La caseificazione è un processo apparentemente semplice, che può però portare ad una serie di complicazioni se non controllata e guidata. Come non tutte le ciambelle escono con il buco allo stesso modo non tutti i formaggi escono con la forma giusta, o rimangono nella propria forma. Spesso si spaccano, si rigonfiano, si riempiono di muffe. Con una serie di articoli analizzeremo i difetti più comuni per le varie categorie di formaggio ed i modi per prevenirli. Inizieremo dai formaggi a pasta molle, categoria che comprende formaggi che presentano una pasta ad alta umidità, con una tessitura elastica e coerente, ma tenera e molle. Per la formazione ed il tipo di crosta si distinguono diverse sottocategorie. Formaggi a pasta molle con crosta poco o nulla influente sulla maturazione, del tipo crescenza, hanno una pasta uniforme e compatta con un sapore dolce, con o senza crosta. Esistono poi formaggi a pasta molle che hanno una crosta fiorita o pigmentata molto influente sulla maturazione. Quelli a crosta fiorita sono i cosiddetti muffettati bianchi e quelli a crosta lavata (pigmentata) sono del tipo Taleggio. 

Per quanto riguarda questi formaggi vi sono alcuni difetti che si verificano più spesso durante la loro lavorazione, e sono quelli che verranno affrontati in questo capitolo, ovvero:

  • Gonfiore precoce;
  • Colatura o stracchinaggio;
  • Pelo di gatto;
  • Gessatura;
  • Amarore. 

Gonfiore precoce

Il gonfiore precoce è uno tra i più comuni difetti dei formaggi, e si verifica entro le prime 24-48 ore dall’inizio della caseificazione. È un inconveniente in cui possono incorrere sia i formaggi a pasta molle che semi-dura che a pasta dura, ed è causato dalla presenza elevata nel latte di batteri coliformi (Aerobacter aerogenes ed Escherichia coli), che metabolizzano il lattosio producendo acido lattico e quantità rilevanti di anidride carbonica o idrogeno.

I batteri coliformi vengono inibiti dalla proliferazione dei batteri lattici attraverso la competizione per i nutrimenti e l’inibizione dovuta al repentino abbassamento del pH nella pasta del formaggio, infatti la presenza di residui antibiotici nel latte favorisce indirettamente lo sviluppo dei coliformi, in quanto i batteri lattici sono sensibili a tali sostanze. La pastorizzazione riduce grandemente questa alterazione in quanto tali batteri se soggetti a temperature superiori ai 65 °C per 30 minuti vengono debellati. 

A seguito della contaminazione la pasta diventa spugnosa, non permette lo spurgo ed acquista sapori ed odori sgradevoli

Visivamente per quanto riguarda la parte esterna il gonfiore si presenta come una deformazione del piano superiore, che risulterà, appunto, rigonfio. Tale deformazione è dovuta alla pressione esercitata, all’interno della pasta del formaggio dal gas prodotto dall’attività fermentativa dei microrganismi. All’interno del formaggio, sono facilmente riscontrabili delle “occhiature”, talvolta molto diffuse e di piccole dimensioni, spesso accompagnate da odori inusuali, sgradevoli e anormali, dovuti alle sostanze volatili liberate nel corso dell’anomala fermentazione.

Non solo i coliformi, anche i lieviti a volte sono responsabili di tale alterazione. I batteri coliformi si sviluppano nel formaggio nelle prime ore dalla produzione, durante la stufatura e/o la pressatura, mentre i lieviti in genere si sviluppano nei giorni immediatamente successivi alla produzione. 

Per prevenire il gonfiore precoce è necessario far sì che l’ambiente di lavorazione in cui avviene la caseificazione, e le attrezzature utilizzate, si trovino in uno stato igienico-sanitario ottimale. È altresì importante ricordare che il livello di contaminazione dato dai coliformi viene utilizzato per valutare lo stato igienico degli ambienti di lavorazione del caseificio. È possibile però controllare la carica microbica dei coliformi sottoponendo il latte a trattamento termico e poi innestandolo con fermenti selezionati; normalmente questa pratica viene messa in atto a livello di produzione industriale. Nella produzione a latte crudo, invece, è di fondamentale importanza curare l’igiene del latte; il che si può perseguire già a livello dell’allevamento mediante una corretta sanificazione della mammella prima della mungitura e della sala di mungitura stessa, nonché della lettiera e della zona di stabulazione in cui gli animali stazionano. A livello invece del caseificio, è essenziale la pulizia dei contenitori in cui il latte verrà poi conservato, oltre a caseificare entro due ore dalla mungitura. Per prevenire il gonfiore precoce, riducendo quindi la presenza dei batteri coliformi nel latte sia crudo che trattato termicamente, si possono addizionare a quest’ultimo diverse sostanze ad azione antimicrobica: batteri lattici fermentanti naturali o selezionati ad azione antagonista o oli essenziali di origine vegetale, contenenti diverse sostanze attive, fra cui i polifenoli, che aumentano la shelf-life del formaggio inibendo la crescita della carica microbica indesiderata.

 Colatura – Stracchinaggio

Per colatura, denominata anche stracchinaggio, si intende un effetto indesiderato che si esplica nella rottura della crosta con conseguente fuoriuscita della pasta interna, molle e ricca di siero, durante la maturazione. Si tratta di un difetto dovuto all’utilizzo del caglio contenente una quantità eccessiva di pepsina, il che provoca un’azione proteolitica troppo spinta. Ma le cause possono essere anche uno spurgo insufficiente del siero, per cui la fermentazione continua causando una proteolisi accentuata, che è dovuto a sua volta ad una rottura troppo grossolana della cagliata e/o a temperature troppo basse nei locali di stufatura e stagionatura. Può dipendere anche da un latte di cattiva qualità, ad esempio mastitico. L’effetto non è esclusivamente visivo, ma anche gustativo, e si riversa in un sapore tendente all’amaro e al piccante. Esiste, però, anche una colatura “desiderata” nel caso del formaggio fresco tipico romagnolo, lo “Squacquerone”.

Per prevenire la colatura una delle azioni che possono essere messe in atto è la “stufatura” delle forme: una volta pressate queste vengono mantenute a temperature comprese tra 25 e 30 °C per 2 o 3 ore, rivoltandole più volte. Tale procedimento permette di ottenere un ulteriore spurgo del siero. Un’altra pratica che può essere messa in atto per prevenire tale difetto è scegliere un caglio che contenga poca pepsina; quest’ultimo può essere prelevato solo dagli animali lattanti. Inoltre, il caglio da utilizzare non deve essere troppo vecchio. È altrettanto importante controllare la temperatura dei locali di stagionatura; quest’ultima, poi, deve essere interrotta quando si evidenziano delle iniziali deformazioni nelle forme.

Gessatura

La gessatura della pasta è un difetto di origine tecnologica determinato da differenti cause. La pasta del formaggio assume un aspetto friabile, gessoso, di colore molto chiaro e dal sapore acido

Il difetto risulta evidente nel corso della stagionatura del prodotto, in particolare durante la fermentazione, a causa di un’acidificazione eccessiva, evidenziando mancanza di elasticità e coesione della pasta. 

Il difetto è legato a latte troppo povero di grasso, all’eccessiva acidità del latte di partenza, alla forte acidificazione della pasta, all’uso di eccessivi fermenti selezionati o di siero-innesto, alla cottura della cagliata a temperatura troppo elevata, alla rottura troppo rapida della cagliata, allo spurgo eccessivo, o all’eccesso di sale.

Nel caso di alcuni formaggi, però la gessatura al centro del formaggio non rappresenta un difetto (come nel caso del Quartirolo, Stracchino all’antica) mentre è persino un pregio della Toma del Lait brusc piemontese.

Per poter evitare un simile difetto è necessario impiegare un latte che non sia acido in quanto tale caratteristica potrebbe indurre una perdita di calcio e grasso nel siero.

Oltretutto è necessario utilizzare una quantità corretta di siero-innesti, cuocere la cagliata a temperature non eccessive e non romperla troppo rapidamente. Anche le condizioni ambientali dei locali adibiti alla stagionatura, se ben controllati, possono prevenire la gessatura: questi ultimi, infatti, non devono essere troppo asciutti, ma mantenere un’umidità adeguata. 

Sapore amaro

L’amaro del formaggio rappresenta sempre un difetto anche se la percezione dell’amaro è in parte soggettiva, e variabile, senza contare che taluni non disdegnano una “punta” di amaro. Il difetto deriva principalmente dall’accumulo di particolari peptidi formati a seguito dell’azione di enzimi proteolitici sulle caseine. La caseina di per sé non è una proteina amara ma a seguito della scissione enzimatica può liberare numerosi peptidi, tra i quali alcuni assumono questo particolare sapore.

Tra i difetti del formaggio l’amaro è uno dei più seri e può interessare tutte le tipologie casearie anche se, i formaggi ottenuti da latte caprino manifestano meno frequentemente questo difetto. Anche l’alimentazione del bestiame, oltre al tipo di caglio ed alle contaminazioni microbiche, può determinare l’insorgere di sapore amaro. Alcune piante della famiglia delle brassicaceae sono causa di sapori amari.

Incide anche una salatura non corretta che può modificare la struttura della caseina influendo sull’azione  degli enzimi proteolitici. Lo starter, oltre alla contaminazione da enterobacteriaceae, per l’apporto di alcuni batteri lattici del tipo dei lattococchi, può essere un’ulteriore causa. Il sapore amaro della pasta può essere anche dato dalla degradazione della caseina da parte di lieviti e micrococchi: queste fermentazioni anomale sono causate da uno spurgo incompleto della cagliata. 

È un difetto che si può prevenire utilizzando una quantità corretta di caglio, che inoltre non deve essere ricco in pepsina e povero in chimosina; un caglio con tali caratteristiche può essere prelevato solo da animali alimentati esclusivamente con latte. Altri fattori che possono prevenire il sapore amaro riguardano le fasi della caseificazione: la salatura non deve essere eccessiva, ma adeguata, e lo spurgo del siero sufficiente. Come per ogni altro difetto, uno dei requisiti fondamentali per poterlo prevenire è utilizzare un latte che abbia uno stato igienico-sanitario corretto. È necessario sottolineare che anche l’alimentazione degli animali al pascolo può favorire l’insorgenza di tale difetto, per questo deve essere correttamente monitorata e valutata. Esistono inoltre dei ceppi di batteri lattici che sono in grado di degradare tramite azione enzimatica anche peptidi molto amari. Può pertanto accadere che lo stesso formaggio che ad un certo stadio di maturazione risulti difettoso e dopo un ulteriore periodo di stagionatura perda il difetto.

Pelo di gatto

Le muffe sono una costante nella produzione casearia: se rimangono all’esterno del formaggio non sono quasi mai dannose e possono facilmente essere eliminate con il lavaggio periodico con acqua e sale, oliatura e raschiatura delle forme.

Spesso il formaggio nella prima fase di stagionatura può presentare uno sviluppo di muffe sulla crosta  quasi sempre di colore grigio, il cosiddetto pelo di gatto, chiamato così perché forma dei ciuffi bianchi simili a baffi di gatto. Questo difetto  dovuto al Mucor è quello che si combatte facilmente, non provoca danni ai formaggi se non quello di immagine. Il difetto potrebbe presentarsi  successivamente  durante la fase di stagionatura. Le cause possono ascriversi ad umidità elevata della pasta del formaggio e dei locali di stagionatura, ad una temperatura ambiente negli stessi, dato che le muffe sono per lo più mesofile. Diventano più pericolose nel momento in cui attraverso fessure e bolle d’aria penetrano all’interno della pasta provocando colorazioni anomale e alterazioni nel sapore, oltre che nella salubrità del prodotto. 

Per evitare che la forma venga contaminata è necessario sottoporre la cagliata, durante la fase di lavorazione, ad un’adeguata compressione, così da eliminare le bolle d’aria che potrebbero rimanere all’interno della pasta e favorire lo sviluppo di tali microrganismi. Inoltre, la cagliata deve essere sottoposta a corretta acidificazione. È possibile poi adottare anche la competizione biologica per ridurre tale problematica utilizzando colture fungine anti-Mucor, come ad esempio il genere Geotricum e/o Penicillium, i quali, colonizzando la superficie del formaggio, producono metaboliti attivi contro i ceppi fungini indesiderati, limitandone la crescita. Per ottenere lo stesso risultato viene anche consigliato il trattamento superficiale con antifungini, come i sorbati o la piramicina. Poiché le spore fungine si trovano nell’aria, è opportuno limitarne il più possibile il contatto con i formaggi, coprendo con dei teli o dei coperchi le vasche di coagulazione; in più è importante anche eliminare il sieroinnesto, qualora sia contaminato, ed incartare e separare i formaggi che hanno già sviluppato la muffa (per approfondire leggi anche  “Le schede tecniche di DEMOCAPRA: stagionatura formaggi e microrganismi contaminanti”)

Autori

Eleonora Fiorucci e Angela Di Berardino