Le aflatossine sono inevitabili contaminanti di alimenti e mangimi. A causa degli effetti negativi che hanno sulla salute umana e animale, sono altamente auspicabili protocolli di decontaminazione efficaci, pratici ed economici. Recentemente, il bioassorbimento ha ricevuto ampia attenzione tra gli scienziati per la decontaminazione delle aflatossine a causa del basso costo e della straordinaria efficienza dei biosorbenti. In questo articolo vi presentiamo i risultati emersi da una ricerca scientifica condotta in collaborazione dall’Università del Messico e dell’Arkansas 

Introduzione

Le micotossine sono un gruppo di sostanze a basso peso molecolare sintetizzate durante il metabolismo secondario dei funghi tossigeni. Questi metaboliti variano da composti con strutture semplici, come la moniliformina, fino a strutture chimiche molto complesse come le micotossine esapeptidi macrociclici (1). Ad oggi sono note circa 400 micotossine (2); tuttavia, l’attenzione scientifica è focalizzata principalmente su quelle di maggiore importanza dal punto di vista sanitario e agroeconomico, come le aflatossine, le ocratossine, la patulina, le fumonisine, i tricoteceni (nivalenolo, deossinivalenolo, tossine T-2 e HT-2) e lo zearalenone. Queste micotossine causano milioni di dollari di perdite annuali poiché questi composti possono esercitare gravi effetti negativi sulla salute sia degli esseri umani che degli animali.

Le aflatossine sono derivati furanocumarinici prodotti da diverse specie di Aspergillus sezione Flavi (3). Vengono prodotte quattro principali aflatossine; Aspergillus togoensis sintetizza solo l’aflatossina B1 (AFB1); A. flavus e A. pseudotamarii sintetizzano l’aflatossina B1 (AFB1) e l’aflatossina B2 (AFB2); mentre A. aflatossiformans, A. arachidicola, A. austwickii, A. cerealis, A. luteovirescens, A. minisclerotigenes, A. mottae, A. nomius, A. novoparasiticus, A. parasiticus, A. pipericola, A. pseudocaelatus, A. pseudonomius, A. sergii e A. transmontanensis producono AFB1, AFB2, aflatossina G1 (AFG1) e aflatossina G2 (AFG2) (4). La AFB1 ha una gamma di attività biologiche, tra cui tossicità acuta, teratogenicità, mutagenicità e cancerogenicità (5); di conseguenza, le aflatossine (tra cui AFB1, AFB2, AFG1, AFG2 e l’aflatossina M1 (AFM1)) vengono classificate come cancerogene per l’uomo (Gruppo 1) dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (6). Poiché in letteratura esistono già molte review eccellenti sulle aflatossine che ne delineano la biosintesi, l’ecologia, il metabolismo, la struttura chimica, gli effetti biologici, la tossicità, l’insorgenza, il rilevamento, il controllo, la disintossicazione e la legislazione, qui verranno presentate solo queste poche righe.

Sperimentazione

Il crescente numero di segnalazioni riguardanti la presenza di aflatossine in alimenti e mangimi impone la necessità di procedure di decontaminazione sicure, pratiche ed economiche (7). Tali procedure possono essere classificate in fisiche, chimiche e biologiche. In generale, le strategie fisiche sono più efficaci degli altri metodi. Tra queste, l’adsorbimento di aflatossine su varie tipologie di materiali sembrerebbe essere la procedura più utilizzata. In questo contesto, i leganti inorganici sono stati segnalati come i materiali più efficienti per la rimozione delle aflatossine in vitro e in vivo (8); tuttavia, di fronte alla relativa inefficacia dei leganti inorganici nei confronti di altre micotossine, è stato proposto anche il bioassorbimento (9). Con bioassorbimento si intende la proprietà di alcuni biomateriali di legare e concentrare ioni o molecole selezionati provenienti da soluzioni acquose (10). Uno dei principali vantaggi del bioassorbimento è la sua efficacia nel rimuovere le aflatossine, totalmente o fino a livelli soddisfacenti, insieme al riciclaggio e/o all’utilizzo di materiali di scarto e di sottoprodotti. La tecnologia del bioassorbimento per la rimozione delle micotossine non è nuova; nel 1980, Smith (11) riferì che le fibre di erba medica e di avena riducevano significativamente l’effetto tossico dello zearalenone sulle femmine di ratto svezzate. Da quella data sono apparse nella letteratura scientifica un numero crescente di pubblicazioni sull’argomento. Molti di questi articoli hanno cercato di dimostrare l’efficacia in vitro e in vivo di diversi biomateriali per l’adsorbimento di micotossine, tra cui la parete cellulare di lievito, i batteri lattici, il carbone attivo e polimeri. Tuttavia, in pochi di essi è stato riportato l’utilizzo di materiali a base di scarti agricoli per l’adsorbimento di aflatossine. Alla luce del crescente interesse per quest’area tematica in rapida evoluzione, in questa review si è cercato di fornire un aggiornamento sui più importanti materiali a base di scarti agricoli utilizzati per adsorbire le aflatossine, prendendo in esame singolarmente diversi prodotti tra cui: sansa, semi, steli, gusci, bucce, foglie, bacche, lignine, fibre, erbe infestanti e vari sottoprodotti dell’orticoltura. Vengono forniti ulteriori dati sull’efficacia in vitro, in vivo e in silico di questi biomateriali nell’adsorbire e quindi desorbire le aflatossine. Inoltre, viene presentata una panoramica delle principali tecniche di caratterizzazione utilizzate per chiarire i più importanti meccanismi fisici e chimici coinvolti nel bioassorbimento.  

Risultati e conclusioni

La scelta di analizzare sottoprodotti come uva e oliva (sanse, semi e steli), buccia di banana, agazzino Formosa (foglie e bacche), lignina, fibre micronizzate, buccia di durian, alghe, polvere di aloe vera, lattuga, cavolo riccio ed equiseto, è stata legata alla loro abbondanza in tutto il mondo. Sono stati esaminati numerosi fattori che influenzano l’adsorbimento, come la modifica fisica o chimica dei biomateriali, la dimensione delle particelle, il tempo di contatto, il pH, la temperatura, il dosaggio del biosorbente e la concentrazione di aflatossina.  Dalla sperimentazione è emerso quanto segue:

  • I cambiamenti strutturali conseguenti a modifiche fisiche o chimiche dei biosorbenti possono spiegare la loro maggiore efficienza nell’adsorbimento delle aflatossine.
  • I biosorbenti con particelle grandi hanno prodotto un assorbimento inferiore. Infatti, l’adsorbimento dell’aflatossina è aumentato significativamente con la diminuzione delle dimensioni delle particelle.
  • In generale, il tasso di adsorbimento dell’aflatossina è stato raggiunto in un breve periodo di tempo (da 3 a 30 minuti). Questa rapida cinetica è altamente auspicabile per le applicazioni pratiche e commerciali.
  • Diversi tipi di biosorbenti hanno una buona efficienza nell’adsorbire le aflatossine a pH acidi e sono stati in grado di trattenere la maggior parte delle tossine anche quando il pH aumenta a 7, sebbene siano state osservate alcune eccezioni.
  • I biosorbenti sono risultati efficienti a temperature comprese tra 37 e 40°C, il che è indicativo della loro capacità di adsorbire le aflatossine durante le prove in vivo.
  • In generale, utilizzando procedure di digestione in vitro che simulano l’ambiente del tratto gastrointestinale, i biosorbenti testati hanno mostrato basse efficienze di rimozione delle aflatossine.
  • Nelle prove in vivo, alcuni biosorbenti hanno contrastato gli effetti nocivi dell’AFB1, ma sono stati utilizzati a livelli di inclusione più elevati (fino all’8% p/p)

Nonostante l’efficacia dei biosorbenti per la decontaminazione delle aflatossine, la ricerca futura dovrebbe concentrarsi sui seguenti argomenti:

  • Utilizzo di modelli dinamici che simulino le condizioni del tratto gastrointestinale e riducendo al minimo l’uso di animali da esperimento.
  • Testaggio (in vitro) a bassi livelli di inclusione (0,1%, w/v) e testati con livelli più realistici di aflatossine per rendere questi materiali molto competitivi nel mercato commerciale dei sorbenti.
  • Considerando che l’esposizione multipla alle micotossine è lo scenario più probabile, è necessario condurre esperimenti di adsorbimento di più micotossine per valutare il bioassorbimento competitivo.
  • A causa della natura complessa dei biosorbenti, sono necessarie tecniche di caratterizzazione analitica altamente selettive e sensibili per una caratterizzazione sistematica (prima e dopo l’adsorbimento delle aflatossine).
  • Si incoraggiano approcci innovativi per la preparazione di biosorbenti da altri rifiuti o sottoprodotti agricoli.
  • Infine, nello screening di nuovi biosorbenti, una maggiore quantità di gruppi idrossilici e carbossilici, un elevato numero di gruppi idrofobici, una maggiore quantità di pigmenti (clorofille), una maggiore carica superficiale negativa, valori più bassi di pHpzc, una microstruttura porosa e una maggiore area superficiale sembrano essere le particolarità più importanti per prevedere la capacità dei materiali a base di rifiuti agricoli di legare le aflatossine.

Questa review è tratta dall’articolo “Removal of Aflatoxins Using Agro-Waste-Based Materials and Current Characterization Techniques Used for Biosorption Assessment” pubblicato sulla rivista “Frontiers in Veterinary Science”.

Alma Vázquez-Durán1, María de Jesús Nava-Ramírez 1, Guillermo Téllez-Isaías 2 and Abraham Méndez-Albores 1*

1 Unidad de Investigación Multidisciplinaria L14 (Alimentos, Micotoxinas, y Micotoxicosis), Facultad de Estudios Superiores Cuautitlán, Universidad Nacional Autónoma de México, Mexico City, Mexico,

2 Department of Poultry Science, University of Arkansas, Fayetteville, AR, United States

 doi: 10.3389/fvets.2022.897302