La vacca ideale non esiste, dipende infatti da cosa mi serve. Lo stesso si può dire per i cani. Per fare alcuni esempi, se sono un cacciatore utilizzerò un bracco, se ho bisogno di una guardiania per le pecore adotterò un pastore maremmano e se voglio un cane da compagnia sceglierò un labrador o una di quelle razze che hanno la faccia come gli uomini.

Per le vacche è la stessa cosa. Se la mia azienda è in montagna e voglio utilizzare il pascolamento sui prati stabili, le vacche ideali saranno, ad esempio, di razza pezzata rossa o bruna alpina. Se ho l’azienda in una pianura irrigua e voglio produrre latte alimentare da consumare fresco, la scelta migliore è la frisona, e di quelle che fanno produzioni elevatissime. Alcuni disciplinari di formaggi a denominazione d’origine, come DOP, IGP e STG, i disciplinari di qualità regionale (RQR) e quelli di determinate filiere produttive, impongono specifici regimi alimentari ai quali si possono adattare solo alcune linee di sangue. Un esempio su tutti quello del Parmigiano Reggiano, che ha sviluppato con ANAFIJ l’indice di selezione ICS-PR per la frisona che fa il latte poi utilizzato per produrre questa DOP.

Le varie razze di vacche da latte sono state selezionate per essere “adatte” al territorio dove dovranno essere allevate e al tipo di alimentazione a loro riservata.

Si vedono spesso distonie, ossia frisone di elevatissimo potenziale genetico su malghe e alpeggi, e magari animali “parsimoniosi” come le pezzate rosse in stalle di pianura dove si fa latte commodity.

Ci sono razze di vacche, come certe linee di sangue della frisona, selezionate per l’economia di scala, ossia molto esigenti e delicate ma che, se gestite perfettamente, sono in grado di garantire un’alta redditività, ed altre molto frugali che si accontentano di poco. Costa poco mantenerle ma fanno anche incassare poco.

Esistono però requisiti comuni per tutte le vacche da latte, funzionali al fatto che la maggior parte degli allevatori le alleva per generare un reddito.

La longevità funzionale, ossia il tempo che una bovina riesce a rimanere in stalla in piena produttività, è altamente correlata con il profitto del produrre il latte. Un’antica ma quanto mai moderna regola dice che un’attività imprenditoriale, in genere, il primo anno rimette i soldi, il secondo anno va in pari e il terzo guadagna. Questa regola empirica può essere applicata anche alle bovine. Le primipare devono ammortizzare le spese che sono state necessarie per portarle al primo parto, per cui non riescono mai con la loro produzione a ripagare queste spese. Da secondipare le vacche possono trovare un equilibrio tra costi e ricavi, mentre le pluripare, che ormai hanno terminato “l’ammortamento”, hanno ampie probabilità di generare utile. Per avere bovine ad elevata longevità funzionale esse devono essere molto fertili, resistenti alle malattie ed avere un’alta capacità di adattarsi a stalle e metodi d’allevamento non sempre idonei.

Prima di decidere su quale razza pura o incroci puntare, di fondamentale importanza è la valutazione dei dati che vengono diffusi dagli enti selezionatori come ANAFIJ, ANARB, ANAPRI, etc. e quelli diffusi da AIA. Questi dati sono statisticamente molto significativi vista la loro numerosità e danno informazioni sulla produttività, la longevità funzionale e la fertilità delle varie razze e incroci, suddivise anche per regioni e quindi per aree omogenee.

In conclusione, prima di scegliere qual è la vacca ideale da allevare bisogna fare l’identikit di quello che si sta cercando e analizzare con attenzione, magari con il supporto di uno specialista, i dati di razze e incroci allevati in Italia. Consultare i dati stranieri o quelli delle riviste scientifiche e divulgative serve poco a questo obiettivo.

Una volta adottata una razza, di fondamentale importanza è il piano d’accoppiamento che permette di adattare ulteriormente l’allevamento al tipo di produzione di latte che s’intende fare.