Potrebbe non essere una notizia il fatto che due piccoli caseifici italiani chiudono. Nei primi nove mesi del 2023 hanno cessato l’attività 5468 imprese e per le ragioni più disparate, ma assuefarci a questo proprio non ci riesce.

Quando abbiamo appreso questa notizia sulla rivista digitale “L’Eco dell’Alto Molise Vastese”, che riportiamo in calce integralmente, abbiamo provato una profonda tristezza ma anche tanta rabbia. Il Molise è storicamente una regione difficile ma al contempo bellissima dove fare industria, commercio e agricoltura, e ha molte complessità anche perché, a mio avviso, non ha mai avuto un serio e organico piano di sviluppo, che non significa certo ricevere finanziamenti a pioggia che quasi mai alimentano veramente il progresso ma più spesso solo il consenso elettorale.

Ho avuto modo di assistere all’olocausto degli allevamenti molisani perché messi in competizione con il prezzo del latte alla stalla con quello importato (latte e cagliate), nonostante le confezioni di formaggi e mozzarelle riportassero diciture riferibili a latte italiano o addirittura molisano. Non ho personalmente notizie di controlli effettuati e di indagini avviate per accertare i reati di pubblicità ingannevole, truffa o concorrenza sleale sulla realtà casearia molisana.

Di fatto molti allevamenti cessarono e tuttora cessano la loro attività perché non possono essere competitivi con i prezzi di latte e cagliate provenienti dall’estero e da altre regioni italiane. Scrissi nel 2019 su Ruminantia l’articolo “La storia dell’Isola di Pasqua e la storia del latte”, anch’esso in un momento di profonda rabbia e frustrazione, proprio sull’epopea molisana. Succede poi che quando gli allevamenti chiudono a farne le spese sono anche i caseifici seri, soprattutto se aziendali e artigianali, che invece non vogliono che la storia dell’Isola di Pasqua si ripeta, perché ben sanno che le eccellenze agroalimentari italiane hanno radici profonde nel territorio locale e nelle sue tradizioni, e quando qualcuna di queste viene recisa a morire è poi la pianta stessa.

Ci auguriamo solo che la chiusura dei caseifici di Mario Antenucci e Pietrino Di Menna sia di monito per tutti.

Poche stalle, prezzi delle materie prime lievitati e niente manodopera specializzata: così chiudono due storici caseifici di Agnone

Inizio d’anno amaro per il settore lattiero-caseario dell’alto Molise che non annovera più la presenza di due storici caseifici di Agnone: ‘Mario Antenucci’ e ‘Pietrino Di Menna e figli’. La decisione di azzerare la lavorazione di latte e produzione di formaggi, maturata nei mesi finali del 2023. Si tratta di un colpo durissimo inferto al comparto considerato un’eccellenza per il territorio, spesso balzato alle cronache nazionali per l’alta qualità di latticini, caciocavalli e formaggi stagionati. A risentire delle chiusure i livelli occupazionali visto che le attività davano lavoro a decine di operatori che adesso si troveranno a vagliare l’ipotesi di trasferirsi altrove per avere assicurato uno stipendio. La pesante crisi economica acuitasi con il Covid, la chiusura di aziende zootecniche locali, l’aumento del prezzo delle materie prime, la scarsa manodopera specializzata, il mancato cambio generazionale, nonché il forte spopolamento, tra le principali cause che hanno spinto i titolari di entrambi i caseifici ad abbassare definitivamente la saracinesca.

“L’impegno e la passione per questo lavoro non è mai mancato, anche nei momenti più difficili come quello della pandemia. Sentiamo di ringraziare tutti i dipendenti, produttori di latte, fornitori, collaboratori esterni, che hanno fatto parte di questo fantastico viaggio. Non da meno e ancor di più ringraziamo i ristoratori, le pizzerie e tutte attività commerciali in generale, che hanno utilizzato e venduto i nostri formaggi. Un pensiero speciale va alla numerosa clientela che ha frequentato il nostro storico negozio – afferma non senza tristezza Piergiorgio Antenucci, titolare, insieme ad altri due fratelli, dell’omonimo opificio -. Nel nostro piccolo abbiamo sempre cercato di dare notorietà al nome di Agnone e del territorio altomolisano ottenendo attestati e riconoscimenti dagli organi di informazione culinaria sia in campo nazionale che internazionale. Per questo oggi, la scelta di chiudere, è ancor più sofferta e travagliata, ma al tempo stesso improcrastinabile. Porteremo con noi – conclude – il ricordo di questi entusiasmanti anni passati con tutti voi. Grazie di cuore a chi ci ha sempre sostenuto”. Pensieri e parole che rimarcano la condizione di una realtà in forte sofferenza la quale, ancora una volta, rivendica attenzione in fatto di infrastrutture e sgravi fiscali affinché da supportare e incentivare il lavoro nelle aree periferiche. Un tema, quello del lavoro, che sembra (eufemismo) scomparso dall’agenda politica regionale non senza responsabilità da parte di sigle sindacati e associazioni di categoria ormai appiattitesi su se stesse.