Il Provolone del Monaco DOP è un formaggio molto apprezzato prodotto a partire da latte crudo di vacche di razza “Agerolese”, una razza in via di estinzione famosa non per la quantità di latte che produce ma per l’elevata qualità della materia, nel territorio della provincia di Napoli.

Ad oggi sono solo 500 i capi di vacca Agerolese coinvolti nella produzione di questo Provolone, e noi di Ruminantia abbiamo pensato di toccare con mano la realtà e la storia di questa DOP intervistando Giuseppe Cioffi, testimone della storia del Provolone del Monaco DOP e casaro di quarta generazione che realizza provolone nel cuore dei Monti lattari, nel comune di Vico Equense.

Giuseppe è un maestro di tecnologia casearia da quasi 20 anni, come vuole la sua tradizione familiare. Insegna a fare Provolone del Monaco, non lo vende ma divulga i segreti per realizzare un prodotto eccellente.

La storia di questa importante e apprezzata DOP, è molto divertente” – ci racconta – “Inizia intorno al 1700 ma non aveva un nome. Era un prodotto umile realizzato esclusivamente con latte di Agerolese, una vacca molto pregiata“.

Raffaele De Cesare, infatti, nella sua relazione “Caci, Burro, Strutto, Uova, Olii alla esposizione di Parigi del 1878“, racconta e descrive in maniera molto accurata, i prodotti rappresentanti dell’attività casearia meridionale di fine 1800, sottolineando come la forma del caciocavallo in alcune regioni del Sud Italia sia preferita a quella “a palla” del provolone.

Nella zona di produzione della DOP, l’allevamento del bestiame ha sempre avuto come fine ultimo la produzione del latte e, di conseguenza, dei prodotti lattiero-caseari, soprattutto del formaggio. Si ritiene che nei primi anni del ‘900 il territorio napoletano esportasse in media 300/400 quintali di provolone al mese.

Ma perché si è scelto di produrre questo formaggio a lunga stagionatura?

Produrre prevalentemente formaggi stagionati, è stata una scelta guidata dall’esigenza di spostarsi nella città di Napoli per incrementare il proprio commercio dal momento che il formaggio, a quel tempo, era particolarmente costoso e i contadini della zona non potevano permettersi di acquistare e consumare un prodotto così di nicchia. Pertanto, dalla zona di produzione, via mare, i casari trasportavano le forme di provolone fino alle spiagge dove poi venivano caricati su imbarcazioni più piccole. Per ripararsi dall’umidità e dalle piogge, i casari erano soliti utilizzare dei mantelli simili a quelli dei monaci per coprirsi; da qui il nome “Provolone del Monaco”.

Dal 2010, ci dice Giuseppe, questo formaggio è riconosciuto come DOP ed ha, pertanto, un proprio disciplinare.

Secondo l’articolo 2 del regolamento che disciplina la produzione di questo formaggio, il Provolone del Monaco deve essere un formaggio semiduro a pasta filata, stagionato e prodotto esclusivamente con latte crudo proveniente da vacche allevate nella provincia di Napoli nei comuni elencati all’articolo 3 del disciplinare (Agerola, Castellammare di Stabia, Vico Equense, Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Gragnano, Santa Maria la Carità, Pimonte e Sant’Agnello).

Il latte crudo, non pastorizzato, utilizzato per la DOP deve essere per un 20% da razza Agerolese (TGA) e il restante 80% da bovini di razze diverse come Frisona, Jersey, Podolica e Pezzata Rossa, tutte nutrite con foraggio e frescame. Il disciplinare vieta che nell’alimentazione delle bovine vengano utilizzati insilati, ogm, farine di estrazione e antibiotici.

Secondo il disciplinare il Provolone del Monaco DOP deve essere caratterizzato da una crosta sottile di colore giallastro con toni leggermente scuri, quasi liscia con leggere insenature longitudinali in corrispondenza dei legacci di rafia usati per il sostegno a coppia che suddividono il formaggio in un minimo di sei facce. La pasta interna deve essere di color crema con toni giallognoli, elastica, compatta, uniforme e senza sfaldature, morbida e con tipiche occhiature note come “occhio di pernice“.  A livello organolettico il formaggio presenta un sapore dolce e butirroso ed una piacevole e delicata nota piccante, e Giuseppe consiglia non solo di consumarlo entro massimo l’ottavo mese di stagionatura per non trovare un prodotto estremamente piccante o amaro, ma anche di abbinarlo a miele o marmellate di agrumi.

Ci spiega Giuseppe che secondo la tradizione il Provolone del Monaco è sempre stato realizzato a mano, ma ad oggi la sua caratteristica forma ovale è data dall’utilizzo di stampi preformati utilizzati per rendere i formaggi omogenei dal punto di vista morfologico. Inoltre, ogni pezzo deve avere un peso minimo di 2,5 Kg per un massimo di 8 Kg. Ciononostante la produzione del provolone è molto ristretta: in media ogni caseificio produce circa 15-20 forme di formaggio al giorno per un peso di circa 4 Kg ciascuno.

Dopo sei mesi dalla produzione, il Provolone del Monaco viene marchiato post supervisione del Consorzio di tutela.

Per quanto riguarda la tecnologia produttiva, Giuseppe ci ha spiegato che il Provolone del Monaco DOP deve essere prodotto nei mesi freddi, questo perché dato che viene utilizzato un latte crudo e non pastorizzato, le alte temperature dei mesi estivi potrebbero comportare l’insorgenza di microrganismi patogeni che renderebbero il latte inadatto. Pertanto, il periodo produttivo inizia a fine settembre/inizio ottobre e termina verso fine gennaio/inizio febbraio.

Aggiunge “una volta raccolto il latte, lo si riscalda fino a 38°C poi si aggiunge il caglio in pasta di vitello e capretto. Aggiunto il caglio si aspettano circa 40 minuti prima che si effettui la rottura a mano per formare dei grani molto piccoli, il tutto alla temperatura di circa 45°C. Si fa riposare per 15 minuti, si elimina il siero e si comincia a lavorare la pasta ottenuta su un tavolo, il giorno seguente si lavora con acqua calda a circa 80°C e si inizia la filatura, a mano o con impastatrice. A questo punto lo si mette in acqua fredda per circa 10-12 ore e si inizia la salatura (circa 150 grammi di sale per ogni etto di formaggio). 

Ora, il formaggio viene legato con lacci di rafia che lo seguiranno per tutto il periodo di stagionatura, dai 6 agli 8 mesi, e infine asciugato in cella. Prima l’asciugatura avveniva in grotta ma ad oggi si sta abbandonando questa pratica per la questione microrganismi.”

Ringraziamo calorosamente Giuseppe per averci raccontato la storia e la tecnologia di questo formaggio e per essere parte attiva dell’espansione e della conoscenza dei prodotti italiani nel mondo.