Il mese tematico dedicato ai formaggi a coagulazione lattica, iniziato dalle pillole tecniche di Mirko Galliani, sta per volgere al termine e, come di consueto, dedichiamo una parentesi alla sicurezza alimentare calando questo concetto, la cui definizione è piuttosto ampia e tocca vari aspetti, nel mondo delle fermentazioni. I batteri lattici sono gli attori fondamentali nella coagulazione lattica, poiché, grazie al loro metabolismo a carico degli zuccheri fermentescibili, attraverso il quale si ottiene acido lattico, si ha un aumento dell’acidità (e quindi un abbassamento di pH) che determina modifiche del livello di idratazione della caseina e, di conseguenza, la capacità di questa proteina di rimanere in sospensione colloidale. Queste importanti variazioni strutturali della materia prima latte possono essere o totali o parziali, a seconda di quanto il processo fermentativo è “spinto”, determinando quindi la possibilità di realizzare diverse tipologie di prodotto.

Come è intuibile, il ruolo dei batteri scelti per ottenere formaggi a coagulazione lattica è cruciale dal punto di vista tecnologico. Ma cosa succede se il latte contiene sostanze in grado di rallentare o addirittura inibire il processo fermentativo?

Con questo articolo, vogliamo affrontare un tema delicato, ovvero quello dei residui di antibiotici nel latte. Ai fini della sicurezza alimentare, i residui di antibiotici sono contaminanti chimici che, oltre ad essere dannosi per il consumatore finale in quanto sostanze farmacologicamente attive, possono anche determinare condizioni di antibiotico-resistenza ma anche manifestazioni allergiche nei consumatori più sensibili. Nel mondo lattiero-caseario, la presenza di residui di antibiotici, in funzione della sostanza, della sua quantità e della sensibilità specifica dei ceppi fermentanti, può determinare un problema tecnologico impedendo il regolare sviluppo dei microrganismi nel latte e nei prodotti derivati. Il latte contente residui di sostanze farmacologicamente attive oltre i limiti massimi di residui (LMR) va considerato un rifiuto nocivo e, per legge (L. 283/1962), non può essere diluito ma deve essere destinato a distruzione sotto il controllo veterinario. Quindi, se da un lato il problema dei residui di antibiotici è di ordine tecnologico, dall’altro abbiamo un problema di sicurezza alimentare dovuto al fatto che tali residui potenzialmente possono portare alla selezione di ceppi patogeni resistenti, concorrendo ulteriormente ai ben noti problemi di antibiotico-resistenza.

I farmaci veterinari in quantità superiori al limite massimo di residui (MRL), che rappresenta la concentrazione massima di un residuo di una sostanza farmacologicamente attiva che può essere autorizzata negli alimenti di origine animale, nel latte così come nella carne possono essere presenti per errori di somministrazione all’animale da trattare, come un eccessivo dosaggio, il prolungamento della durata della terapia rispetto a quella indicata nel foglietto illustrativo del medicinale utilizzato, oppure per il mancato rispetto dei tempi di sospensione.

La definizione di antibiotico rientra in quella più generale di agente antimicrobico, ovvero una qualsiasi sostanza naturale, semisintetica o sintetica che presenta attività antimicrobica (uccide o inibisce la crescita di microrganismi) a concentrazioni ottenibili in vivo. Gli antielmintici e le sostanze classificate come disinfettanti o antisettici sono esclusi da questa definizione (FIL-IDF, 2013). Dal punto di vista normativo, per quanto riguarda le sostanze attive ammesse e le relative concentrazioni residue (MRL) tollerate negli alimenti, dovremmo considerare quanto stabilito dai seguenti regolamenti:

  • Reg. (CE) n. 470/2009, che stabilisce procedure comunitarie per la determinazione di limiti di residui di sostanze farmacologicamente attive negli alimenti di origine animale,
  • Reg. (UE) n. 37/2010 concernente le sostanze farmacologicamente attive e la loro classificazione per quanto riguarda i limiti massimi di residui negli alimenti di origine animale.

Le concentrazioni di residui di antibiotici necessarie per inibire le colture starter dipendono dal ceppo usato per la coagulazione lattica e dal tipo di antibiotico. In generale, i batteri lattici sono più sensibili alla penicillina che alla cloxacillina. I lattococchi sono più sensibili alla streptomicina e alla tetraciclina e più resistenti alla penicillina rispetto allo Streptococcus thermophilus e ai lattobacilli termofili. Lactobacillus delbrueckii supsp. lactis e L. helveticus sono meno resistenti alla penicillina rispetto alla maggior parte dei ceppi di L. casei e L. delbrueckii supsp.. Il bulgaricus e il Propionibacterium freudenreichii (usati nei formaggi tipo Emmental) sono meno resistenti alla penicillina. Gli antibiotici possono anche influenzare la crescita associativa tra due specie, come succede ad esempio per i ceppi selezionati nella produzione di yogurt.

Quali sono i potenziali problemi tecnologici che si possono verificare in caso di eccesso di residui di antibiotici?

Livelli elevati di residui di antibiotici possono portare a blocco completo della coagulazione acida dopo la cagliatura, con conseguente innalzamento anomalo di pH: i formaggi così ottenuti possono presentare consistenza irregolare e un corpo pastoso con sapori anormali descritti come sentori di lievito, rancido o fermentato; inoltre, l’effetto può essere anche a carico di colture non starter, con risultante riduzione dell’intensità del sapore. Ed ancora, in formaggi la cui salatura avviene in salamoia, i residui di antibiotici inibiscono la crescita e l’acidificazione della coltura starter con conseguente scarsa sineresi della cagliata e disomogeneità della pasta, all’interno della quale si possono ritrovare particelle di cagliata morbide con un contenuto eccessivo di siero di latte; nel complesso, risulta una cagliata con un elevato contenuto di umidità. Laddove il pH rimanga elevato, può verificarsi la crescita di batteri in grado di determinare metabolismi putrefattivi. Ad esempio, nei formaggi di tipo svizzero ottenuti con batteri produttori di acido propionico si verificano fermentazioni anormali, inclusa la fermentazione butirrica, con lo sviluppo di occhiatura anomala, fessure, crepe, scolorimento della pasta e putrefazione. Può verificarsi anche lo sviluppo di superfici fortemente umide e viscose, caratterizzate da odori intensi. Nei formaggi a crosta fiorita, l’elevato contenuto di umidità della cagliata facilita la crescita di muffe avventizie, come quelle appartenenti al genere Mucor, e basse concentrazioni di lattato nella cagliata impediscono la crescita del Penicillium camambertii sulla superficie del formaggio.

Cosa può fare il casaro per evitare l’utilizzo di latte contenente residui di antibiotici problematici per le fermentazioni? Indubbiamente, l’uso delle sostanze antimicrobiche in stalla, e specificamente degli antibiotici, fatto seguendo rigorosamente le indicazioni riportate nell’etichettatura dei prodotti, nonché le istruzioni del veterinario, in particolare per quanto concerne il rispetto dei tempi di sospensione, è il modo migliore per soddisfare i requisiti sui residui di sostanze antimicrobiche per il latte. In alcuni casi, i veterinari o i caseifici acquirenti possono consigliare test a livello di singola bovina per verificare che il latte proveniente da animali sottoposti a specifici trattamenti antimicrobici sia conforme ai criteri sui residui. Il latte non deve essere fornito ai caseifici acquirenti se il risultato di un test di screening è positivo, a meno che un’adeguata conferma non riveli che il risultato non è significativo.

Se il caseificio acquista latte da allevamenti diversi, deve essere molto chiaro sulle specifiche che deve possedere la materia prima al momento della fornitura. Tra queste specifiche legate alla sicurezza alimentare, il caseificio deve considerare anche i residui di antibiotici. L’azienda di trasformazione, inoltre, può essere anche di supporto agli allevatori nella fase di implementazione delle pratiche raccomandate per ottemperare ai requisiti d’igiene e sicurezza alimentare. Nella fase di produzione post-primaria, i caseifici dovrebbero monitorare la qualità delle forniture in entrata e fornire un rapido feedback in caso di rilevamento di non conformità. Inoltre, i caseifici dovrebbero aver stabilito le misure per rilevare il latte non conforme il prima possibile e per escluderlo da ulteriori lavorazioni. Diventa quindi fondamentale per l’autocontrollo realizzare a monte una procedura di qualifica dei fornitori puntuale, prevedendo anche un piano di monitoraggio degli allevamenti attraverso audit e verifiche presso le aziende fornitrici: un’attività di prevenzione essenziale. Parallelamente a queste attività periodiche, il controllo della materia prima in fase di accettazione è fondamentale: la conduzione di test di screening semplici, in grado di dare risultati in tempi rapidi e a costi contenuti diventa quindi un secondo passo per escludere il rischio chimico di contaminazione da sostanze antimicrobiche ed antibiotiche. Lo screening può essere condotto effettuando test su tutti i fornitori, su un campione statisticamente significativo e/o sulla base delle informazioni storiche in possesso all’azienda. In generale, le aziende di trasformazione del latte fanno affidamento sull’esame del latte di cisterna o dei campioni di latte sfuso che vengono consegnati all’impianto di trasformazione in fase di ricevimento della materia prima.

Se il risultato ai test di screening è positivo, il latte deve essere tenuto separato e sottoposto ad un successivo test di inibizione microbiologica, per confermare l’esito del primo controllo effettuato. In caso di esito sfavorevole all’inibizione microbiologica, come accennato sopra, il latte va escluso dalla trasformazione e destinato alla distruzione, informando il servizio veterinario competente per lo stabilimento, e fornendo al servizio veterinario l’elenco dei conferenti se il caseificio ha un proprio giro di raccolta. Nella fase successiva all’esclusione dalla lavorazione per la partita contaminata, è opportuno prevedere delle verifiche di follow-up nell’allevamento (o allevamenti) confermato come origine della contaminazione, prevedendo una sospensione temporanea della raccolta del latte fino al ripristino della conformità ai requisiti normativi.

Qui di seguito, riassumiamo brevemente i metodi di prova disponibili per rilevare residui di antimicrobici nel latte. In prima battuta, si può dire che sul mercato è disponibile un’ampia gamma di metodi di prova; le aziende di trasformazione dovrebbero essere consapevoli della più o meno elevata specificità e dei limiti dei diversi metodi di prova, dovrebbero usare test a sensibilità e selettività note per lo screening del latte in ingresso e dovrebbero implementare ed adottare misure per garantire che i risultati dei test siano affidabili, senza dimenticarsi del rischio di falsi positivi o negativi. Oltre a ciò, come in ogni aspetto della prevenzione per la sicurezza alimentare, la formazione dei tecnici addetti alla conduzione dei test è di cruciale importanza.

Test di inibizione microbiologica

Si basa sull’inibizione della crescita di alcuni batteri specifici che vengono inoculati su terreno di crescita specifico. Tra i vantaggi di questo metodo di prova, vi è il peculiare schema di rilevamento per un’ampia gamma di antimicrobici che consente di individuare anche l’inibizione della crescita per effetto di combinazioni di sostanze e/o attraverso effetti sinergici. L’esecuzione di questi metodi di prova, eseguibili a costi relativamente economici, non richiede strutture di laboratorio sofisticate né competenze avanzate, ma indubbiamente è fondamentale saper leggere correttamente i risultati. Tali test possono, in una certa misura, essere utilizzati come metodi specifici di gruppo, introducendo antagonisti come ß-lattamasi (per il gruppo di antibiotici ß-lattamici) e acido para-aminobenzoico (per sulfamidici) in test paralleli. Tuttavia, essi hanno alcune limitazioni dovute alla rilevabilità ampiamente diversa delle singole sostanze (aspetto collegato alla sensibilità dei test), alla richiesta di successivi test di conferma nel caso di un’identificazione di gruppo o che sia verificata la conformità con gli MRL e al fatto che non sono test rapidi e specifici, oltre ad essere talvolta suscettibili a sostanze interferenti nel latte crudo (ad esempio, gli inibitori presenti in natura, quali lisozima e lattoferrina), acidi grassi liberi e detergenti e disinfettanti.

Test recettore rapidi

Principio base di questi test è la formazione del legame tra gli antimicrobici con uno o più recettori specifici per gruppi di sostanze che quindi reagiscono con un substrato per fornire una reazione quantitativa. I test commerciali sono per lo più offerti come strip test per uno o due gruppi di agenti antimicrobici, ad esempio ß-lattamici o ß-lattamici + tetracicline. Pertanto, si tratta di test gruppo-specifici con un ampio pattern di rilevamento per sostanze antimicrobiche appartenenti ai gruppi target. Anche in questo caso si tratta di metodi che richiedono strutture semplici per l’esecuzione, essendo così idonei per lo screening sul campo sia in stalla che in stabilimento di trasformazione, e non richiedendo competenze avanzate. Interessante è la velocità di restituzione dei risultati (dai 2 ai 15 minuti) e i costi d’acquisto contenuti. Il fatto che il target siano gruppi di sostanze e non singole sostanze è un limite perché molecole non appartenenti ai gruppi target rischiano di non essere rilevate. Non è possibile la quantificazione di sostanze individuali, per cui in caso di esito positivo il risultato va ulteriormente confermato con metodo di prova più specifico per verificare l’effettivo superamento del LMR (ad esempio, l’impiego di tecniche cromatografiche abbinate a spettrometria di massa). Infine, alcune criticità legate alla sensibilità potrebbero generare dei falsi positivi. Più recentemente, con micro-array contenenti specifici recettori per sostanze individuali sono possibili analisi semi-quantitative per antimicrobici o sostanze veterinarie, utili per confermare la positività di un test di screening.

Metodi analitici qualitativi e quantitativi

Il principio si basa generalmente sulla separazione cromatografica di singole sostanze e sulla loro successiva identificazione e quantificazione mediante sistemi come cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) o cromatografia liquida in combinazione con spettrometria di massa (LC/MS-MS). Si tratta di metodi specifici che presentano la possibilità di individuare un’ampia gamma di sostanze, ed è notevole il fatto che i limiti di rilevamento sono generalmente molto al di sotto degli LMR definiti per legge. Tuttavia, sono richieste attrezzature e competenze del personale addetto specifiche, e il tempo di esecuzione è piuttosto lungo con investimenti consistenti per l’esecuzione dell’analisi. Sicuramente, come abbiamo visto sopra, il loro impiego è fondamentale nel momento in cui, attraverso lo screening, si individuano non conformità.

Un esempio interessante di applicazione di questi metodi è l’approccio sviluppato dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. Infatti i ricercatori della SCS2 – Chimica dell’IZS delle Venezie hanno messo a punto un primo protocollo sperimentale per analisi multiclasse nel latte, un approccio che potrebbe essere esteso in futuro anche ad altre matrici, come muscolo e mangimi.

Sulle pagine digitali di Ruminantia, in futuro non troppo lontano potrete trovare un articolo dedicato ad un confronto tra i test rapidi specifici per le sostanze farmacologicamente attive con funzione antibiotica. Infine, per rilassare la mente dopo tante informazioni tecniche, vi consigliamo la lettura della storia di successo della famiglia Volgger, produttori del formaggio a coagulazione lattica Wossofolla, curata da Accademia Italiana del Latte.

Bibliografia

Ministero della salute, Antimicrobico resistenza

L. H. McSweeney, 2007. Cheese Problems Solved. Elsevier

Navrátilová P. (2008) Screening methods used for the detection of veterinary drug residues in raw cow milk – a review. Czech J. Food Sci., 26: 393–401.

Germano Mucchetti, Erasmo Neviani, 2006. Microbiologia e tecnologia lattiero-casearia. Qualità e sicurezza. Tecniche nuove

FIL-IDF, 2013. Guide to Prudent Use of Antimicrobial Agents in Dairy Production