Come risaputo, in Europa è stato fissato da tempo un limite massimo di Aflatossina M1 nel latte pari a 0,050 μg/kg, mentre non ne è ancora stato stabilito uno unico e specifico per gli alimenti derivati, come yogurt e formaggi.
La motivazione che risiede dietro questa “mancanza”, è collegata al fatto che tale parametro risulta estremamente variabile poiché il quantitativo di tossina che dal latte può finire nella cagliata è determinato da molteplici fattori tra cui: la tecnologia utilizzata, il tipo di formaggio, la lavorazione, la stagionatura ed altri ancora.
Questa situazione implica che la valutazione della conformità o meno del prodotto, venga svolta dall’autorità competente unicamente sulle informazioni fornite dal produttore in merito alla tipologia di prodotto e alla tecnologia di lavorazione impiegata. Talvolta però queste informazioni non sono esaustive, ed in tal caso la classificazione del rischio può essere anche fatta sulla base dei fattori indicati dal Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare (vedi Parere Ministero della Salute, 24 febbraio 2021).
Per garantire una corretta stima del rischio, si rende, però, sempre più necessario ed urgente avere un metodo standardizzato di rilevamento di questo parametro a partire dai formaggi, al fine di valutarne i livelli di contaminazione.
In questo contesto l’IZSVe ha messo a punto un’innovativa metodica che consente di ridurre l’impiego di sostanze potenzialmente tossiche, generalmente utilizzate nel pre-trattamento dei campioni, ovvero i solventi che consentono di estrarre l’analita, eliminare gli interferenti dal campione di formaggio e rilevare le sostanze residue, come appunto le aflatossine. Al posto dei classici reagenti è stata utilizzata una soluzione acquosa di sali citrati, che si è dimostrata efficace e che ha il vantaggio di avere un minor impatto per l’ambiente e per la salute dei tecnici di laboratorio.
A tal proposito, sul sito dell’ IZS delle Venezie, il supervisor dello studio e dirigente del Laboratorio farmaci veterinari e ricerca, dr. Giancarlo Biancotto ha commentato:
“Questo metodo è stato validato internamente per i formaggi a pasta dura e molle, e al momento lo stiamo verificando mediante uno studio interlaboratorio per valutarne precisione, accuratezza e robustezza, finora con ottimi risultati preliminari. L’obiettivo è quello di arrivare a farne un metodo di riferimento per la rete dei laboratori nazionali, anche grazie alla collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e il Centro di referenza nazionale per la qualità del latte bovino dell’IZS di Lombardia ed Emilia Romagna”.
Le evidenze scientifiche sono state pubblicate sulla rivista Food Control nell’articolo visionabile QUI!