Molte sono le innovazioni che si stanno diffondendo in ambito agricolo e zootecnico per far fronte a tematiche estremamente delicate come, ad esempio, il reperimento della manodopera e lo spopolamento di campagne ed aree rurali. Ma questa tecnologia quanto risulta applicabile nella pratica? Sicuramente nessuno meglio di un allevatore che la sperimenta può darci un’opinione concreta al riguardo, illustrandoci i pro e i contro di determinati sistemi, ed è questo il motivo per cui abbiamo voluto parlare dell’utilizzo del “Virtual Fencing” (recinzioni virtuali che utilizzano la geolocalizzazione per delimitare gli animali in una determinata area) con Michele Gortani, dell’azienda agricola “Fattoria Gortani”, dove da tre generazioni si allevano bovine dal latte di razza bruna.

L’azienda è stata fondata dal nonno negli anni ’60 nell’area montana della Carnia, da dove poi il padre, Renato, insieme ai suoi fratelli, si è spostato per trasferirsi nella pianura friulana, pur mantenendo il legame con quei territori attraverso l’alpeggio in malga nei mesi estivi.

Ad oggi sono entrati nella leadership aziendale, anche i nipoti Pietro e Michele occupandosi il primo dell’allevamento e il secondo della trasformazione, dato che negli ultimi 20 anni hanno avviato anche il caseificio aziendale dove producono formaggi e latticini.

Per entrare nel vivo del discorso abbiamo chiesto a Michele di spiegarci un po’ le motivazioni per cui hanno voluto avvicinarsi all’utilizzo dei recinti virtuali e da dove è partita l’idea di questa sperimentazione.

«Siamo sempre stati fautori dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico dell’allevamento. Considerate che negli anni ’80 mio papà ha aderito ad un progetto dell’Università di Milano sull’embryo transfert e nel 1982 siamo stati tra i primi in Italia a fare embrioni. Anche nella trasformazione ci siamo sempre affidati tanto alle indicazioni della ricerca, e in particolare abbiamo lavorato molto con l’Università di Udine e Padova, e, negli ultimi anni, con l’Associazione Allevatori. Nel 2019 abbiamo appreso la nascita di questo sistema dei recinti virtuali in Australia e in Norvegia, e abbiamo pensato potesse rappresentare un’occasione di sviluppo per l’area montana, perché, ovviamente, uno dei problemi cruciali è quello della ricerca di personale, in quanto non c’è più gente disposta a fare questo tipo di lavoro. Dunque, ragionando con l’ERSA, Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale del Friuli-Venezia Giulia, abbiamo pensato, attraverso la SISSAR (Sistema Integrato dei Servizi di Sviluppo Agricolo e Rurale), che è un incubatore per progetti che mette in contatto il mondo accademico con quello imprenditoriale, di proporre la sperimentazione di questo sistema in montagna. Dal 2019, tra Covid e burocrazia siamo riusciti ad avviarla nel 2022, ma ce l’abbiamo fatta!»

Partiamo quindi dalla progettazione, ci dai qualche informazione su come vi siete organizzati?

«Questa sperimentazione rientra in un progetto ben più articolato, denominato “Progetto sperimentale per un sistema integrato di gestione delle aziende zootecniche da latte” gestito da un gruppo di lavoro interdirezionale con coordinamento in capo ad ERSA e due atenei universitari:

  • Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali dell’Università degli studi di Firenze, Resp. Scientifico Prof.ssa Carolina Pugliese.
  • Dipartimento di Scienze Agroalimentari, Ambientali e Animali dell’Università degli studi di Udine, Resp. Scientifico Prof. Stefano Bovolenta.

Giusto per capire il contesto vi dico che il progetto prevede tre tipologie di azioni:

  1. attività sperimentale di applicazione nell’ambito regionale del “Virtual Fencing” e della “Precision Livestock Farming” alle aziende zootecniche da latte con analisi e valutazione del loro impatto;
  2. attività sperimentali volte allo studio dei sistemi di gestione delle aziende zootecniche che producono e trasformano il latte (minicaseifici o “filiera corta”);
  3. attività sperimentali volte allo studio dei sistemi di trasformazione e stagionatura delle aziende zootecniche che producono e trasformano il latte (minicaseifici o “filiera corta”).

Soffermandoci sulla prima azione, quella che ci riguarda, la sua finalità è stata quella di applicare, in ambito regionale, sistemi innovativi come tecnologie GPS e sistemi atti a “guidare” gli animali, attraverso impulsi sonori ed elettrici, forniti da collari denominati Virtual Fencing, tracciando confini virtuali da remoto senza la necessità di ricorrere all’installazione e alla manutenzione di costose recinzioni fisiche.

Sono state coinvolte a tal fine due aziende agricole: la nostra, di pianura ma che pratica alpeggio, e un’altra, l’azienda agricola Granzotti Morena di Ovaro, un comune di montagna in provincia di Udine. Questa parte di progetto è stata seguita direttamente dall’Università di Firenze, proprietaria dei collari, e si è svolta durante la stagione di pascolamento 2023. Per la nostra azienda, è stato previsto inoltre, uno studio per la caratterizzazione della quantità e qualità della produzione foraggera dei pascoli in modo da prevedere, a partire dal secondo anno, l’applicazione (tramite le recinzioni virtuali) di un pascolo razionale (turnato) in alpeggio e quindi l’ottimizzazione della gestione e della produzione. I rilievi sono iniziati nella stagione 2023 e proseguiranno anche nel 2024. Verrà inoltre applicato un modello pascolivo per la stima della produzione anche in condizioni climatiche future».

Bene, quindi considerando che l’esperienza si è appena conclusa, ci potresti fare un bilancio?

«Diciamo che inizialmente in molti ci hanno sconsigliato di partecipare, soprattutto perché la sperimentazione si sarebbe svolta in montagna e questo comportava delle problematiche non trascurabili, prima tra tutte la connessione internet. Il sistema necessita infatti di una velocità 2G, che è piuttosto diffusa ormai, ma in certe località ancora capita di non avere adeguato segnale. Noi ci troviamo sul monte Zoncolan che, essendo una zona molto vocata per il turismo invernale, è piuttosto coperta, ma anche qui c’è un cono d’ombra dove non arriva la connessione. Un altro punto critico che si poneva era legato alla modalità di gestione dei punti di pericolo e delle avversità climatiche, non conoscendo come avrebbero potuto reagire gli animali in assenza di delimitazioni fisiche del pascolo. Nonostante questo, abbiamo deciso comunque di provare, ma insieme a me ho portato in malga mio nipote Alessandro di 16 anni, perché per utilizzare questi applicativi bisogna avere una buona conoscenza informatica ma soprattutto la freschezza, l’approccio mentale tipico delle nuove generazioni, al fine di intervenire in maniera rapida in caso di necessità. Dunque, io ho portato la mia esperienza nella gestione degli animali al pascolo e mio nipote l’abilità nella gestione tecnologica, e insieme siamo riusciti a condurre serenamente la sperimentazione».

Presa la decisione di partire, come avete avviato e gestito questa modalità di pascolamento?

«Le nostre sono state le prime aziende da latte in Friuli a adottare questo sistema. Non c’erano quindi esperienze pregresse di situazioni in cui, due volte al giorno, era necessario spostare gli animali, perché le uniche realtà su cui si era già provato il sistema allevano animali da carne. Comunque, giunti in malga tutti i capi sono stati dotati di un collare munito di bluetooth, GPS e pannello solare per ricaricare le batterie. A proposito di quest’ultimo, considerata la grande mole di movimenti fatti quotidianamente, possiamo dire che è molto efficiente in quanto in tre mesi non abbiamo mai dovuto cambiarle. Il collare comunica direttamente con una App scaricata su un tablet e/o telefono cellulare, con la quale si possono gestire e creare i recinti virtuali attraverso il collegamento a Google Maps, ed è possibile utilizzare fino a 32 punti per delimitare l’area! Con pazienza abbiamo quindi iniziato il training, che ha previsto la realizzazione del recinto classico, dal quale sono stati gradualmente tolti dei lati di fettuccia, sostituendoli con la delimitazione virtuale. Gli animali in una decina di giorni si sono abituati, riconoscendo gli stimoli dei dispositivi. Quello che abbiamo notato subito è che il loro comportamento all’interno della mandria è cambiato, ad esempio: le vacche che facevano le “sentinelle” lungo il perimetro sono state più vicino alle altre, e tutte insieme hanno pascolato meglio sugli appezzamenti spostandosi più lentamente. È cambiato anche il comportamento nei confronti dell’uomo, creando un rapporto di maggior fiducia, come si evince ad esempio quando, per uscire dal recinto virtuale, aspettano che tu sopraggiunga fisicamente, oppure attendono un tuo richiamo, sentito il quale arrivano autonomamente».

Nella pratica, una volta definito il recinto e assegnati gli animali, cosa succede?

«Quando l’animale entra fisicamente nella zona delimitata tramite la App, viene caricato in quel recinto senza che lui si accorga di nulla. Qualora però provi ad oltrepassare il confine stabilito, che va tenuto a debita distanza da punti di pericolo, il collare emette in prima battuta degli stimoli sonori di intensità crescente, che diminuiscono di intensità appena l’animale si ferma o volta anche solamente la testa per tornare indietro. Qualora questo richiamo non sia sufficiente, viene dato un impulso elettrico di piccolissima entità (0.2 Joule) che non rappresenta alcun rischio per la salute dell’animale. A proposito di benessere, sebbene confortati da quanto riportato dalla letteratura scientifica e dagli studi specifici eseguiti dal gruppo di ricerca dell’Università di Firenze, che hanno dimostrato che se applicato correttamente il sistema non provoca stress, tutti gli animali coinvolti nella sperimentazione sono stati monitorati per tre volte, durante tutta la durata dell’alpeggio, attraverso l’analisi dei livelli di cortisolo».

In assenza di delimitazioni fisiche del pascolo, come è stata la gestione della convivenza con i turisti?

«Come potete vedere nella foto, il sistema permette di collocare gli animali anche molto vicino a luoghi frequentati (funivie, ristoranti, parchi etc..), consentendo agli animali di diventare una vera e propria attrazione turistica. È necessario però che il turista si comporti in modo rispettoso e questo non sempre accade, motivo per cui in certe aree io metterei comunque una delimitazione fisica al fine di limitare l’intrusione eccessiva, in quanto può essere elemento di disturbo del naturale pascolamento degli animali».

Alla luce dell’esperienza appena conclusa, da allevatore ci puoi dire i pro e i contro che hai riscontrato?

«Tra i “pro” sicuramente il risparmio di tempo nel turnare i pascoli. Lo spostamento dei pascoli da noi comporta ogni giorno togliere e rimettere circa 70 paletti su cui poi passare il filo, un’attività che porta via tra un’ora e mezza e due ore al giorno, e che deve essere svolta in qualsiasi condizione climatica. Dunque, questo è un gran vantaggio insieme alla ridotta necessità di manodopera, che, come accennato all’inizio, è anche molto difficile trovare. Dal punto di vista materiale sono strumenti resistenti e molto pratici. Un’altra scoperta molto positiva è stata quella legata alle reazioni avute in caso di avversità climatiche. A fine luglio abbiamo, purtroppo, assistito ad una violenta grandinata e questo ci ha dato modo di notare come la risposta degli animali sia stata molto diversa rispetto a quella generalmente tenuta in presenza di recinzioni fisiche. La grandine, infatti, agita molto gli animali, e questo li induce a cercare riparo a tutti i costi, arrivando anche a distruggere la recinzione spingendo avanti gli animali più deboli nella scala gerarchica. Nello spavento generale, capita quindi che si facciano anche molto male; invece, con l’utilizzo dei collari, tutti i capi si sono fermati contemporaneamente quando hanno ricevuto l’impulso e nessuno ha subito danni fisici.

Riguardo i “contro” mi sento di segnalare che la necessità di aprire e chiudere i recinti più volte al giorno comporta ripetuti aggiornamenti del sistema, cosa che può avvenire non contemporaneamente su tutti i dispositivi a causa del segnale disponibile. Pertanto, bisogna giocare un po’ di anticipo; ad esempio, quando bisogna mungere è bene aprire i recinti 5-10 minuti prima. Ma a parte questo, che si gestisce tranquillamente, l’unico vero grande problema che mi sento di evidenziare è che che la commercializzazione di collari virtual fencing non è ancora disponibile in Italia, perché le due società, una norvegese e una australiana uniche detentrici di questo tipo di strumentazioni, non hanno al momento interesse a sviluppare un mercato qui, in quanto concentrati in altri paesi. Anche dal punto di vista della definizione qualcosa andrebbe migliorato al fine di consentire di creare i recinti anche in aree ad estensione più ridotta.

Tirando le somme, comunque, posso dire che sono partito con un po’ di timore per la poca conoscenza dei sistemi e le possibili problematiche legate alla montagna, ma che al termine di questa esperienza sono estremamente soddisfatto, in quanto è stata un momento di grande crescita ed insegnamento».

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