilli, che trattengono bene formaggio e condimenti. Come il cacio su maccheroni” è un proverbio antico che risale a quando tutte le paste secche, oltre quelle fresche, avevano una superficie rugosa che ben tratteneva il condimento, formando una perfetta armonia con la pasta quando il cacio insaporisce e completa il gusto dei maccheroni. Il proverbio che dice “cascare come il cacio sui maccheroni” allude quindi ad una cosa buona, che capita a proposito nel momento giusto e rende felici, come quando si mangia una pastasciutta condita con formaggio e altri condimenti.

Il formaggio nei proverbi

Molti sono i proverbi che riguardano il formaggio, e non poteva essere diversamente considerando l’antichità di questo alimento e la sua importanza nell’alimentazione popolare (G. Ballarini – I proverbi del formaggio – Ruminantia, 26 agosto 2019). Tra questi non poteva mancare un proverbio relativo alla pasta, perché entrambi sono antichi cibi mediterranei. Tra i molti proverbi, “come il cacio sui maccheroni” si caratterizza per la sua brevità e concisione, il buon senso, l’arguzia e la popolarità, trasmettendo il frutto dell’esperienza e della saggezza di un popolo, aiutando la memoria popolare, parlando per immagini e divenendo la voce di una società capace di guidare il giudizio e l’operato di ciascuno. Anche se ormai l’uso del proverbio appartiene più al passato che al presente, spesso rispolverarne il significato può risultare utile e divertente, come nel caso dei rapporti tra formaggi e qualità della pasta secca, rugosa come quella tradizionale o liscia se prodotta con i moderni sistemi, non dimenticando infine quanto Alessandro Manzoni (I promessi sposi, Capitolo V) afferma dicendo che “i proverbi, signor conte, sono la sapienza del genere umano”.

Formaggio, condimento delle paste

Un tempo le paste secche di grano duro e quelle fresche all’uovo di grano tenero avevano come condimento principale, se non esclusivo, il formaggio (G. Ballarini – Il formaggio sposa la pasta – Ruminantia 5 novembre 2018). Nel Liber de coquina, Codice Meridionale (1240?) e attribuito da studiosi a Federico II, nella ricetta De lasanis, la pasta trasformata in tortelli e bollita in acqua salata è condita con caseum gractatum. Un secolo dopo Giovanni Boccaccio (1313 – 1375) nella III novella dell’VIII giornata del Decameron (1348 – 1353), intitolata Calandrino e l’elitropia, descrive il Paese di Bengodi con “una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi”. Inoltre, per una serie di elementi di cui siamo in possesso, possiamo immaginare che la pasta secca fosse un cibo pregiato riservato ai capitani delle navi corsare arabe che nell’anno mille solcavano i mari terrorizzando le popolazioni delle coste mediterranee. Infatti, mentre la ciurma delle veloci feluche corsare si nutre con zuppe di gallette e legumi, il capitano e i suoi aiutanti di più alto grado hanno il privilegio di pasteggiare con pasta di grano duro, non sgranata come nel cuscus ma ridotta in fili ed essiccata, denominata tria o tris e che dopo essere bollita in acqua di mare, è condita con formaggio piccante di capra o pecora, grattugiato all’istante, come ancor oggi si conviene (Ballarini G. – Umami, quinto sapore dei formaggi – Ruminantia 2 luglio 2018)

Formaggio e i molti condimenti dei maccheroni

Il successo della pasta in Italia, e poi in un’altra sempre più vasta varietà di paesi, ha diverse origini, tra cui la varietà di condimenti. Sarebbe possibile infatti mangiare ogni giorno una pasta di diverso formato, ma soprattutto con un differente condimento: carne, pesce, uovo, verdure, funghi ecc.; ma quello che è interessante rilevare è una diffusa, se non quasi costante, presenza del formaggio e quindi una permanenza del detto “come il cacio sui maccheroni.” Una presenza costante che in gran parte può essere ricondotta al glutammato che costituisce il quinto gusto dei formaggi e che ben completa e arricchisce il gusto degli altri componenti dei condimenti per la pasta.

Maturazione, glutammato e gusto dei formaggi

La maturazione del formaggio è un processo complesso che coinvolge molti cambiamenti fisico-chimici e può essere suddivisa in due fasi. I cambiamenti primari provocano l’accumulo di acido lattico, acidi grassi e amminoacidi liberi. I cambiamenti secondari sono catalizzati da enzimi, principalmente da microrganismi, con la formazione di prodotti finali tipici per ogni particolare varietà di formaggio o lotto all’interno di una stessa varietà. I cambiamenti chimici e fisici della maturazione fanno sì che il formaggio cambi di consistenza mentre la proteina si trasforma in piccoli polipeptidi, con un graduale accumulo di aminoacidi liberi che contribuiscono allo sviluppo del gusto, aroma e consistenza caratteristici di ogni formaggio. Tra gli aminoacidi, la tirosina può precipitare formando assieme al calcio i granuli caratteristici di alcuni formaggi a lunga conservazione, per questo denominati “grana”.

La proteolisi che avviene nella fermentazione dei formaggi è stata oggetto di molte ricerche, individuando eventi biochimici che nella fermentazione producono anche derivati aminoacilici di origine non proteolitica (γ-glutamil-amminoacidi e lactoil-amminoacidi) con interessanti proprietà sensoriali. Per questo, soprattutto nei formaggi stagionati, sono presenti aminoacil derivati non proteolitici. In questo quadro. il glutammato libero che conferisce gusto al formaggio stagionato ha una particolare importanza. Non va inoltre sottovalutato che una parte del glutammato dei formaggi proviene anche dai batteri fermentanti, che sono diversi a seconda delle condizioni ambientali e di lavorazione. Non bisogna poi confondere il glutammato di sodio con l’acido glutammico, di cui esso è un sale. Per esempio, il pomodoro è uno dei vegetali più ricchi in acido glutammico, anche se le quantità sono modeste in senso assoluto e contiene solo cinque milligrammi di sodio ogni cento grammi. Condensando il prodotto, come nelle salse, si aumenta la quantità di glutammato ma non si raggiungono certo i valori dei formaggi stagionati. Il parmigiano, uno dei formaggi a pasta dura più diffusi al mondo, è rinomato per l’alto contenuto di glutammato libero, che va dagli 1,2 agli 1,6 e più grammi per etto. Oltre al parmigiano, ci sono altri formaggi fermentati che contengono acido glutammico libero, come il cheddar (78 milligrammi per etto). Considerando l’acido glutammico contenuto nei principali formaggi, secondo la U.S. Department of Agriculture, Agricultural Research Service (2011) USDA National Nutrient Database for Standard Reference, Release 24 e l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), si può stabilire la seguente graduatoria (grammi di acido glutammico per 100 grammi di parte edule): Formaggio Grana 8,2 – Pecorino 7,3 – Provolone 6,2 – Cheddar 6,09 – Monterey 5,99 – Gruviera 5,9 – Cheshire 5,7 – Emmental 5,7 – Caprino stagionato 5,6 – Mozzarella 5,6/4,4 – Tilsit 5,4 – Gorgonzola 5,1 – Fontina 5,1 – Sottilette 5,1 – Camembert 4,1 – Caprino 4,0 – Roquefort 3,6 – Caprino morbido 3,4.

Umami, il quinto gusto dei formaggi

Quanto fino ad ora tratteggiato porta ad una serie d’importanti conseguenze che riguardano i formaggi e il loro uso in cucina e in gastronomia, con alcune conclusioni che portano anche ad una migliore comprensione della qualità sensoriale di questi importanti alimenti, e in particolare del formaggio sulla pasta.

Il gusto dei formaggi fermentati dipende in buona parte dal loro contenuto in acido glutammico che deriva da una fermentazione che dipende dal substrato proteico e dalla flora microbiologica fermentante. Il substrato proteico varia in base alla specie animale che produce il latte, ma anche alla razza e alla linea genetica degli animali, e questo spiega come queste caratteristiche possano modificare il gusto del formaggio.

Per l’apprezzamento dell’umami è importante come il formaggio è gustato, sia come forma fisica che come temperatura. Inoltre, l’umami deriva da molecole delicate che subiscono danni irreversibili dall’ossidazione che ad esempio avviene in un formaggio grattugiato esposto all’aria e contenuto in una formaggiera (da bandire!): per questo il formaggio va grattugiato al momento dell’uso. Per gli stessi motivi la superficie del formaggio, una volta che la forma è stata tagliata, va protetta dall’ossigeno, mettendola sottovuoto o proteggendola con una pellicola impermeabile all’aria apposta strettamente aderente alla superficie di taglio. In modo analogo, il formaggio, anche durante i procedimenti di cucina, non deve essere sottoposto a calori eccessivi e prolungati. Da qui la tradizionale regola del formaggio grattugiato che va aggiunto alla pasta sul piatto, delle paste ripiene con formaggio che hanno bisogno di brevi cotture di pochi minuti e dell’aggiunta del formaggio, finemente grattugiato, sulla pasta nel brodo in modo che le particelle si sciolgano, liberando le molecole dell’umami. Evitare nel contempo un’eccessiva presenza di sale!

Da qui si comprende meglio il tradizionale detto “come il cacio sui maccheroni” e il suo persistere in associazione ai più diversi condimenti perché il gusto umami dei formaggi fermentati ben si associa a quello di altri alimenti fermentati, spiegando antiche e moderne consuetudini. Senza farne un lungo e dettagliato elenco, basterà ricordare come fin dai tempi omerici si usava bere vino, certamente rosso e ottenuto da lunghe fermentazioni, al quale era aggiunto formaggio finemente grattugiato, una consuetudine che dà ragione della presenza di grattugie di bronzo in tombe etrusche e che trova ancora reminiscenze nell’abitudine di aggiungere vino nel brodo dove è presente formaggio grattugiato o contenuto nella pasta. In tempi a noi più vicini va ricordato che i gamberi farciti con formaggio sono una ricetta che il Maestro Martino da Como, il più importante cuoco europeo che nel secolo XV scrive nel Libro de Arte Coquinaria, caposaldo della letteratura gastronomica italiana e testimone del passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale (Ballarini G. – Il pesce con il formaggio? Georgofili INFO, 5 giugno 2019). Nei tempi attuali bisogna ricordare che una giusta quantità di un formaggio giudiziosamente scelto nella maggioranza dei casi è una componente essenziale per una buona ricetta per la pasta, secca o fresca, che deve avere la caratteristica di accogliere bene il condimento, altrimenti è forse meglio lasciarla sugli scaffali del supermercato.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.